VENDITA ALLO SCOPERTO E CREDIT DEFAULT SWAP: NECESSITA’ DI UN QUADRO REGOLAMENTARE
Enrico Schenato, avvocato e magistrato onorario
La vendita allo scoperto (short selling) è una operazione con la quale un soggetto vende un titolo che non possiede con l’intenzione di riacquistare un titolo identico in un momento successivo per essere in grado di consegnarlo al compratore.
Si distingue in due tipi:
a) la vendita allo scoperto con provvista di titoli garantita (covered short sellinng) nella quale il venditore ha stipulato accordi per poter prendere a prestito i titoli prima della vendita
b) la vendita allo scoperto senza provvista di titoli garantita (uncovered o naked) nella quale il venditore non ha preso a prestito i titoli al momento della vendita allo scoperto.
Sui mercati a pronti, oltre alla vendita allo scoperto, si può arrivare ad una posizione corta netta anche attraverso l’uso di derivati, negoziati nei mercati regolamentati, sia over the counter.
Questa pratica, dal 2008, è stata in diverse fasi limitata sui principali mercati finanziari perché accusata di contribuire a far crollare i prezzi dei titoli.
Il divieto deciso dalle authority è stato, a sua volta, criticato per il fatto di inibire, proprio in una fase critica, un’importante fonte di attività dei mercati.
In condizioni normali, la pratica dello short selling contribuisce al buon funzionamento degli scambi di borsa, in termini sia di liquidità sia di contrasto a fenomeni di eccessiva volatilità delle quotazioni.
Quanto al debito sovrano, una strategia di natura speculativa consiste nel comprare credit default swap (cds) di un Paese di area euro puntando ad allargare gli spread e, per questa via, ad influenzare il mercato dei titoli sottostanti.
Ma in disparte questo rilievo, va ricordato che oltre alle vendite allo scoperto sui mercati a pronti, anche le operazioni sui cds possono essere utilizzate per garantire una posizione economica corta (cioè ribassista).
L’acquisto di un cds con finalità di copertura si avvicina fuzionalmente al contratto assicurativo. Serve, cioè, a garantirsi sul rischio di credito.
In dottrina, ma anche nel dibattito politico-economico, si assiste, da tempo, ad una netta contrapposizione tra chi, da un lato, sostiene che le vendite allo scoperto dovrebbero essere vietate a titolo definitivo, dato che incrementano la volatilità e rendono i default statali più probabili.
Diversa dottrina ritiene invece che le vendite allo scoperto siano garanzia per una migliore aggregazione delle informazioni ed una maggiore liquidità del mercato, rendendo in generale più facile l’emissione di titoli di debito.
Va ricordato che la tossicità di questi titoli non è superiore a quella che si originerebbe prendendo in carico una posizione corrispondente sul mercato azionario ed obbligazionario.
In realtà, l’acquisto di cds nudi vanta diversi “succedanei” essendo solo una delle diverse modalità operative per assumere una posizione ribassista sul debito degli Stati, garantendosi sul rischio di credito.
Una soluzione al problema consisterebbe nell’introdurre qualche disposizione di buon senso volta a rendere gli scambi meno anarchici.
L’Italia è il paese in cui il divieto si è accompagnato al massimo peggioramento della liquidità, a causa della preponderanza di società piccole e con basso flottante.
I veicoli normativi per arrivare alla meta sono già stati individuati.
Il legislatore dovrà fare responsabilmente la sua parte.
Il problema di fondo, però, resta sempre lo stesso: la vendita allo scoperto espone al rischio di aumento della volatilità e a reazioni recessive del mercato.
Sarà necessario uscire dall’incertezza regolamentare indotta dagli organi di vigilanza in forza della altalenante modifica dei regolamenti delle vendite allo scoperto.