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di Carlo Rapicavoli

Fra le disposizioni di cui si è discusso di più, contenute nel decreto semplificazioni, vi sono quelle relative alla responsabilità erariale e penale di amministratori, dirigenti e funzionari pubblici, erariale e quella penale.

La modifica normativa è giustificata da una finalità apprezzabile, quella di cercare un migliore equilibrio tra controllo di legalità e separazione dei poteri, aspirando a neutralizzare sconfinamenti indebiti da parte del potere giudiziario sulla discrezionalità amministrativa,
Il timore di decidere, la difficile scelta tra più soluzioni contrastanti ma anche essere continuamente esposti all’azione di chi, ritenendosi danneggiato o purtroppo, spesso, come modalità di azione politica, denunzi ipotetici reati, è un dato oggettivo. Con gravissimi e spesso irreparabili contraccolpi sul piano reputazionale.

Sino a quando il procedimento è pendente, il pubblico amministratore, in violazione della presunzione costituzionale di non colpevolezza, diviene vittima di una gogna mediatica giustizialista e dovrà sopportare il discredito sociale causato dalla divulgazione della mera notizia di una indagine a suo carico
Le statistiche evidenziano che dell’enorme quantità di procedimenti penali avviati per abuso d’ufficio solo una limitatissima percentuale si conclude con una sentenza definitiva di condanna; secondo Istat e Ministero della Giustizia, nel 2016 sono stati aperti 6.970 procedimenti per abuso d’ufficio, che hanno portato soltanto a 46 condannati con sentenza irrevocabile; nel 2017 i procedimenti sono stati 6.582, con 57 condannati.

Se questi sono i dati, tuttavia non appare che la soluzione adottata sia la più coerente ed efficace.

Mi permetto una breve riflessione.

Semplificare significa “Rendere semplice o più semplice; rendere più agile e funzionale; facilitare, agevolare, alleggerire…”(voc. Treccani).

La produzione normativa degli ultimi tempi è tutt’altro che semplice: spesso illeggibile, non coordinata, contraddittoria, corredata da una miriade di norme di attuazione.
Non sono mai definite con certezza le competenze, con sovrapposizioni e lungaggini insostenibili.
Tentativi di “decreti semplificazioni” ne sono stati fatti tanti; l’ultimo contiene certamente norme utili e attese.
Ma l’approccio non può essere quello da più parti sostenuto: l’amministrazione pubblica non funziona come dovrebbe perché i funzionari pubblici hanno paura di decidere o di firmare.
Ancora più negativo il messaggio: sblocchiamo la pubblica amministrazione introducendo un’area maggiore di non punibilità, così acceleriamo le procedure.

La responsabilità per danno erariale.
Oggi tale responsabilità da parte dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, è disciplinata dall’art. 1 l. 14 gennaio 1994, n. 20, ai sensi del quale “è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”.
Il decreto-semplificazioni (art. 21) modifica questa disciplina:
Si precisa che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”.
Indicazione abbastanza ovvia, che sembra determinare un’estensione dell’onere probatorio che renderebbe pertanto più difficile affermare la responsabilità.
Nulla viene detto per l’accertamento della colpa grave (fatta salva la deroga prevista per un periodo limitato dal secondo comma); mi permetto di dubitare che sia ragionevole ritenere responsabile chi ha agito con colpa, per quanto grave, e non chi ha agito con dolo, sia pure in relazione alla sola condotta e non all’evento di danno.
Per i fatti commessi dall’entrata in vigore del decreto semplificazioni e fino al 31 luglio 2021 la responsabilità “è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta”.
Per il periodo di un anno è stata abolita la responsabilità erariale per colpa grave, salva tuttavia l’ipotesi di danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente, rispetto ai quali si prevede che non si applichi la predetta limitazione di responsabilità.

Che senso ha questa norma? Si tratta di uno “scudo” che consente di agire, per un anno, senza rischi anche se con “negligenza, imprudenza o imperizia”?

D’altra parte se la responsabilità erariale per “colpa grave” ha avuto come effetti quello di paralizzare o, quanto meno, ritardare l’azione amministrativa – cosa in parte fondata – non è certo la deroga temporale la soluzione. Andrebbe davvero riformata, non derogata, la disciplina sulla responsabilità.

Si torna al tema centrale: semplificare. Solo con norme chiare, sarebbe chiara la responsabilità.

E tutti quei funzionari che, per agire nell’interesse pubblico, in precedenza hanno subito procedimenti per responsabilità erariale per colpa, solo perché hanno deciso di agire incappando in qualche violazione formale, cosa dovrebbero pensare adesso?

Va ricordato, altresì, che anche la giurisdizione di contabilità è soggetta al generale principio di legalità dal quale la giurisprudenza costituzionale ha tratto molti corollari: tra questi il principio di irretroattività, di tassatività e di determinatezza. Ciò pone in una luce ancora più problematica e di rispondenza ai principi costituzionalmente garantiti l’ipotesi di condotte rilevanti sotto il profilo della responsabilità in un certo tempo, non più tali per un periodo definito, nuovamente rilevanti in un periodo successivo.

La responsabilità penale.
Il decreto (art. 23 modifica la disciplina del reato di abuso d’ufficio. Le parole violazione “di norme di legge e di regolamento” sono sostituite dalle seguenti: violazione “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Anche in questo caso, l’intento dichiarato è di rasserenare funzionari e amministratori pubblici, chiamati a ‘darsi da fare’ per facilitare la ripresa del paese.
Con tale modifica:
1) è stata esclusa la rilevanza della violazione di norme contenute in regolamenti: l’abuso potrà infatti essere integrato solo dalla violazione di “regole di condotta…previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”, cioè da fonti primarie;
2) si è precisato che rileva la sola inosservanza di regole di condotta “specifiche” ed “espressamente previste” dalle citate fonti primarie;
3) si è altresì precisato che rilevano solo regole di condotta “dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Sono tante le criticità: dall’irragionevole l’esclusione dei regolamenti nei quali spesso si rinvengono infatti regole di condotta espresse e specifiche alla difficile delimitazione della “discrezionalità amministrativa”.
Trattandosi di norma penale, la modifica avrà effetti anche sui procedimenti in corso e sui fatti già commessi secondo i principi generali sulla successione delle leggi penali nel tempo.

Il nostro ordinamento ha urgente bisogno di “semplificazioni” vere. Sono molti i fattori che incidono sull’efficacia dell’azione amministrativa, tra i quali soprattutto la confusione legislativa, l’insufficienza degli organici, la carenza di risorse, la sovrapposizione di competenze.

I funzionari pubblici hanno urgente bisogno di “certezza del diritto”. Non chiedono “scudi” o impunità; ma la serenità di poter operare applicando norme certe e chiare e la certezza che i comportamenti illeciti siano puniti a tutela della stragrande maggioranza dei pubblici dipendenti che, malgrado tutto, servono le Istituzioni al meglio delle possibilità date.

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