Spiega la nota, che “l’intervento di Napolitano, è dovuto al fatto che il capo dello Stato ha ritenuto le decisioni della Procura siciliana, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione”. Nel tentativo di ricercare una verità scomoda (questo è l’unica cosa sicura), soprattutto un Capo dello Stato, deve intelligentemente rinunciare a testa alta a qualsiasi prerogativa. Ancor di più quando si indaga su reati che attentano lo Stato democratico e la stessa Costituzione come lo fece la famosa trattativa segreta tra una parte dello Stato e la mafia.
Alla determinazione di sollevare il confitto, il presidente Napolitano è pervenuto ritenendo “dovere del presidente della Repubblica”, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, “evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la costituzione gli attribuisce”. Ma sembra proprio un’arrampicata sugli specchi, una giustificazione da incutere indignazione a qualsiasi cittadino per bene, che vuole, senza se e senza ma la verità sulle stragi e su uno dei periodi più bui della storia d’Italia.