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Vincolo di rispetto stradale e diniego di condono di un edificio abusivamente. – QUOTIDIANO LEGALE
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Vincolo di rispetto stradale e diniego di condono di un edificio abusivamente.

Alluvione SARNO

Il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili, (dal che si è tratta la conseguenza che il diniego di condono di un edificio abusivamente realizzato in violazione di detto vincolo non richiede un previo accertamento sulla effettiva pericolosità dello stesso per il traffico stradale)”(Consiglio Stato , sez. IV, 06 maggio 2010 n. 2644).

Consiglio di Stato Sez. 4°, 17/05/2012, Sentenza n. 2842

N. 02842/2012REG.PROV.COLL.

N. 09442/2005 REG.RIC.

N. 00374/2006 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9442 del 2005, proposto da:
Comune di Campobasso, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Calise, con domicilio eletto presso Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7;
contro
Santoro Luigi;
Ditta Agena 73, in persona del legale rappresentante in carica appresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Colalillo, con domicilio eletto presso Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7;
sul ricorso numero di registro generale 374 del 2006, proposto da:
Santoro Luigi, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Ruta, Margherita Zezza, con domicilio eletto presso Marco Orlando in Roma, piazza della Liberta’, 20;
contro
Comune di Campobasso in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Calise, con domicilio eletto presso Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7;
Ditta Agena 73, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Colalillo, con domicilio eletto presso Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7;
per la riforma
quanto al ricorso n. 9442 del 2005:
00822/2005tenza del T.a.r. del Molise – Sede di Campobasso- n. 00822/2005, resa tra le parti, concernente VARIANTE GENERALE AL P.R.
quanto al ricorso n. 374 del 2006:
00822/2005tenza del T.a.r. del Molise – Sede di Campobasso- n. 00822/2005, resa tra le parti, concernente DESTINAZIONE A VERDE PUBBLICO E/O ATTREZZATO DI AREA-VARIANTE PRG

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 aprile 2012 il Consigliere Fabio Taormina e udito l’ Avvocato Tommaso Millefiori in sostituzione di Vincenzo Colalillo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Ricorso n. 9442/2005;
Fatto
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dal Signor Santoro Luigi l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Campobasso 11.12.2000, n. 82, avente ad oggetto la variante generale al Piano regolatore, anche in riferimento alla parte in cui sulla proprietà del predetto era stata asseritamente reiterata la destinazione urbanistica “verde pubblico e/o attrezzato” (con conseguente vincolo di inedificabilità e connessa misura di salvaguardia), nonché di tutti gli altri atti alla stessa presupposti, conseguenti e connessi, inclusi i pareri istruttori e consultivi acquisiti e del provvedimento del Dirigente della Ripartizione urbanistica del Comune di Campobasso 18.1.2001, prot. n. 1274, con cui era stato espresso parere negativo al rilascio della concessione edilizia richiesta dal ricorrente con istanza del 30.10.2000.
Con successivi motivi aggiunti, il Signor Santoro Luigi aveva gravato (avanzando altresì petitum risarcitorio) il provvedimento del Dirigente dell’Area 5 – Settore “Urbanistica e Territorio” del Comune di Campobasso 17.3.2004, prot. n. 6502, con il quale l’Amministrazione aveva rigettato la richiesta di concessione edilizia oltre che gli atti connessi (tra i quali il precedente atto di diniego 18.1.2001, n. 1274, l’accluso verbale della Commissione edilizia n. 260 e la misura di salvaguardia di cui alla variante al P.R.G. adottata con delibera consiliare 11.12.2000, n. 82, già oggetto di impugnazione con il ricorso introduttivo).
L’originario ricorrente aveva prospettato motivi di censura incentrati sui vizi di violazione di legge ed eccesso di potere.
Il primo giudice, con la gravata sentenza n. 822/2005 ha in via preliminare ricostruito in punto di fatto, ed anche sotto il profilo cronologico, la complessa vicenda per cui è causa, facendo presente che il Santoro era proprietario di un’area catastalmente individuata dal foglio 61, particelle nn. 548, 550 e 546 del censuario del Comune di Campobasso, con destinazione “E- zona di espansione esterna”, secondo il vigente P.R.G. ed aveva -con istanza del 30.10.2000- richiesto il rilascio di una concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato da destinarsi ad abitazioni sulle particelle 548 e 550.
Detta istanza era stata respinta dal Comune con provvedimento del Dirigente della Ripartizione urbanistica 18.1.2001, prot. n. 1274, preceduto da parere negativo n. 260 espresso al riguardo dalla Commissione edilizia in data 23.11.2000, sul presupposto che l’intervento ricadeva in un’area con vincolo di inedificabilità assoluta (tale vincolo era rappresentato dalla fascia di rispetto stradale).
Con delibera del Consiglio comunale 11.12.2000, n. 82, il Comune di Campobasso aveva adottato la variante generale al P.R.G., con la quale l’area in questione era stata azzonata “F2 – verde pubblico e/o attrezzato”.
A seguito dell’intervenuta decadenza della misura di salvaguardia, per decorso del tempo stabilito ex lege, il Santoro aveva reiterato la richiesta di rilascio di concessione edilizia, notificando in data 1°.3.2004 atto di diffida e di messa in mora ed il Comune di Campobasso aveva nuovamente denegato il rilascio del titolo abilitativo con provvedimento 17.3.2004, n. 6502, gravato con motivi aggiunti.
Il primo giudice ha preliminarmente dichiarato il difetto di legittimazione passiva (con conseguente estromissione dal giudizio, della Ditta “Agena 73) evocata in qualità di
controinteressata alla stregua della considerazione per cui “l’asserzione circa la sussistenza di occupazione di parte della propria area ad opera di quest’ultima, atteneva a profili ed a rapporti che esulavano dalla cognizione introdotta con il ricorso e, più in generale, devoluta al giudice amministrativo”.
Il Tribunale amministrativo ha quindi analiticamente preso in esame le numerose censure dedotte, muovendo dall’esame di quelle proposte avverso il provvedimento dirigenziale 18.1.2001, prot. n. 1274, recante rigetto dell’istanza di rilascio della concessione edilizia del 30.10.2000.
Di queste ha affermato la infondatezza, evidenziando, sostanzialmente, che il ricorso muoveva dall’equivoco di non avere considerato che il diniego era motivato (unicamente) con riguardo alla sussistenza di un vincolo di inedificabilità, determinato dalla fascia di rispetto stradale, che impediva appunto di accogliere la domanda di concessione edilizia, nei modi in cui era formulata, per l’estensione e le modalità di realizzazione dell’opera da assentire.
Diversamente da quanto asseritosi nel mezzo di primo grado, infatti, detto vincolo non derivava dalla variante adottata con delibera consiliare n. 82/2000 ( cui si riferivano in maggioranza le censure a fondamento del gravame) bensì dall’approvazione del progetto in variante effettuata con la (rimasta inimpugnata) delibera del Consiglio comunale n. 53/1999, rispetto alla quale la Regione Molise aveva espresso il proprio favorevole parere (come peraltro poteva evincersi dal rinvio operato dal provvedimento di diniego al verbale della Commissione edilizia 23.11.2000, n. 260, preso a suo presupposto, inequivocabilmente anteriore alla data di emanazione della deliberazione n. 82/2000, recante adozione della variante al P.R.G.).
Nella seduta cui si faceva riferimento nel verbale, si era espresso parere negativo al rilascio del titolo abilitativo, in quanto “il progetto ricade in un’area con vincolo di inedificabilità assoluta”: ne conseguiva che il provvedimento di diniego era necessitato, sussistendo un impedimento oggettivo alla possibilità di assentire l’intervento edilizio in questione.
Quanto alle censure mosse avverso il provvedimento di diniego di rilascio di permesso di costruire, 17.3.2004, prot. n. 6502, adottato su atto di diffida del 1°.3.2004, ( e gravato mercè motivi aggiunti) esse erano infondate in quanto il diniego gravato costituiva atto meramente confermativo del precedente provvedimento di reiezione( non aggiungendo un quid novi rispetto al precedente e soprattutto non presupponendo una diversa istruttoria, essendo immutata la situazione di fatto).
Né poteva fondatamente sostenersi la maturata decadenza del vincolo medesimo per decorso del termine quinquennale ( secondo quanto previsto dall’art. 2 della L. 19.11.1968, n. 1187), in quanto il vincolo impeditivo al rilascio del permesso di costruire era stato introdotto (non già dal vigente P.R.G. risalente nel tempo, bensì) dalla delibera 3.5.1999, n. 53, recante approvazione del progetto in variante, relativo a Piano di Lottizzazione e non rientrava in alcuno dei casi di cui all’ art. 2 della L. n. 1187/1968 trattandosi di fascia di rispetto stradale, di natura conformativa, concernente una parte soltanto dell’area di proprietà dell’originario ricorrente ( segnatamente quella posta a confine con la strada): l’impossibilità di assentire i lavori derivava dalla circostanza che detto progetto insisteva anche sulla fascia di rispetto ( la quale ex se non impediva di costruire sull’intero terreno, ma comportava unicamente la necessità di arretrare la localizzazione dei fabbricati progettati).
Il primo giudice ha infine respinto le doglianze proposte avverso la delibera di variante al P.R.G., n. 82/2000 (avendo fatto presente, comunque, che nelle more erano decadute le misure di salvaguardia derivanti dalla stessa), pur avendo rilevato la carenza di interesse dell’originario ricorrente a contestarne la legittimità (posto che gli avversati dinieghi al rilascio dei richiesti permessi di costruire non discendevano dalla previsioni ivi contenute) ed ha disatteso il petitum risarcitorio in considerazione della riscontrata legittimità dei provvedimenti impugnati, compensando tra le parti le spese di giudizio sostenute dalle parti e disponendo che sia l’originario ricorrente Signor Santoro che il Comune di Campobasso intimato fossero in solido tenute a sopportare in parti uguali le spese della disposta consulenza tecnica.
Avverso la sentenza in epigrafe il Comune di Campobasso originario intimato rimasto integralmente vittorioso ha proposto appello censurando il capo della impugnata decisione che lo aveva onerato a corrispondere in solido ed in parti uguali le spese della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal primo giudice evidenziando che ai sensi dell’art. 91 del codice di procedura civile le dette spese dovevano essere addossate, unicamente, alla parte rimasta totalmente soccombente.
La Ditta “Agena 73” si è costituita facendo presente il proprio difetto di legittimazione passiva che era già stato positivamente riscontrato nel corso del giudizio di primo grado (dal quale infatti essa era stata estromessa): ha fatto quindi presente che l’odierno appello, pertanto, le era stato notificato per mero errore.
Alla odierna pubblica udienza del 17 aprile 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
Ricorso n. 374/2006;
Fatto

L’originario ricorrente Signor Santoro, rimasto soccombente in primo grado, ha proposto un articolato appello avverso la suindicata sentenza n. 822/2005 (parimenti gravata dal Comune di Campobasso mercè il ricorso n. 9442/2005 del quale si è prima illustrato il contenuto) evidenziando che le previsioni contenute nella variante generale al piano regolatore impugnate in primo grado erano ormai decadute in quanto era decorso un triennio senza che fosse intervenuta l’approvazione dell’autorità regionale: da ciò discendeva la sopravvenuta parziale improcedibilità del ricorso di primo grado, in parte qua.
Quanto al capo della impugnata decisione che aveva ritenuto legittimo il diniego al rilascio del permesso di costruire in quanto derivato (non già dal vincolo imposto dalla variante al PRG ma) dalla –inimpugnata- delibera n. 53/1999 con cui il Consiglio comunale aveva approvato il piano di lottizzazione predisposto dalla Ditta Agena 73, ne ha ribadito la erroneità in punto di fatto.
Ciò perché il tracciato della strada di lottizzazione avrebbe dovuto essere realizzato dalla predetta Ditta Agena 73 unicamente all’interno dell’area lottizzata.
Essa invece, aveva realizzato la detta strada in modo tale che la scarpata ricadesse sulle aree confinanti a quelle di proprietà dell’appellante.
Ciò era avvenuto contrariamente alle previsioni contenute nella delibera n. 53/1999 che, infatti, non avendo contenuto lesivo non avrebbe dovuto essere impugnata dall’appellante (la lesione, semmai, si ricavava proprio dall’omesso rispetto delle prescrizioni inerenti alla realizzazione della strada nella detta delibera contenute, e dal conseguente sconfinamento perpetrato).
La consulenza tecnica dava atto che le particelle nn. 548 e 550 di pertinenza dell’appellante erano state “invase” dalla scarpata (che, ai sensi dell’art. 4 del dM 1 aprile 1968 costituiva parte integrante del tracciato stradale): in ciò si concretava la illegittimità che aveva poi determinato l’ingiusto diniego opposto ripetutamente alla richiesta di rilascio del permesso di costruire.
Ne conseguiva che, a cagione della abusiva edificazione della strada, ingiustamente era stata respinta la richiesta di rilascio del permesso di costruire: era stata quindi errata la disposta estromissione dal giudizio della ditta esecutrice, ed era quindi fondata anche la richiesta risarcitoria (che l’appellante ha provveduto a quantificare) che non poteva dirsi essere divenuta improcedibile a seguito della avvenuta decadenza delle previsioni della variante generale al PRG a seguito della quale l’area aveva riacquistato la previgente destinazione edificatoria.
La ditta Agena 73 ha depositato due articolate memorie ribadendo la propria carenza di legittimazione passiva ed evidenziando comunque la infondatezza dell’appello proposto dal Santoro
Alla odierna pubblica udienza del 17 aprile 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO

1.Deve in via preliminare disporsi la riunione dei suindicati appelli in quanto palesemente connessi sotto il profilo oggettivo e soggettivo e perdipiù diretti a gravare la medesima sentenza (art. 96 comma 1 del codice del processo amministrativo).
2.Essi sono entrambi infondati e meritano di essere disattesi: merita altresi’ di essere ribadita (per quanto di seguito si dirà allorchè sarà preso in esame l’appello del Signor Santoro) la correttezza della estromissione dal presente giudizio della esecutrice dei lavori Agena 73.
3.Quanto all’appello proposto dall’amministrazione comunale, esso è infondato alla stregua della condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Consiglio di Stato sez. V 23 giugno 2011
n. 3807)secondo cui “e’ legittimo il provvedimento del giudice amministrativo che, nell’ambito di una pronuncia di compensazione per giusti motivi delle spese giudiziali, dispone la ripartizione tra le parti per quote uguali anche delle spese liquidate in favore del consulente tecnico d’ufficio atteso che il CTU, in quanto strumento di ausilio al giudice nella valutazione degli elementi che comportino specifiche conoscenze, deve ritenersi resa nell’interesse generale della giustizia e, quindi, correlativamente nell’interesse comune delle parti; ciò non toglie, peraltro, che il giudice può del pari legittimamente porre per intero a carico della parte soccombente le spese della consulenza , pur operando la compensazione delle spese giudiziali, ove abbia accertato la fondatezza delle doglianze della parte ricorrente circa l’operato dell’Amministrazione in ordine alle valutazioni oggetto di consulenza /verifica atteso che, diversamente opinando, alla parte ricorrente verrebbe ingiustamente ed irragionevolmente addossato un onere per il fatto di aver inteso perseguire il bene della vita, risultato poi, proprio grazie alla consulenza , effettivamente negato in modo ingiusto ed illegittimo dall’Amministrazione direttamente e dalla parte resistente indirettamente.”. Tale affermazione, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, appare perfettamente sovrapponibile a quella resa sin da epoca risalente dalla giurisprudenza di legittimità civile (Cassazione civile sez. I, 08 luglio 1996 n. 6199) secondo cui “poiché la prestazione del consulente tecnico d’ufficio è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è resa, l’obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla soccombenza ; la sussistenza di tale obbligazione solidale, inoltre, è indipendente sia dalla pendenza del giudizio nel quale la prestazione dell’ausiliare è stata effettuata, sia dal procedimento utilizzato dall’ausiliare al fine di ottenere un provvedimento di condanna al pagamento del compenso spettantegli”.
Il principio enunciato si inquadra, costituendone corollario, nel più ampio convincimento a più riprese espresso dalla pacifica giurisprudenza civile secondo il quale “la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull’opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime. Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi sussiste pur sempre una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato. (Cassazione civile , sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576)
Detto principio è stato più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisca espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l’ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate.” (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).
Ciò non si è verificato nella fattispecie per cui è causa, come appare evidente dalla motivazione della impugnata decisione ma anche da quel che di qui a poco si affermerà con riguardo al contrapposto appello proposto dal Santoro dal che discende la reiezione dell’appello proposto dall’amministrazione comunale.
4.Anche il riunito appello proposto dal Santoro appare del pari infondato, alla stregua delle considerazioni che seguono.
4.1. Va rammentato che l’oggetto del giudizio riposa unicamente – anche per quanto affermato dall’appellante al capo 1 punto 1 dell’appello in punto di sopravvenuta decadenza delle previsioni contenute nella variante al PRG- nei dinieghi opposti dal comune di Campobasso alle richieste di rilascio della concessione edilizia avanzate dall’appellante medesimo.
Senonchè, avuto riguardo alla motivazione dell’opposto diniego rammenta il Collegio che, per costante quanto condivisa giurisprudenza amministrativa,“il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili, (dal che si è tratta la conseguenza che il diniego di condono di un edificio abusivamente realizzato in violazione di detto vincolo non richiede un previo accertamento sulla effettiva pericolosità dello stesso per il traffico stradale)”(Consiglio Stato , sez. IV, 06 maggio 2010 n. 2644).
Come evidenziato dal primo giudice, il diniego di rilascio del titolo ampliativo ha trovato causa unicamente con riguardo al vincolo di inedificabilità determinato dalla fascia di rispetto stradale; nella incontestata (da parte dello stesso appellante) sussistenza del vincolo stesso, e della interferenza della progettata costruzione con la fascia di rispetto stradale è evidente che esso è ascrivibile alla (rimasta inimpugnata) delibera n. 53/1999 e che pertanto l’appellante non può direttamente dolersi del diniego, che ex se considerato è immune da censure.
Sotto altro profilo – ed anche se si volesse prescindere dalla omessa impugnativa della delibera che autorizzò la lottizzazione seguendo l’iter argomentativo esposto dall’appellante di cui si darà conto immediatamente di seguito- la avvenuta edificazione della strada e la sussistenza del vincolo di rispetto rendono il contestato diniego del tutto immune da censure, non potendo la illegittimità dello stesso ricavarsi da asseriti comportamenti scorretti che in precedenza hanno cagionato l’assetto territoriale in questione.
4.2. Infatti non diverse conseguenze in punto di legittimità dei contestati dinieghi si traggono prendendo in esame la tesi prospettata dall’appellante a corredo del proprio petitum.
Si sostiene infatti nell’appello che egli non avrebbe potuto (né dovuto) dolersi di tale delibera n. 53/1999 poiché quest’ultima prevedeva che la strada dovesse essere integralmente edificata all’interno dei fondi di pertinenza della ditta Agena 73 in ordine ai quali era stato approvato il piano di lottizzazione ma che a causa dello “sconfinamento” di quest’ultima in sede di realizzazione della strada con allocazione della scarpata all’interno delle aree di proprietà dell’appellante, la fascia di rispetto stradale si sarebbe “dilatata” spiegando effetto preclusivo al rilascio della concessione dall’appellante richiesta.
4.3. In punto di fatto la consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado ha accertato che effettivamente le particelle 548 e 560 del fg di mappa n. 61, lungo il confine con la particella n. 652 erano stati occupati dalla scarpata stradale e solo in maniera molto marginale dal marciapiedi a servizio della sede viaria.
4.3.1. Senonchè (ed il primo giudice ciò ha incidentalmente chiarito allorchè ha disposto l’estromissione dal giudizio della esecutrice dei lavori) è agevole riscontrare che la fattispecie descritta dall’appellante –anche ove si concordi con le deduzioni di quest’ultimo ex art. 4 del dM 1 aprile 1968 n. 4 in ordine alla computabilità della scarpata – integra una fattispecie di scuola di occupazione “usurpativa” sottratta come tale alla giurisdizione di questo giudice.
Essa può essere pregna di possibili conseguenze in punto di eventuale azionabilità della tutela risarcitoria innanzi al Giudice fornito di giurisdizione sul punto, ma non potrebbe per tal via affermarsi la illegittimità del diniego del rilascio del titolo concessorio ove fondato sulla incostestata circostanza di fatto della sussistenza della strada e della zona di rispetto.
Secondo la costante e condivisibile giurisprudenza civile di legittimità, infatti, (Cassazione civile sez. I 13 gennaio 2010 n. 397) “la fattispecie qualificabile come ” occupazione usurpativa “, ovvero come manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, è costituita da un comportamento di fatto dell’amministrazione, ravvisabile anche per i terreni nei quali, nel corso dell’esecuzione dell’opera pubblica, si sia verificato uno sconfinamento da aree legittimamente occupate.”.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno in proposito rilevato che “la fattispecie, qualificabile come “occupazione usurpativa”, ovvero come manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, è costituita da un comportamento di fatto dell’amministrazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, che è ravvisabile anche per i terreni nei quali si sia verificato uno sconfinamento, nel corso dell’esecuzione dell’opera pubblica, da aree legittimamente occupate: essa costituisce un illecito permanente in alcun modo ricollegabile all’esercizio di poteri amministrativi, onde l’azione risarcitoria del danno che ne è conseguito rientra nella giurisdizione del g.o.” (Cassazione civile sez. un. 19 febbraio 2007 n. 3723).
Questo Consiglio di Stato non potrebbe quindi conoscere della relativa domanda, né il discrimen tra le giurisdizioni potrebbe essere aggirato mercè la impugnazione del diniego di concessione edilizia: l’evento causale cui è ascrivibile il danno asseritamente cagionato dall’Amministrazione, infatti, non è nel caso di specie l’opposto diniego, che si pone quale atto necessitato avuto riguardo la avvenuta allocazione della strada e che per le già chiarite ragioni è immune da mende, ma semmai la condotta materiale di sconfinamento che si pone “ a monte” del diniego: il diniego di concessione potrebbe semmai costituire una “voce” del danno asseritamente subito ( pur dovendosi per completezza evidenziare che è rimasta incontestata l’affermazione del primo giudice secondo cui “Si tratta di fascia di rispetto stradale, di natura conformativa, concernente una parte soltanto dell’area di proprietà del ricorrente, segnatamente quella a confine con la strada ricadente altrove” e quella per cui ove l’appellante avesse diversamente orientato il progetto di fabbricato quest’ultimo avrebbe potuto ben essere assentito in quanto non intersecante la predetta fascia di rispetto in quanto l ’impossibilità di assentire i lavori voluti sulla propria area deriva dalla circostanza che detto progetto insiste anche sulla fascia di rispetto, la quale ex se non impedisce di costruire sull’intero terreno, ma comporta unicamente la necessità di arretrare la localizzazione dei fabbricati progettati.”).
Ma l’accertamento della eventuale sussistenza di quest’ultimo non appartiene alla giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo, e la carenza di giurisdizione sul punto non potrebbe essere superata impugnando il diniego di rilascio di titolo concessorio (peraltro la giurisprudenza citata dall’appellante in punto di distanze e secondo cui il diniego di rilascio di concessione non può sostanziarsi con il richiamo alla esistenza di un fabbricato abusivo non concerne vincoli pubblicistici discendenti dalla fascia di rispetto stradale e non può quindi utilmente invocarsi il detto principio)
Alla stregua delle superiori considerazioni, e con le precisazioni rese in motivazione i riuniti appelli devono essere respinti, con integrale conferma dell’impugnata decisione.
5.Le spese processuali devono essere integralmente compensate tra le parti stante la reciproca soccombenza e la complessità e particolarità della situazione di fatto esaminata dal Collegio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, numero di registro generale 9442 del 2005 e numero di registro generale 374 del 2006 come in epigrafe proposti, li respinge.
Spese processuali compensate .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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