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URBANISTICA: reati edilizi ed accertamento di conformità in sanatoria, i termini di 60 gg..

 

La sospensione dell’azione penale relativa alle contravvenzioni urbanistiche finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria, imposta dall’art. 45, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in relazione al precedente art. 36, comma 3, non può superare i sessanta giorni previsti da tale ultima disposizione. GIURISPRUDENZA per esteso e massimata  

 

In materia di reati edilizi, qualora venga richiesto l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, la mancata sospensione del procedimento da parte del giudice, in assenza di una espressa previsione normativa, non determina alcuna nullità per lesione del diritto di difesa, potendo l’interessato far valere l’esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva del reato nei successivi gradi di giudizio (Sez. 3, n. 51599 del 28/09/2018, M., Rv. 274095).

In premessa, nel caso di specie, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria non risulta definito e tuttora in corso di esame istruttorio. Né, ovviamente, può sospendersi il processo – come in via subordinata richiesto dal difensore in sede di discussione – posto che l’art. 45, comma 1, d.P.R. 380/2001 impone la sospensione dell’azione penale «finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all’articolo 36» e quest’ultima disposizione, al terzo comma, sancisce che «sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata».

Con il decorso di sessanta giorni dal 29 novembre 2018, sull’istanza si è quindi formato il silenzio-rifiutosuscettibile d’impugnazione in sede giurisdizionale amministrativa – senza che il processo penale debba necessariamente essere sospeso.

Ed invero, il combinato disposto delle due citate norme prevede la sospensione dell’azione penale limitatamente ad un procedimento amministrativo destinato a concludersi nel breve termine massimo indicato e la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale, in rapporto al principio di obbligatorietà dell’azione penale sancito nell’art. 112 Cost., dell’identica normativa urbanistica disciplinante il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi degli artt. 22, primo comma, e 13, secondo comma, I. 28 febbraio 1985, n. 47, aveva disatteso l’interpretazione, datane dai giudici a quibus, secondo cui la sospensione necessaria del processo penale doveva estendersi anche oltre il termine dei sessanta giorni, sino alla fase del procedimento giurisdizionale amministrativo in cui si contesti la legittimità del mancato accoglimento dell’istanza di sanatoria (quanto meno sino alla pronuncia del T.A.R.).

Per contro, la Corte costituzionale aveva rilevato che se la sospensione limitata al procedimento amministrativo per un massimo di sessanta giorni giustifica il danno inerente al ritardato svolgimento del processo penale, poiché la conclusione del (breve) iter in senso favorevole al richiedente conduce all’immediata definizione del giudizio penale, «il bloccare ulteriormente le attività processuali penali per tempi generalmente imprevedibili (…) non solo incrementerebbe il danno al quale s’è accennato ma rischierebbe di renderlo irreversibile, senza, peraltro, alcuna garanzia sull’esito dei procedimenti giurisdizionali (…) il blocco delle attività processuali penali “per lunghi tempi” non può non violare il principio di cui all’art. 112 Cost., che, invece, la breve, necessaria sospensione dell’azione penale, di cui al primo comma dell’art. 22, sicuramente non lede» (Corte cost., sent. 31 marzo 1988, n. 370, che ha pertanto concluso per l’infondatezza della questione sollevata, osservando che «tra due interpretazioni d’una legge ordinaria dev’essere preferita quella che non solleva dubbi di legittimità costituzionale»).

Questa conclusione interpretativa – salvo un risalente precedente contrario (Sez. 3, n. 3190 del 13/02/1989, Falabella, Rv. 180665) – è stata seguita da tutta la successiva giurisprudenza di legittimità e avallata anche dalle Sezioni unite (cfr. Sez. U, n. 4154 del 27/03/1992, Passerotti, Rv. 190245; più di recente, Sez. U, n. 15427 del 31/03/2016, Cavallo, Rv. 267042, in motivazione; Sez. 3, n. 24245 del 24/03/2010, Chiariello, Rv. 247692; Sez. 3, n. 22823 del 26/02/2003, Barbieri, Rv. 225293).

Del resto – si osserva nella motivazione di una pronuncia che conferma il consolidato orientamento – «il termine assolve ad una duplice funzione: da un lato, conferisce certezza all’aspettativa del privato consentendogli le opportune iniziative di tutela e, dall’altro, evita la sospensione del processo sine die» (Sez. 3, n. 10205 del 18/01/2006, Solis e a.).




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