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Trattativa Stato-mafia. Napolitano frena i giudici di Palermo.

di Fulvio Conti Guglia. Qualcuno non vuole che si scopra la verità sulle stragi. In un momento così delicato, dove è necessario rigore, onestà, trasparenza appare fuori tempo e fuori luogo (tra qualche giorno ricorre l’anniversario della strage di Via D’Amelio) l’atto del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di affidare all’avvocatura generale dello Stato l’incarico di rappresentare la presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della procura di Palermo per le decisioni assunte da quest’ultima su intercettazioni di conversazioni telefoniche del capo dello Stato nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia. E’ proprio il Presidente Napolitano, il garante delle istituzioni, a cercare di gettare discredito verso una procura che “nell’esercizio del proprio dovere” ha innumerevoli morti alle spalle.

Spiega la nota, che “l’intervento di Napolitano, è dovuto al fatto che il capo dello Stato ha ritenuto le decisioni della Procura siciliana, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione”. Nel tentativo di ricercare una verità scomoda (questo è l’unica cosa sicura), soprattutto un Capo dello Stato, deve intelligentemente rinunciare a testa alta a qualsiasi prerogativa. Ancor di più quando si indaga su reati che attentano lo Stato democratico e la stessa Costituzione come lo fece la famosa trattativa segreta tra una parte dello Stato e la mafia.

Alla determinazione di sollevare il confitto, il presidente Napolitano è pervenuto ritenendo “dovere del presidente della Repubblica”, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, “evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la costituzione gli attribuisce”. Ma sembra proprio un’arrampicata sugli specchi, una giustificazione da incutere indignazione a qualsiasi cittadino per bene, che vuole, senza se e senza ma la verità sulle stragi e su uno dei periodi più bui della storia d’Italia.

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