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di Carlo Rapicavoli –

Il Ministro Delrio spiega con un intervento pubblicato oggi dal Corriere della Sera i tre motivi sui quali si fonda la riforma delle Province.

In sintesi:

1) Rendere più vicini ai bisogni dei cittadini e delle imprese le scelte di area vasta che divengono sempre più importanti; valorizzare le identità locali; portare al cuore delle decisioni di area vasta le istanze più concrete e reali delle comunità locali;

2) Ripensare i processi reali di funzionamento dei territori; dare spazio alle Regioni per guidare processi di riordino dell’assetto istituzionale; valorizzare il ruolo delle Camere di Commercio;

3) Fare un piccolo passo di riforma per dimostrare di esserne capaci e per trovare il coraggio di fare altre riforme. I risparmi sono certi e potenzialmente elevati in una prospettiva di ripensamento territoriale.

Gli argomenti, a dire il vero, non convincono.

1) Appare inconciliabile l’apprezzabile obiettivo di valorizzare le identità locali e di rendere le scelte più vicine ai bisogni dei cittadini con la tenace volontà perseguita dal Ministro di eliminare la rappresentanza democratica nelle Province da trasformare in ente di secondo grado.

Forse l’elezione diretta del Consiglio Provinciale e del Presidente, secondo il Ministro, non è il modo migliore di rappresentare al meglio i bisogni dei cittadini, di tutti i cittadini anche non residenti nei Comuni maggiori, e assicurare al meglio le decisioni di area vasta?

E se davvero le scelte di area vasta divengono sempre più importanti, secondo quale logica – chiediamo al Ministro – si depotenzia e si svuota di funzioni proprio l’Ente che meglio – per dimensione territoriale, storia, legame con il territorio e finalità istituzionale – può svolgere tali funzioni?

2) Il Ministro afferma che viene dato più spazio alle Regioni per guidare processi di riordino dell’assetto istituzionale proprio mentre dal Governo vengono proposti provvedimenti centralisti, che gestiscono a livello statale l’intero processo senza spazi, appiattito sulle proposte dell’ANCI rappresentative soltanto degli interessi dei Comuni maggiori, come peraltro chiaramente denunciato dall’Associazione nazionale dei piccoli Comuni d’Italia.

E proprio ieri il Consiglio dei Ministri, approvando definitivamente il ddl costituzionale, ha aggiunto al testo originario, sottoposto al parere della Conferenza unificata, l’attribuzione allo Stato del compito di definire, tra l’altro, anche il territorio delle città metropolitane. Dov’è il maggiore spazio concesso alle Regioni?

Ancora una volta non viene chiarito perché l’istituzione delle Città Metropolitane, quali enti di area vasta, dovrebbe costituire il motore dello sviluppo locale e nelle altre parti del territorio nazionale si svuotano di funzioni le Province enti di area vasta alla pari delle nascenti Città Metropolitane.

3) Il Governo deve dimostrare di riuscire a fare una riforma. A prescindere dalla sua effettiva e dimostrata utilità.

Scrive il Ministro. “Il nostro Paese con il benaltrismo e da troppi anni bloccato…Allora proviamo a muovere almeno un passo”.

Ma davvero si può pensare ad una riforma costituzionale così giustificata?

Ed ecco infine il tema dei fantomatici risparmi derivanti dalla riforma delle Province. “I risparmi sono certi e potenzialmente elevati in una prospettiva di ripensamento territoriale”.

Risparmi certi e potenzialmente elevati! Certi o potenziali?

Peccato che nella relazione tecnica al ddl ordinario proposto dallo stesso Delrio si legga: “Per quanto attiene poi alle Province, in attesa di un riordino a livello costituzionale delle stesse, non si ravvisano nuovi o maggiori oneri in quanto il presente provvedimento è finalizzato a riordinarne l’attuale assetto allo scopo di costituire un Ente di area vasta che opera per l’integrazione delle attività dei Comuni ad opera sostanzialmente dei rappresentanti dei Comuni stessi, mantenendo un numero limitato di funzioni proprie; tale previsione consentirà, nel lungo periodo, una consequenziale riduzione di spesa”.

Nessuna quantificazione del risparmio, solo l’affermazione che non si ravvisano nuovi o maggiori oneri. E solo un possibile e potenziale futuro risparmio non quantificabile.

La nota del Ministro anziché illustrare quali siano i “vantaggio del riordino territoriale”, attesta l’assenza di una visione organica.

Si tratta di un progetto demagogico, che vuole soltanto dare una risposta all’ansia riformistica di quanti vedono nel “riordino” una possibile nuova acquisizione di “potere” o di tanti illustri opinionisti che hanno fondato su tali proclami la loro fortuna giornalistica ed editoriale.

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