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SANATORIA EDILIZIA CONDIZIONATA

Carlo Pagliai

Merita opportuno approfondimento la fattispecie della sanatoria edilizia condizionata, cioè quella rilasciata subordinatamente all’esecuzione di opere ulteriori a quello dello stato compiuto, e oggetto della recente sentenza di Cassazione Penale sez. III n. 4140 del 29/01/2018.

Ad oggi l’unica procedura ammessa nel nostro ordinamento è quella prevista dall’art. 36 del Testo Unico per l’edilizia D.P.R. 380/01, la quale è retta prioritariamente dal principio di doppia conformità dell’opera abusiva sussistente al momento della presentazione dell’istanza e all’epoca dell’abuso.

In definitiva, consiste in una sorta di richiesta duale del permesso di costruire in sanatoria, come se fossero presentate contemporaneamente due distinte istanze riferite alle discipline edilizie – urbanistiche, nonché agli strumenti urbanistici e regolamenti edilizi vigenti sia all’epoca dell’abuso che al momento dell’istanza.

Se dall’istruttoria il Comune accerta il riscontro positivo congiunto della conformità riferito alle due suddette epoche, allora può provvedere al rilascio del permesso di costruire in sanatoria relativamente all’illecito e difformità edilizie oggetto di regolarizzazione.

All’istanza di accertamento di conformità, presentata secondo l’art. 36 del TUE, non è sempre detto che possa pervenire una risposta alla stessa: infatti sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata. Vige quindi il principio espresso del silenzio-diniego, rimasto invariato anche alla luce delle recenti riforme apportate dalla L. 124/2015, D.Lgs. 126 e 127 del 2016 e D.Lgs. 222/2016.

Oltre a questa ipotesi contemplata dal Testo Unico per l’Edilizia, da alcune prassi risulta emersa un ulteriore modalità per ottenere l’accertamento di conformità, cioè una richiesta di sanatoria edilizia che conceda al soggetto interessato di compiere alcuni opere di adeguamento entro un dato termine, tali da rendere conforme ad oggi le opere oggetto di abuso.

Questa possibilità non può essere ammessa in quanto l’applicazione ortodossa dell’art. 36 non prevede la possibilità di effettuare lavori edili di conformazione, ancorché finalizzati a raggiungere appunto la doppia conformità prescritta per legge.

Infatti, tali provvedimenti amministrativi che ammettono rimesse in pristino parcellizzate sono da ritenersi illegittimi (cfr. Cass. Pen. III n. 4140/2018).

Il legislatore ha imposto nelle sole procedure di sanatoria edilizia ordinaria questo regime di doppia conformità, allo scopo di far effettuare alla P.A. una rigida attività di valutazione rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia, delle legislazioni regionali, degli strumenti urbanistici e regolamenti locali.

Questa impostazione non concede alla P.A. alcun tipo di margine di valutazione discrezionale o deroghe, neppure in un’ottica di buon senso e di rapporto equilibrato verso il cittadino.

Si tratta di un principio quasi contrapposto a quello una volta statuito dalla prima legge sul Condono Edilizio n. 47/1985, la quale invece concedeva tempi stretti per l’adeguamento delle opere abusive subordinate a progetti approvati, in nome della tutela e sicurezza strutturale e antisismica della costruzione.

In quella sede il legislatore ha voluto conciliare il requisito di sicurezza statica delle costruzioni con la regolarizzazione urbanistica, aprendo ad una possibilità che avrebbe potuto migliorare le prestazioni antisismiche degli immobili.

Se contestualizzando ciò all’epoca del 1985, ovvero quando le norme antisismiche erano meno prestazionali rispetto a quelle vigenti oggi, si può affermare che fu raggiunto un punto di equilibrio raggiungibile per ottenere un livello minimo di sicurezza strutturale, anche alla luce della relativa procedura di certificazione di idoneità statica. Resta il fatto che ad oggi risultano inevase ancora qualche milione di istanze presentate (Fonte: Repubblica, 25 sett 2017)

A differenza del condono, nella sanatoria edilizia vige l’impossibilità di compiere opere differite e/o di adeguamento finalizzate a conformarne il rispetto della doppia conformità.

Prendiamo ad esempio il caso di un’abitazione unifamiliare, nella quale sono state compiute soltanto opere interne abusive riguardante i tramezzi: uno di questi, pur non essendo portante, era costituito da debole muratura mista spessa trenta centimetri e quindi avente capacità di irrigidimento della struttura nel comportamento “scatolare” del fabbricato.

In questo caso, al soggetto interessato è stata negata la domanda di sanatoria perché al momento della domanda non aveva ricostruito proprio quel setto murario e per il quale si era proposto di ripristinarlo.

La rimessa in pristino con ordinanza di tale manufatto comporta per il proprietario l’onere di ricostruirlo con tecniche costruttive adeguate rispetto allo stato previgente; tuttavia si pone l’interrogativo di quanto debba essere maggiormente prestazionale e di come inciderà sul comportamento globale della struttura, soprattutto alla luce delle sopravvenute NTC.

In tutte le ipotesi, il proprietario si è trovato in una difficile situazione che lo ha portato a vedersi negare la sanatoria per un solo particolare e nella difficile fase di ricostruire lo stato legittimo violato.

Si arriva, purtroppo, a certi paradossi applicativi in cui il buon senso (forse) avrebbe potuto risolvere una situazione complessivamente sanabile.

Spetterà alla prossima legislazione risolvere anche questo tipo di contraddizione normativa urbanistica.

 

Giurisprudenza

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