di Stefano Nespor. E’ scomparso qualche giorno fa Ronald Dworkin, uno dei più importanti filosofi del diritto del nostro tempo. E non solo: nella sua lunga attività Dworkin si è occupato di diritto costituzionale, di politica del diritto, di diritti umani e in generale degli argomenti di attualità nella politica americana che ha seguito e commentato nella New York Review of Books, ponendosi come uno degli esponenti dell’ala liberal-progressista della cultura giuridica americana. Voglio qui ricordare due articoli recentemente apparsi su quella rivista.
L’ultimo in ordine di tempo è The Case against Color-Blind Admissions del 20 dicembre 2012 dove Dworkin sostiene la legittimità costituzionale e l’importanza etica delle Affirmative actions per l’accesso all’università delle minoranze , in occasione di un giudizio di fronte alla Corte Suprema (il cui esito sarà reso noto fra qualche giorno), ove sono stati contestati i principi fissati oltre quarant’anni prima dalla stessa Corte Suprema nella causa Bakke vs. University of Davis (ove, con una decisione assai sofferta, furono dichiarate incostituzionali le quote per l’ammissione, ma furono salvati i vari sistemi posti in essere dalle università per garantire l’accesso alle minoranze).
L’altro, Why the Mandate is constitutional, è del maggio 2012: è un’approfondita analisi a sostegno della riforma sanitaria di Obama che dimostra come la stessa risponda appieno ai principi della Costituzione americana. Entrambi gli articoli possono essere letti online nella ampia scelta dei suoi articoli offerta dalla New York Review of Books per ricordarne l’opera.
Il suo libro forse più noto, Taking rights seriously (colpevolmente tradotto in Italia con cinque anni di ritardo) è apparso nel 1977,allorché Dworkin era da due anni docente alla New York University). Ha suscitato subito grande scalpore nel mondo giuridico americano perché si poneva in contrasto con la linea dominante nella cultura giuridica anglosassone, basata da un lato sul positivismo di Kelsen reinterpretato da E. H. L. Hart, di cui Dworkin è stato alunno ad Oxford (The concept of law è del 1961), dall’altro sull’utilitarismo di tradizione britannica. In una sorta di originale recupero del giusnaturalismo e di elaborazione di un sistema etico del liberalismo, Dworkin muove da due idee cardine: la dignità umana e l’uguaglianza giuridica e politica. La sua tesi fondamentale è che i diritti individuali, in particolar modo i diritti umani, non possono essere lasciati alla mercé degli stati e preesistono alla codificazione anche a livello costituzionale: i diritti individuali, sosteneva, sono come le briscole: spazzano via qualsiasi altra esigenza o regola che venga loro contrapposta. Proprio per questo, Dworkin si è sempre schierato a favore della piena libertà di scelta dell’individuo per tutto ciò che concerne la propria vita e la propria morte.
La legge non è fatta, osservava Dworkin, solo da regole e disposizioni, ma anche da principi etici racchiusi nell’insieme dell’ordinamento giuridico: compito del giudice è tenerne conto e interpretare le disposizioni alla luce di quei principi.
Due sono le regole fondanti di qualsiasi politica liberale connotata eticamente. La prima è che ciascuno deve aver diritto di realizzare le proprie aspirazioni in condizioni di partenza uguali a quelle degli altri; la seconda è che nel realizzare le proprie aspirazioni ciascuno è responsabile delle proprie azioni. Come si vede, particolare importanza era attribuita all’uguaglianza che secondo Dworkin costituisce assieme alla libertà il pilastro di un vero stato liberale (non è in conflitto con quest’ultima come sosteneva per esempio Berlin). ed è proprio l’uguaglianza che Dworkin negli ultimi anni vedeva in pericolo, con catastrofiche conseguenze per il liberalismo etico di cui era sostenitore.