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di Carlo Rapicavoli –

Nemmeno la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme, che hanno impedito ai cittadini di eleggere gli organi delle Province in scadenza nella primavera 2012 ed hanno determinato il conseguente commissariamento, è stato sufficiente per ottenere dal TAR del Lazio una sentenza.

Ci riferiamo al ricorso presentato dalla Provincia di Ancona nel 2012 per l’annullamento del decreto del Prefetto di Ancona prot. n. 11129 del 6.3.2012 e del decreto del Ministero dell’Interno in data 24 febbraio 2012, aventi ad oggetto la convocazione per i giorni 6 e 7 maggio 2012 dei comizi per l’elezione dei sindaci e dei consigli comunali nonché per l’elezione dei consigli circoscrizionali, nella parte in cui hanno omesso di prevedere le elezioni del Presidente della Provincia di Ancona e del Consiglio provinciale di Ancona.

Dopo un primo esame il TAR Marche, con l’Ordinanza n. 139/2013 ha rimesso la questione al TAR Lazio per competenza.

Il 6 giugno scorso la questione è stata discussa il 6 giugno e rimessa in decisione.

Tuttavia i Giudici in camera di consiglio il 24 luglio rilevano che, successivamente alla trattazione della causa all’udienza pubblica del 6 giugno 2013, è stata depositata la sentenza 19 luglio 2013, n. 220, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011 e degli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012, con i quali è stata operata la cosiddetta “riforma delle Province” per violazione dell’art. 77 Cost..

Pertanto con Ordinanza n. 8083/2013, depositata ieri, fissano una nuova udienza per il 5 dicembre 2013.

A sostegno del rinvio, i Giudici richiamano il caso in cui entra in vigore una nuova normativa (dispiegante effetti sostanziali o processuali sul rapporto controverso) nell’intervallo di tempo intercorrente tra la deliberazione e la pubblicazione della sentenza, nel quale, per garantire il contraddittorio processuale, occorre riportare la causa sul ruolo per una nuova trattazione della medesima in udienza pubblica, in applicazione analogica dell’art. 73, comma 3 del codice del processo amministrativo, attesa l’evidente identità di ratio.

La decisione appare criticabile sotto l’aspetto sostanziale.

Da oltre sedici mesi la Provincia di Ancona (la Provincia di Belluno, per lo stesso motivo, ormai da due anni) è gestita da un commissario straordinario e si è impedito, per due tornate elettorali amministrative successive – nel 2012 e nel 2013 – ai cittadini di quella Provincia di eleggere i propri rappresentanti.

Ciò è avvenuto in virtù della disposizione dell’art. 23 del decreto “salva Italia” secondo cui “agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’art. 141 del D. Lgs. 267/2000 (commissariamento)”, dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 220/2013.

Con la Legge di stabilità 2013 (art. 1, comma 115, della Legge 228/2012) sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2013 i commissariamenti delle Province in essere o di quelle Province i cui organi sono in scadenza nel 2013. In questo caso si tratta di una proroga della gestione commissariale che trae la sua fonte in norme dichiarate incostituzionali e, pertanto, evidentemente affette da incostituzionalità derivata.

La sentenza n. 220/2013 della Corte Costituzionale avrebbe richiesto un tempestivo ripristino della situazione di illegittimità tanto più che è evidente che la sospensione delle elezioni è un evento straordinario, ammissibile soltanto in precise e circoscritte situazioni definite dalla legge.

Al riguardo, è utile ricordare la sentenza n. 103/1993 della Corte Costituzionale, che, nel considerare costituzionalmente legittima l’ipotesi di scioglimento dei consigli per infiltrazioni mafiose, ha sottolineato come “l’aspetto proprio delle autonomie, quale quello della rappresentatività degli organi di amministrazione, possa temporaneamente cedere di fronte alla necessità di assicurare l’ordinato svolgimento della vita delle comunità locali, nel rispetto delle libertà di tutti ed al riparo da soprusi e sopraffazioni, estremamente probabili quando sui loro organi elettivi la criminalità organizzata possa immediatamente riprendere ad esercitare pressioni e condizionamenti”.

Si tratta evidentemente di ipotesi eccezionali che non sussistono assolutamente nelle previsioni di cui oggi si discute.

E va notato che la sentenza 103/1993 è precedente alla modifica del titolo V della Costituzione, che ha riconosciuto, rafforzato e garantito ulteriormente lo status degli Enti Locali.

Nella sentenza 106/2002 si legge: “Il nuovo Titolo V ha disegnato di certo un nuovo modo d’essere del sistema delle autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuità nelle relazioni tra Stato e regioni che sono stati in tal modo introdotti non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranità popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall’inizio dell’esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranità popolare”.

Se è vero che le Province, al pari dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, nel disegno costituzionale (rafforzato dal nuovo titolo V, ma già presente nel disegno costituzionale originario) hanno la comune essenza fondata sul principio democratico e sulla sovranità popolare, è evidente che la sospensione delle elezioni non può protrarsi per anni, in virtù di una ipotetica ed incerta riforma.

Da qui la critica alla decisione di ulteriore rinvio da parte del TAR. La sentenza della Corte Costituzionale esigeva un immediato ripristino della legalità.

Se è vero infatti che la Legge 7 giugno 1991 n. 182 prevede che le elezioni dei consigli comunali e provinciali devono svolgersi in un turno annuale ordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno se il mandato scade nel primo semestre dell’anno ovvero nello stesso periodo dell’anno successivo se il mandato scade nel secondo semestre, è anche vero che , in più occasioni, con apposite norme si è derogato al principio generale fissando le elezioni amministrative in date diverse.

Il ripristino del principio democratico, sancito dalla Costituzione e ribadito dalla Consulta come abbiamo visto sopra, avrebbe dovuto legittimare chiaramente una deroga alle date fissate dalla Legge 182/1991.

Ed in questa direzione, la decisione del TAR avrebbe avuto il merito di superare una situazione intollerabile.

Alla mancata decisione del TAR si aggiunge la decisione del Governo di prorogare ulteriormente i commissariamenti

L’art. 12 del D. L. 14 agosto 2013 n. 93 prevede infatti:

1) La conferma dei provvedimenti di scioglimento degli organi e di nomina dei commissari nelle amministrazioni provinciali disposti in applicazione dell’art. 23 del decreto salva Italia, dichiarato incostituzionale con la sentenza 220/2013;

2) La proroga dei commissariamenti in essere fino al 30 giugno 2014;

3) Il commissariamento degli Enti i cui organi cessano per scadenza naturale o altri motivi nel periodo dal 1° gennaio al 30 giugno 2014.

Rinviamo ad un precedente intervento l’analisi di tale disposizione che il Parlamento, in sede di conversione in legge, auspicabilmente dovrebbe modificare.

Resta il fatto che, ad oltre diciotto mesi dalla presentazione del ricorso, e malgrado le pronunce della Corte Costituzionale, saranno necessari ulteriori tre mesi per attendere una prima pronuncia del Tribunale Amministrativo su temi che investono principi fondamentali del nostro ordinamento.

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