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UNIONI CIVILI: Sintesi della Legge.

Coppia di fatto famiglia
Ecco una sintesi della legge sulle Unioni Civili, che detta due distinte discipline:
  • la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso;
  • la regolamentazione delle convivenze di fatto, che può riguardare sia coppie omosessuali che eterosessuali.

– Unioni Civili

L’unione civile tra persone dello stesso sesso – considerata “formazione sociale” ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione – è costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso, mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni.

Il regime patrimoniale ordinario dell’unione civile omosessuale consiste nella comunione dei beni (art. 159 c.c.), fatta salva la possibilità che le parti formino una convenzione patrimoniale. Resta ferma la possibilità di optare per la separazione dei beni.

Sono disciplinati dalla proposta di legge i diritti e doveri derivanti dall’unione civile omosessuale, sulla falsariga dell’art. 143 del codice civile sul matrimonio (ad eccezione dell’obbligo di fedeltà). Oltre all’applicazione della disciplina sugli obblighi alimentari prevista dal codice civile, la costituzione dell’unione comporta che le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri: in particolare, si fa riferimento all’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione nonché al contributo ai bisogni comuni, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo. Analogamente, è stabilito che l’indirizzo della vita familiare e la residenza comune siano concordati tra le parti. Viene, inoltre, estesa alle unioni civili tra persone dello stesso sesso la disciplina del cd. ordine di protezione da parte del giudicein caso di grave pregiudizio per l’integrità fisica o morale di una delle parti.

In caso di decesso di una delle parti dell’unione civile prestatore di lavoro andranno corrisposte al partner sia l’indennità dovuta dal datore di lavoro (ex art. 2118 c.c.) che quella relativa al trattamento di fine rapporto (ex art. 2120 c.c.).

In relazione alla successione, si applicherà ai partner dell’unione civile parte della disciplina contenuta nel libro secondo del codice civile.

Con l’eccezione delle disposizioni del codice civile non richiamate espressamente e di quelle della legge sull’adozione, le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e «moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, troveranno applicazione anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso.

Quanto allo scioglimento dell’unione civile, viene ripresa gran parte della normativa relativa alle cause di divorzio, sia in relazione alle cause di scioglimento che per quel che riguarda le conseguenze patrimoniali. Saranno, poi, applicabili alle stesse unioni civili le discipline acceleratorie della separazione e dello scioglimento del matrimonio (negoziazione assistita, procedura semplificata davanti al sindaco quale ufficiale di stato civile).

Viene poi data attuazione a quanto indicato dalla Corte costituzionale con riguardo alla rettificazione del sesso di uno dei coniugi: se, infatti, dopo la rettificazione di sesso, i coniugi manifestano la volontà di non sciogliere il matrimonio o non cessarne gli effetti civili, questo si trasforma automaticamente in unione civile tra persone dello stesso sesso.

La presenza di specifiche cause impeditive individuate dalla proposta di legge è causa di nullità dell’unione. Il vincolo giuridico derivante dall’unione civile è, in particolare equiparato a quello derivante dal matrimonio per un ulteriore aspetto: tra le citate cause impeditive è indicata – oltre la sussistenza di un vincolo matrimoniale – anche la sussistenza di una precedente unione civile omosessuale.

Le Convivenze di fatto

In base alla nuova legge, la convivenza di fatto può riguardare tanto coppie eterosessuali quanto coppie omosessuali. Sono considerati conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.

In merito si ricorda che la costante giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, maturata con riguardo alla famiglia di fatto ha sempre ritenuto necessaria la presenza di una situazione interpersonale di natura affettiva con carattere di tendenziale stabilità e con un minimo di durata temporale e che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale (Cassazione civile, Sentenza 21 marzo 2013, n. 7214; Cassazione civile, Sentenza 8 agosto 2003, n. 11975 e Tribunale di Milano, Sentenza 14 gennaio 2009, n. 449).

Sono estesi ai conviventi di fatto alcune prerogative spettanti ai coniugi (in buona parte sono così codificati alcuni orientamenti giurisprudenziali). Si tratta, tra gli altri: di diritti previsti dall’ordinamento penitenziario, del diritto di visita e di accesso ai dati personali in ambito sanitario; alla facoltà di designare il partner come rappresentante per l’assunzione di decisioni in materia di salute e per le scelte sulla donazione di organi; di diritti inerenti la casa di abitazione; di facoltà riconosciute in materia interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno; del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito.

Si ricorda già attualmente l’art. 3 della legge n. 91 del 1999, in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti, stabilisce che “Il prelievo di organi e di tessuti è consentito secondo le modalità previste dalla presente legge. I medici forniscono informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non separato o al convivente more uxorio o, in mancanza, ai figli maggiori di età o, in mancanza di questi ultimi, ai genitori ovvero al rappresentante legale”.

Queste previsioni sembrano porsi in linea con quegli orientamenti della giurisprudenza di merito che in caso di morte di un convivente proprietario esclusivo di un immobile riconosce in capo al convivente superstite “una detenzione qualificata” (si veda Tribunale di Milano, Sentenza 18 gennaio 2003). In particolare, il Tribunale di Torino (VIII sez. civile, sent. 28 febbraio 2002) in caso di morte di uno dei due partner ha riconosciuto l’usucapione del diritto di abitazione da parte del convivente more uxorio che aveva convissuto con compossesso ultraventennale corrispondente al diritto reale di abitazione, di cui all’art. 1022 c.c.. Il convivente superstite – secondo i giudici torinesi – acquisisce, per usucapione, la titolarità, vita natural durante, del diritto di abitazione, di una casa, di cui l’altro convivente, premorto, era proprietario. Il fondamento giuridico di tale decisione va ravvisato nella considerazione che “nel rapporto di fatto con il bene, costituito dal possesso tutelato ex lege, il convivente non può essere discriminato rispetto ai componenti della famiglia legittima”; il possesso deve essere però continuo, pacifico e pubblico.

Successione nel contratto di locazione della casa di comune residenza per il convivente di fatto in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto.

Questo tema è stato ampiamente affrontato dalla giurisprudenza e si deve segnalare, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 1988, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 1, della legge n. 392 del 1978 (cd. legge sull’equo canone) in materia di locazione di immobili urbani, nella parte in cui non prevede il convivente more uxorio fra coloro che, in caso di morte del conduttore, possono succedere nella titolarità del contratto di locazione. La Consulta, nell’esaminare sotto vari profili la posizione del convivente more uxorio e nell’allargare con sentenza additiva ad esso la tutela prevista, ebbe ad individuare la ragione giustificativa della tutela e, quindi, della successione nel contratto locativo, nell’individuazione del profilo di dignità costituzionale del c.d. diritto all’abitazione. Tuttavia, l’illegittimità dell’art. 6 della L. 392 – nel diverso caso di semplice cessazione della convivenza da parte del conduttore – è dichiarata solo nella parte in cui non prevede la successione nel contratto a favore del convivente di questi, quando vi sia prole naturale. Solo attraverso la tutela del figlio naturale viene indirettamente tutelato anche il convivente more uxorio. I tentativi di equiparare la situazione del convivente con prole a quello senza prole ai fini della successione nel contratto di locazione con la motivazione che la residua esclusione del convivente more uxorio risulterebbe ormai priva di ragionevolezza e tale da vulnerare il fondamentale diritto alla abitazione sono stati puntualmente respinti dalla Consulta (v. C. cost., ordinanze n. 204 del 2003 e n. 7 del 2010).

I partner possono, inoltre, stipulare un contratto di convivenza, attraverso il quale disciplinare i loro rapporti patrimoniali.

Nella legge si specificano i possibili contenuti del contratto, attraverso il quale i partner possono fissare la comune residenza, indicare le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni, cui si applicano le regole del codice civile.

Il contratto di convivenza si risolve in caso di morte; di recesso unilaterale o di accordo tra le parti; in caso di matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un terzo.

Alla cessazione della convivenza di fatto potrà conseguire il diritto agli alimenti in capo ad uno dei due partner. Tale diritto deve essere affermato da un giudice ove il convivente versi in stato di bisogno e non sia non è in grado di provvedere al proprio mantenimento (ex art. 438 c.c.). Spetta allo stesso giudice determinare la misura degli alimenti (quella prevista dal codice civile) nonché la durata dell’obbligo alimentare in proporzione alla durata della convivenza..

Per saperne di più:

Dossier

Fonte: Camera dei Deputati

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