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TUTELA CONSUMATORI: recupero crediti e pratiche commerciali sleali. – QUOTIDIANO LEGALE
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TUTELA CONSUMATORI: recupero crediti e pratiche commerciali sleali.

La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione ratione materiae il rapporto giuridico tra una società di recupero crediti e il debitore inadempiente di un contratto di credito al consumo il cui debito è stato ceduto a tale società. Rientrano nella nozione di «prodotto», ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva, le pratiche poste in essere da una tale società per procedere al recupero del suo credito. A tal proposito, non rileva la circostanza che il debito sia stato confermato da una decisione giudiziaria e che tale decisione sia stata comunicata a un ufficiale giudiziario per darvi esecuzione forzata.

 

CORTE DI GIUSTIZIA UE Sez.10^ 26/07/2017 Sentenza C-357/16

SENTENZA DELLA CORTE (Decima Sezione)

20 luglio 2017

«Rinvio pregiudiziale – Pratiche commerciali sleali – Direttiva 2005/29/CE – Ambito di applicazione – Società di recupero crediti – Credito al consumo – Cessione di crediti – Natura del rapporto giuridico tra la società e il debitore – Articolo 2, lettera c) – Nozione di “prodotto” – Misure di recupero attuate parallelamente all’intervento di un ufficiale giudiziario»

Nella causa C-357/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Lietuvos vyriausiasis administracinis teismas (Corte amministrativa suprema, Lituania), con decisione del 20 giugno 2016, pervenuta in cancelleria il 28 giugno 2016, nel procedimento

«Gelvora» UAB

contro

Valstybinė vartotojų teisių apsaugos tarnyba,

LA CORTE (Decima Sezione),

composta da M. Berger, presidente di sezione, A. Borg Barthet (relatore) e E. Levits, giudici,

avvocato generale: E. Tanchev

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

– per il governo lituano, da D. Kriaučiūnas, A. Mikočiūnienė e G. Taluntytė, in qualità di agenti;

– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da B. Tidore, avvocato dello Stato;

– per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

– per la Commissione europea, da G. Goddin e A. Steiblytė, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di un procedimento tra la «Gelvora» UAB e il Valstybinė vartotojų teisių apsaugos tarnyba (Ufficio nazionale per la tutela dei diritti dei consumatori; in prosieguo: l’«ufficio») in ordine alla decisione di quest’ultimo di sanzionare detta società per aver posto in essere pratiche commerciali sleali.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3 Il considerando 13 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali così recita:

«Per conseguire gli obiettivi comunitari mediante l’eliminazione degli ostacoli al mercato interno, è necessario sostituire le clausole generali e i principi giuridici divergenti attualmente in vigore negli Stati membri. Il divieto unico generale comune istituito dalla presente direttiva si applica pertanto alle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Per sostenere la fiducia da parte dei consumatori il divieto generale dovrebbe applicarsi parimenti a pratiche commerciali sleali che si verificano all’esterno di un eventuale rapporto contrattuale tra un professionista ed un consumatore o in seguito alla conclusione di un contratto e durante la sua esecuzione. Il divieto generale si articola attraverso norme riguardanti le due tipologie di pratiche commerciali più diffuse, vale a dire le pratiche commerciali ingannevoli e quelle aggressive».

4 L’articolo 2 di tale direttiva così dispone:

«Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si deve intendere per:

(…)

c) “prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

d) “pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

(…)».

5 L’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva è formulato come segue:

«La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto».

Diritto lituano

6 La Lietuvos Respublikos nesąžiningos komercinės veiklos vartotojams draudimo įstatymas (legge sul divieto delle pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori), del 21 dicembre 2007, recepisce la direttiva sulle pratiche commerciali sleali nel diritto interno.

7 L’articolo 2, punto 8, di tale legge definisce la nozione di «prodotto» mentre l’articolo 3, paragrafo 1 e paragrafo 2, punto 1, prevede, da un lato, il divieto generale delle pratiche commerciali sleali e, dall’altro, le condizioni in presenza delle quali una pratica commerciale è considerata sleale.

8 Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, punto 4, di detta legge, un’azione ingannevole consiste nella comunicazione di informazioni false o idonee a indurre in errore il consumatore medio riguardo al prezzo del prodotto, il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo.

9 L’articolo 6, paragrafo 1, punto 1, della legge sul divieto delle pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori dispone che un azione che induca o sia idonea a indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, è considerata omissione ingannevole ossia omissione di informazioni rilevanti di cui il consumatore ha bisogno per assumere una decisione consapevole. L’articolo 6, paragrafo 3, punto 3, di tale legge prevede che siano considerate rilevanti le informazioni su un’offerta commerciale.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

10 La Gelvora, una società privata di recupero crediti, ha stipulato con talune banche contratti di cessione di credito, in base ai quali ha acquisito diritti di credito, sorti a seguito di contratti di credito al consumo stipulati tra le banche cedenti e i consumatori. Fondandosi sui suoi contratti di cessione, la Gelvora ha posto in essere atti di recupero dei crediti nei confronti dei debitori, in certi casi in concomitanza con procedure di recupero forzato da parte di ufficiali giudiziari, in base a decisioni giudiziarie definitive.

11 In tale contesto, quattro consumatori hanno presentato ricorso contro la Gelvora presso l’ufficio, il quale l’ha condannata per aver violato le disposizioni nazionali sul divieto delle pratiche commerciali sleali.

12 L’ufficio è giunto alla conclusione che le pratiche commerciali della Gelvora erano contrarie all’articolo 3, paragrafo 1, della legge sul divieto delle pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori e le ha applicato un’ammenda pari a EUR 3 475,44.

13 La Gelvora ha proposto ricorso di annullamento della decisione dell’ufficio dinanzi al Vilniaus apygardos administracinis teismas (Corte amministrativa regionale di Vilnius, Lituania).

14 Con sentenza del 18 maggio 2015, tale organo giurisdizionale ha respinto il ricorso della Gelvora in quanto infondato.

15 Detto giudice ha ritenuto, fra l’altro, che il rapporto fra i debitori e la Gelvora fosse un rapporto tra un professionista e dei consumatori e ha considerato che tale società era un professionista che forniva ai consumatori un prodotto o un servizio, ossia l’amministrazione del debito.

16 La Gelvora ha proposto appello contro tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, il Lietuvos vyriausiasis administracinis teismas (Corte amministrativa suprema, Lituania), il quale ha ritenuto che la soluzione della controversia sottopostagli dipenda dall’interpretazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

17 Date tali circostanze, il Lietuvos vyriausiasis administracinis teismas (Corte suprema amministrativa della Lituania) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se il rapporto giuridico fra una società che ha acquisito un diritto di credito in forza di un contratto di cessione di credito e una persona fisica il cui indebitamento è sorto sulla base di un contratto di credito al consumo, laddove la società ponga in essere atti di recupero del credito, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva [sulle pratiche commerciali sleali].

2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se nel termine “prodotto” di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva [sulle pratiche commerciali sleali], rientrino atti posti in essere nell’esercizio del diritto di credito acquisito in forza a un contratto di cessione del credito nel contesto del recupero dei crediti da una persona fisica, il cui indebitamento è sorto sulla base di un contratto di credito al consumo stipulato con il creditore originario.

3) Se il rapporto giuridico fra una società che ha acquisito un diritto di credito in forza di un contratto di cessione di credito e una persona fisica il cui indebitamento è sorto sulla base di un contratto di credito al consumo ed è già stato accertato da una decisione giudiziaria passata in giudicato e trasmesso all’ufficiale giudiziario per l’esecuzione forzata, laddove la società ponga in essere atti di recupero del credito paralleli, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva [sulle pratiche commerciali sleali].

4) In caso di risposta affermativa alla terza questione, se nel termine “prodotto” di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva [sulle pratiche commerciali sleali] rientrino atti posti in essere nell’esercizio del diritto di credito acquisito in forza di un contratto di cessione del credito nel contesto del recupero dei crediti da una persona fisica, il cui indebitamento è sorto sulla base di un contratto di credito al consumo stipulato con il creditore originario ed è stato accertato mediante una decisione giudiziaria passata in giudicato e trasmesso all’ufficiale giudiziario per l’esecuzione forzata».

Sulle questioni pregiudiziali

18 Con le quattro questioni che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il rapporto giuridico tra una società privata di recupero crediti e il debitore inadempiente di un contratto di credito al consumo il cui debito è stato ceduto a tale società rientri nell’ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e, in caso affermativo, se le pratiche poste in essere da tale società per procedere al recupero del suo credito rientrino nella nozione di «prodotto», ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva. Il giudice del rinvio chiede poi se tale risposta resti la stessa anche qualora l’esistenza del debito sia stata confermata da una decisione giudiziaria e tale decisione sia stata comunicata a un ufficiale giudiziario per darvi esecuzione forzata.

19 Per quanto attiene, innanzitutto, al sapere se un’azione di recupero del credito possa rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, occorre rammentare, da un lato, che l’articolo 2, lettera d), di tale direttiva definisce, impiegando una formulazione particolarmente estesa, la nozione di «pratica commerciale» come «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori» (sentenza del 19 settembre 2013, CHS Tour Services, C-435/11, EU:C:2013:574, punto 27).

20 Dall’altro, in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, letto alla luce del considerando 13 della stessa, tale direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali poste in essere da un’impresa, anche all’esterno di un eventuale rapporto contrattuale, o prima o dopo la conclusione di un contratto, o in seguito alla conclusione di un contratto oppure durante la sua esecuzione.

21 Pertanto, i termini «direttamente connessa alla promozione» comprendono qualsiasi atto adottato in relazione non soltanto alla conclusione di un contratto, ma anche alla sua esecuzione e, in particolare, gli atti adottati per ottenere il pagamento del prodotto.

22 Nel caso di specie, si evince dalla decisione di rinvio che i crediti ceduti alla Gelvora originano dalla prestazione di un servizio, la messa a disposizione di un credito, la cui contropartita è la riscossione del credito in rate maggiorate di un tasso d’interesse fissato in precedenza.

23 I servizi di recupero del credito, quali quelli di cui al procedimento principale, possono, pertanto, essere considerati un «prodotto» ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

24 Una simile affermazione non è, poi, inficiata dal fatto, menzionato nella prima e nella terza questione pregiudiziale, che gli atti di recupero siano adottati da una persona giuridica che ha acquisito un diritto di credito nei confronti di un consumatore in seguito alla cessione di tale diritto da parte del creditore originario e che agisce nei confronti di tale consumatore in qualità di professionista.

25 Infatti, sebbene una società di recupero crediti, come la Gelvora, non presti al consumatore un servizio di credito al consumo in quanto tale, ciò non toglie che l’azione che compie, ossia il recupero di crediti cedutile, rientri nella nozione di eventuale «pratica commerciale» sleale, ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, qualora gli atti adottati siano suscettibili di influenzare la decisione del consumatore in ordine al pagamento del prodotto.

26 Ciò premesso, la Commissione nel documento intitolato «Orientamenti per l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali», del 25 maggio 2016 [SWD(2016) 163 final], precisa che le attività di recupero dei crediti devono essere considerate pratiche commerciali post-vendita. Inoltre, si evince dagli esempi citati dalla Commissione in tale documento che un certo numero di giudici nazionali considera che le attività delle società di recupero crediti rientrano nell’ambito d’applicazione di tale direttiva.

27 Orbene, da un lato, i presupposti per il recupero di un credito dovuto da un consumatore possono rivestire un’importanza tale da poter influenzare in maniera determinante la decisione del consumatore di contrarre un debito, in particolare, quando gli atti adottati ai fini del recupero prendono forme simili a quelle di cui trattasi nel procedimento principale.

28 Dall’altro lato, non applicare la direttiva sulle pratiche commerciali sleali alle operazioni di riscossione del credito in caso di cessione del credito, potrebbe mettere in discussione l’effetto utile della tutela accordata ai consumatori da tale direttiva, dato che i professionisti potrebbero essere tentati di separare la fase di recupero, per non essere assoggettati alle disposizioni di tutela di detta direttiva.

29 Per lo stesso motivo, infine, il fatto che l’esigibilità del debito sia stata confermata da una decisione giudiziaria e che la società di recupero crediti ponga in essere, in parallelo a tale procedura di riscossione forzata, altre autonome misure di recupero, non ha conseguenze sulla risposta fornita.

30 Invero, oltre al fatto che porre in essere atti del genere parallelamente a una procedura di riscossione forzata tramite ufficiale giudiziario può indurre in errore il debitore in ordine alla natura della procedura alla quale è messo di fronte, l’effetto utile della tutela garantita al consumatore dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali esige che il professionista, che ha deciso di agire in maniera autonoma per recuperare i debiti, sia assoggettato alle disposizioni della citata direttiva per quanto riguarda gli atti che adotta per conto proprio, in parallelo a un procedimento di esecuzione forzata.

31 Alla luce delle suesposte considerazioni, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali deve essere interpretata nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione ratione materiae il rapporto giuridico tra una società di recupero crediti e il debitore inadempiente di un contratto di credito al consumo il cui debito è stato ceduto a tale società. Rientrano nella nozione di «prodotto», ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva, le pratiche poste in essere da una tale società per procedere al recupero del suo credito. A tal proposito, non rileva la circostanza che il debito sia stato confermato da una decisione giudiziaria e che tale decisione sia stata comunicata a un ufficiale giudiziario per darvi esecuzione forzata.

Sulle spese

32 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) dichiara:

La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione ratione materiae il rapporto giuridico tra una società di recupero crediti e il 022 di un contratto di credito al consumo il cui debito è stato ceduto a tale società. Rientrano nella nozione di «prodotto», ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva, le pratiche poste in essere da una tale società per procedere al recupero del suo credito. A tal proposito, non rileva la circostanza che il debito sia stato confermato da una decisione giudiziaria e che tale decisione sia stata comunicata a un ufficiale giudiziario per darvi esecuzione forzata.

Firme

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