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TRIBUTARIO: test di operatività delle società cd. di comodo.

 

Al fine della prova contraria in tema di società non operative, sono irrilevanti le scelte volontarie del contribuente, quanto piuttosto necessarie “oggettive situazioni” esimenti.
Decisione: Ordinanza n. 8218/2017 Cassazione Civile – Sezione VI

Classificazione: Tributario

 

 

Il caso.

 

Una SAS e i suoi soci proponevano ricorso avverso avviso di accertamento per l’anno 2006, emesso in virtù del mancato conseguimento del reddito minimo previsto per le cd. “società di comodo”: la società eccepiva che in tale annualità la società aveva affittato la propria unica azienda, e pertanto non poteva applicarsi la disposizione in esame.
Il ricorso veniva accolto in primo grado, ma l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, e la Commissione di secondo grado ribaltava l’esito.
La società e i soci ricorrono per cassazione, la quale respinge il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese.

 
La decisione.

 

La Cassazione liquida la questione richiamandosi a due precedenti pronunce sul tema, nelle quali si evidenzia l’inversione dell’onere della prova sul contribuente, il quale può fornire la prova contraria: «Va infatti ribadito che «In materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della 1. n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del dl. n. 223 del 2006, conv. nella 1. n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, sicché la determinazione dell’imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13699 del 05/07/2016, Rv. 640340); altresì analogamente che «In materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto» (Sez. 5, Sentenza n. 21358 del 21/10/2015, Rv. 636908)».
Il Collegio ritiene che nel caso di specie il giudice del merito sia esente da censure: «Orbene, la Commissione di secondo grado ha fatto corretta applicazione di tali principi -con giudizio che quanto al merito non può essere sindacato in questa sede- rilevando in fatto che nell’annualità fiscale de qua la società contribuente “.. è stata gestita in perdita senza obiettivi di profitto immediati e concreti, perché l’unico bene di prprietà, costituito da un albergo in Riva del Garda, è stato ceduto un locazione a terzi, ad un canone che correttamente è stato ritenuto incongruo rispetto alle condizioni di mercato e non remunerativo rispetto alle rilevanti spese di risanamento e ristrutturazione sostenute nel corso degli anni 2004 e 2005 registrate nel libro dei cespiti ammortizzabili nella misura complessiva di curo 365.833,36 e tanto basta per non superare il cosidetto “test di operatività”, senza bisogno di indagare e rivelare l’esistenza di intenzioni fraudolente od elusive”; inoltre che la società contribuente non aveva dato la prova contraria che le incombeva, in particolare a fronte della “plateale antieconomicità delle spese di ristrutturazione della struttura alberghiera..” e che non potevasi applicare la previsione di cui al comma 4 bis dell’art. 30, legge 724/1994 essendo a tal fine irrilevanti le scelte volontarie del contribuente, quali quella della società ricorrente, quanto piuttosto necessarie “oggettive situazioni” esimenti».
La Suprema Corte rigetta quindi il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.

 

 

Osservazioni.

 

Purtroppo pare che la Cassazione abbia perso un’occasione per fissare principi di diritto importanti in tema di società di comodo: il fatto che nell’annualità oggetto di accertamento (2006) la società abbia riportato una perdita “senza obiettivi di profitto immediati e concreti, perché l’unico bene di proprietà, costituito da un albergo in Riva del Garda, è stato ceduto in locazione a terzi, ad un canone che correttamente è stato ritenuto incongruo rispetto alle condizioni di mercato e non remunerativo rispetto alle rilevanti spese di risanamento e ristrutturazione sostenute nel corso degli anni 2004 e 2005” è, a dir poco, sconcertante.
Premesso che ciò che rileva ai fini delle imposte e del test di operatività non sono gli obiettivi di profitto, bensì i risultati economici effettivi – tra l’altro i risultati fiscali dopo le variazioni in aumento e in diminuzione – e non quelli che ci si ripropone di conseguire, non è dato capire come il Collegio abbia valutato la questione: dapprima si evidenzia che la società ricorrente aveva affittato la propria azienda, mentre in motivazione si argomenta che la società ha “ceduto” in locazione a terzi “l’unico bene di proprietà, costituito da un albergo” a un canone incongruo rispetto alle condizioni di mercato.
Sarebbe utile sapere in base a quali criteri siano state individuate le “condizioni di mercato” per l’affitto dell’azienda alberghiera (cd. gestione”), ma ciò che lascia sempre sorpresi in tema di società di comodo è l’assoluta irrilevanza della realtà specifica: sebbene il legislatore abbia previsto la possibilità di fornire la prova contraria, la giurisprudenza ha assunto un orientamento particolarmente restrittivo nel riconoscerne la ricorrenza, col risultato – nella sostanza – di aggravare la già triste previsione normativa in tema di società di comodo.
E per la Suprema Corte, nel caso di specie le scelte volontarie del contribuente, che avrebbe dovuto fornire la prova contraria a fronte della “plateale” antieconomicità delle spese di ristrutturazione della struttura alberghiera, sono irrilevanti: ciò che occorre, a tal fine,sono “oggettive situazioni” esimenti.
In pratica, l’Erario non ammette inefficienze da parte delle imprese contribuenti, ma quello che purtroppo la giurisprudenza non considera, è che le imprese sono soggette al cd. “rischio di impresa”: non hanno un reddito minimo garantito.

 

 

Giurisprudenza rilevante.
Cass. 13699/2016

Cass. 21358/2015.

 

 

Disposizioni rilevanti.

 

LEGGE 23 dicembre 1994, n. 724

Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

Art. 30 – Società di comodo. Valutazione dei titoli

1. Agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali: a) il 2 per cento al valore dei beni indicati nell’ articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e delle quote di partecipazione nelle società commerciali di cui all’articolo 5 del medesimo testo unico, anche se i predetti beni e partecipazioni costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti; b) il 6 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell’articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, anche in locazione finanziaria; per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ridotta al 5 per cento; per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti, la percentuale è ulteriormente ridotta al 4 per cento; per tutti gli immobili situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dell’1 per cento; c) il 15 per cento al valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria. Le disposizioni del primo periodo non si applicano: 1) ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali; 2) ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta; 3) alle società in amministrazione controllata o straordinaria; 4) alle società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonché alle stesse società ed enti quotati ed alle società da essi controllate, anche indirettamente; 5) alle società esercenti pubblici servizi di trasporto; 6) alle società con un numero di soci non inferiore a 50. PERIODO SOPPRESSO DALLA L. 24 DICEMBRE 2007, N. 244. 6-bis) alle società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità; 6-ter) alle società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo; 6-quater) alle società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (raggruppamento A del conto economico) superiore al totale attivo dello stato patrimoniale; 6-quinquies) alle società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20 per cento del capitale sociale; 6-sexies) alle società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.

2. Ai fini dell’applicazione del comma 1, i ricavi e i proventi nonché i valori dei beni e delle immobilizzazioni vanno assunti in base alle risultanze medie dell’esercizio e dei due precedenti. Per la determinazione del valore dei beni si applica l’articolo 110, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; per i beni in locazione finanziaria si assume il costo sostenuto dall’impresa concedente, ovvero, in mancanza di documentazione, la somma dei canoni di locazione e del prezzo di riscatto risultanti dal contratto.

3. Fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta personale sul reddito per le società e per gli enti non operativi indicati nel comma 1 si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore all’ammontare della somma degli importi derivanti dall’applicazione, ai valori dei beni posseduti nell’esercizio, delle seguenti percentuali: a) l’1,50 per cento sul valore dei beni indicati nella lettera a) del comma 1; b) il 4,75 per cento sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell’articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, anche in locazione finanziaria; per le immobilizzazioni costituite da beni immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti la predetta percentuale è ridotta al 3 per cento; per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ulteriormente ridotta al 4 per cento; per tutti gli immobili situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dello 0,9 per cento; c) il 12 per cento sul valore complessivo delle altre immobilizzazioni anche in locazione finanziaria. Le perdite di esercizi precedenti possono essere computate soltanto in diminuzione della parte di reddito eccedente quello minimo di cui al presente comma.

3-bis. Fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive per le società e per gli enti non operativi indicati nel comma 1 si presume che il valore della produzione netta non sia inferiore al reddito minimo determinato ai sensi del comma 3 aumentato delle retribuzioni sostenute per il personale dipendente, dei compensi spettanti ai collaboratori coordinati e continuativi, di quelli per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e degli interessi passivi.

4. Per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso nè può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o di cessione ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154. Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi.

4-bis. In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può interpellare l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente.

4-ter. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate possono essere individuate determinate situazioni oggettive, non trovano applicazione le disposizioni di cui al presente articolo.

4-quater. Il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni di cui al comma 4-bis ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista dal medesimo comma ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve darne separata indicazione nella dichiarazione dei redditi.

5.COMMA NON PIU’ PREVISTO DALLA L. 23 DICEMBRE 1996, N. 662.

6.COMMA NON PIU’ PREVISTO DALLA L. 23 DICEMBRE 1996, N. 662.

7.COMMA NON PIU’ PREVISTO DALLA L. 23 DICEMBRE 1996, N. 662.

8. Il comma 2 dell’articolo 61 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è sostituito dal seguente:

“2. Ai fini del raggruppamento in categorie omogenee non si tiene conto del valore e si considerano della stessa natura i titoli emessi dallo stesso soggetto ed aventi uguali caratteristiche”.

9. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 6 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 1994.

10. COMMA ABROGATO DAL D.L. 23 FEBBRAIO 1995, N. 41, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA L. 22 MARZO 1995, N. 85.

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