Breve estratto da “Parole e diritto” di Stefano Rodotà in occasione dell’intervento al Festival di filosofia di Cagliari terza edizione del Festival.
…“Parto da una premessa: il diritto è un linguaggio, le leggi sono un insieme di parole che da una parte descrive una realtà e dall’altra detta comportamenti. Questa realtà può essere descritta in modo chiaro e comprensibile come è nella Costituzione Italiana, in cui si capisce subito cosa vuol dire, oppure in un modo in cui il cittadino non capisce cosa significhino le parole.”
L’ articolo 54 della Costituzione dice che tutti i cittadini devono rispettare la e le leggi, e questa può apparire un’ovvietà. Ma poi si dice che chi riveste impieghi di funzione pubblica deve svolgerle con disciplina e onore. Non basta non violare le leggi. Quante volte da politici inquisiti ci siamo sentiti dire ‘ma dov’è il reato?’. Loro hanno un dovere in più e dove manchi disciplina e onore non si deve finire in galera ma ci vogliono quanto meno le dimissioni e la restituzione del maltolto. O si rimettono in primo piano queste due parole ‘disciplina e onore’ oppure la reazione comune rimarrà di sconfitta e resa di fronte al malcostume”.
…‘Disciplina e onore’ non è uno slogan ma un valore che va rimesso al centro della vita pubblica e se un funzionario pubblico si comporta in modo difforme deve essere sanzionato altrimenti il cittadino si allontana dalle istituzioni e con ragione”.
Si approfondisce, all’interno dell’intervento, il tema del linguaggio giuridico-legislativo e delle difficoltà per il cittadino di interpretarlo… Per dirla con Cesare Beccaria, il legislatore usa una “lingua straniera al popolo” violando così il diritto del cittadino a conoscere la legge alla quale pure deve uniformarsi. Siamo al tema della democrazia e del potere perché “conoscere il diritto è uno strumento di potere”, sostiene Rodotà servono dei “codici scritti in una lingua compresa dal popolo”. Perché “quando il diritto si fa lingua complessa, bisogna andare dai giuristi” cha fanno da mediatori. Ma “mettere i cittadini in grado di conoscere le norme è necessario perché questi possano dare o meno il proprio consenso. La conoscenza è alla base dell’accettabilità giuridica della regola”.
È una questione di libertà e fra le libertà – in tema di linguaggio – c’è quella di parola, ad esempio, quella della libera espressione del pensiero che purtroppo spesso si scontra con la libertà altrui a non essere diffamato o ingiuriato. C’è quindi un “dicibile” che deve essere enunciato in modo comprensibile, ma pure un “indicibile”: qualcosa sulla quale la legge non si può e non si deve pronunciare, temi che non devono essere normati. Ad esempio il diritto di habeas corpus, strumento per la salvaguardia della libertà individuale contro l’azione arbitraria dello Stato. “Tu Stato non puoi toccare il mio corpo se io non voglio essere salvato”.
Tra gli interventi del pubblico, c’è chi sostiene le proprie tesi citando ancora – Dei delitti e delle pene – di Cesare Beccaria che quest’anno compie il suo 250° anniversario. E chi evidenzia come le leggi troppo spesso non nascano a mente fredda ma sull’onda delle emozioni e delle pressioni di piazza. Il legislatore si fa quindi influenzare dalle proteste e dal senso comune di chi alza la voce, piuttosto che dalle acquisizioni scientifiche e razionali. Alle osservazioni della platea, Stefano Rodotà, rilancia una provocazione raccontando di una coppia di lesbiche sordo-mute di Washington che ha scelto di avere un figlio sordo grazie alla riproduzione assistita e a un donatore di sperma, affetto anch’egli da sordità, per assicurare che il figlio nascesse non udente come loro. La scienza lo ha permesso ma sono eventi che fanno riflettere anche perché il motivo per cui le due donne hanno deciso di avere un figlio è perché hanno ritenuto “la comunità dei sordomuti più accogliente” rispetto a quella dei normodotati.