VISIONE POST – MODERNA E MEDIA
Sergio Benedetto Sabetta
Vi è attualmente un perdersi del senso del soggetto (Hammond) nella civiltà occidentale, la democrazia viene così a sciogliersi in una confusione del proprio essere, senza un racconto comune condiviso.
Si tenta di ricostruire un senso attraverso falsi obiettivi diffusi dai media con varie sfumature, le guerre stesse sono occasione per fornire tali racconti, diventano scene virtuali in cui riconoscersi.
Da mezzi con cui scaricare all’esterno le tensioni interne, ricompattando la nazione, diventano ricerca di un senso, obiettivo su cui indirizzare l’attenzione per creare il racconto della comunità.
Con la fine del secolo breve e la sconfitta delle ideologie politiche si è aperto un vuoto innanzi agli stessi vincitori della guerra fredda.
Si è pensato di coniugare strettamente libero mercato e democrazia, dando per scontato che il libero mercato crea la libertà in opposizione alla pianificazione nata dalle due guerre mondiali.
Vi è stato un progressivo declinare del Welfare accompagnato alla globalizzazione neoliberale, teorizzata a seguito del crollo del muro di Berlino.
Mentre in Russia si procedeva ad una veloce privatizzazione del patrimonio pubblico, risoltosi nella nascita di nuovi potentati privati senza la formazione di una consistente classe media, in Cina la direzione centralizzata dell’apertura economica al privato ha portato ad una crescente acquisizione tecnologica con una conseguente crescita economica esponenziale, fino a contestare il primato USA e a prevedere nuove sfere di influenza, premessa per nuovi conflitti.
L’impoverimento della classe media in occidente si è accompagnato al trasferimento della tecnologia in Estremo Oriente e in India, con il mito dell’abbattimento dei costi e la possibilità di acquistare prodotti a prezzi sempre inferiori, con un progressivo “usa e getta” esteso all’uomo.
Allo sfruttamento sempre più intenso delle risorse naturali e all’accumulo di scorie che, non sempre e del tutto riciclabili, vengono ad accumularsi in proporzioni notevoli in aree della Terra in via di sviluppo, senza per questo escludere l’inquinamento anche nelle aree più sviluppate, si è accompagnata una perdita di posti di lavoro oltre che nella produzione anche nella manutenzione.
Posti di lavoro che non potevano essere delocalizzati ed in contrasto con la filosofia di una crescente produzione fondata e sostenuta dall’“usa e getta”, prodotti ideati e predisposti per una durata predeterminata, in barba a qualsiasi sostenibilità.
Mentre vi erano in atto questi processi economici in Occidente la perdita di valori e di un racconto comune ha portato alla frammentazione culturale, intesa e raccontata quale immensa libertà di espressione ma anche al contempo disorientamento nei valori, in cui unico elemento di misurazione risultava essere l’utile personale espresso finanziariamente.
La tecnologia diffusa ha favorito questo cambiamento culturale che se da una parte sembra favorire la libertà di espressione, dall’altra crea nuove forme di disinformazione e confusione in assenza di un filtro critico, che può derivare solo dall’integrazione degli aspetti umanistici con quelli tecnici, nei fatti è stato svilito in favore di una assoluto mitizzato “fare”.
Si è così avuto uno svuotamento culturale idoneo alla riduzione del cittadino a puro consumatore di beni materiali e di “eventi”, privo di un collante culturale, che si è cercato di ricostruire attraverso proiezioni mediatiche.
I risultati non sono stati soddisfacenti come desiderato dai neo-conservatori, l’unificazione attraverso immagini travolgenti secondo il concetto di Blizkrieg, recuperando un senso di slancio verso il futuro per la società, non ha ottenuto i risultati desiderati risultando molte volte divisivo.
Vi è una riduzione alla gestione del presente (Koker) con una moltiplicazione di “identità”, passando da un interventismo etico degli anni ‘90 del Novecento al fine di difendere i diritti umani, imponendo forme di democrazia, alla creazione mediatica di una narrazione collettiva del 2000.
La libertà si è risolta nella libertà dell’acquisto, massimo elemento di unione per una visione collettiva, dove le società multinazionali hanno un potere finanziario talvolta superiore ai maggiori Stati, con una conseguente privatizzazione di fatto di molte istituzioni e della politica.
L’individuo isolato privo di valori collettivi e senza una rete di significati condivisi è confuso, pronto al marketing estremo, privo di una propria salda identità, se non edonistica, immerso in “eventi e immagini” (Zizek).
Il senso di smarrimento è stato codificato nella creazione ed esasperazione del modello di una “società del rischio”, che viene a coprire le origini stesse del rischio e a cui si associa il concetto di responsabilità democratica.
Il “rischio” diviene pertanto elemento morale di valutazione e permette di rispondere alla richiesta di sicurezza derivante dall’insicurezza dell’isolamento, il risarcimento sostituisce la sanzione morale e si affianca alla “tolleranza identitaria” utile al consumo, che copre il vuoto dell’élite.
Se la proliferazione delle fonti di informazione è di per sé positiva, manca la condivisione di significato con cui relazionarsi, i chiari obiettivi a cui riferirsi (Straw).
La recente pandemia con l’uso esasperato del mezzo informatico ne ha tuttavia evidenziato i limiti ai fini relazionali, ossia l’impossibilità di sostituire il rapporto fisico con il rapporto virtuale, pena una nuova forma di alienazione e isolamento mentale, una polverizzazione nascosta da una apparente rete sociale utile a forme di controllo e formazione di nuovi imperi politici ed economici.