Riciclaggio configurabile anche col trasferimento di fondi nella stessa banca
Commento a Decisione Giurisprudenziale
Integra il delitto di riciclaggio anche il trasferimento di fondi tra conti correnti accesi presso lo stesso istituto di credito; poiché il delitto di riciclaggio è costruito come una norma penale a più fattispecie, nelle ipotesi in cui il reato sia stato commesso mediante lo spostamento di fondi su conto corrente, il prelievo in contanti o il trasferimento del denaro da un conto all’altro costituiscono non già un mero post factum, bensì un’ulteriore modalità di commissione del reato.
Decisione: Sentenza n. 11836/2018 Cassazione Penale – Sezione II
Classificazione: Penale
Il caso.
Il caso esaminato dalla cassazione riguardava trasferimenti effettuati sulla stessa banca, e veniva contestato il reato di riciclaggio continuato, ritenendo l’imputato colpevole a titolo di concorso per ingenti prelievi in contanti di denaro di altro soggetto.
Il ricorrente aveva ricevuto 10mila euro con l’obbligo di riconsegnarli nei giorni successivi con assegno circolare accompagnato da una dichiarazione di donazione, in modo da far apparire l’operazione una liberalità.
Il ricorso, basato su diversi motivi, viene ritenuto infondato.
La decisione.
Il Collegio riassume i termini del ricorso e passa quindi ad argomentare in diritto.
Dapprima ricorda le caratteristiche del reato di riciclaggio: «tale reato è qualificato dal legislatore come reato di pura condotta che si consuma con la messa in atto della sostituzione, del trasferimento o dell’operazione che ostacola l’identificazione dei proventi. La prima delle condotte tipizzate dalla norma è quella della sostituzione che consiste nella effettuazione di una serie di operazioni bancarie, finanziarie e commerciali finalizzate a separare il compendio criminoso del reato presupposto impendendone ogni possibile collegamento. Nella disposizione normativa individuata l’ ipotesi del vero e proprio “trasferimento” di beni o denaro di provenienza illecita compare, poi, subito dopo il riferimento all’ipotesi generale rappresentata dal compimento di “qualsiasi operazione”, l’inciso “in modo da ostacolare l’identificazione”, identificando l’effetto tipico del riciclaggio in quello della dissimulazione dell’origine del denaro, dei beni o delle utilità, per cui è penalmente sanzionato il comportamento che si concreta “proprio in un ostacolo allo specifico aspetto delle operazioni investigative, o inquirenti, indicato dalla norma”».
E precisa che «Non occorre, tuttavia, che l’ostacolo all’individuazione dell’origine del profitto sia effettivo e che sia venuto concretamente in essere, essendo sufficiente che la condotta di “ripulitura” del provento delittuoso dia luogo ad una difficoltà nell’individuazione della provenienza dei beni: in sostanza il comportamento non deve determinare un’oggettiva impossibilità di accertare l’origine criminosa dei valori trasferiti ma deve possedere una significativa insidiosità in tal senso e la presenza di tale carattere è rivelata dalla idoneità della condotta contestata ad ostacolare in concreto l’identificazione della provenienza delittuosa dell’oggetto del reato».
Quindi, richiamandosi a precedente giurisprudenza, ricorda che «integra tale delitto anche il trasferimento di fondi tra conti correnti accesi presso lo stesso istituto di credito, con l’ulteriore precisazione che “poiché il delitto di riciclaggio è costruito come una norma penale a più fattispecie, nelle ipotesi in cui il reato sia stato commesso mediante lo spostamento di fondi su conto corrente, il prelievo in contanti o il trasferimento del denaro da un conto all’altro costituiscono non già un mero post factum, bensì un’ulteriore modalità di commissione del delitto” (v. Sez. 2, n. 1924 del 18/12/2015, dep. 2016, Roberti e altri, Rv. 265988)».
Per la Suprema Corte, «si è in presenza di un fatto di riciclaggio ogni qualvolta il singolo, ricevuta una somma di denaro provento di reato, lo reimpiega mediante versamento su conti correnti bancari intestati a proprio nome con l’intento di mascherare l’effettiva provenienza dello stesso e con la consapevolezza che in tal modo sarebbe stato possibile reimmetterlo sul mercato per compiere attività finanziaria o nel settore immobiliare in modo da rendere più difficile l’accertamento della sua provenienza; il denaro proveniente da reato perde, quindi, la sua individualità e viene a confondersi con somme aventi provenienza lecite e depositate regolarmente presso la banca».
Poi la Cassazione affronta l’aspetto legato alla distinzione tra la responsabilità per riciclaggio e quella per il concorso nel reato presupposto: «in tema di riciclaggio di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, il criterio per distinguere la responsabilità in ordine a tale titolo di reato dalla responsabilità per il concorso nel reato presupposto – che escluderebbe la prima – non può essere solo quello temporale ma occorre, in più, che il giudice verifichi, caso per caso, se la preventiva assicurazione di “lavare” il denaro abbia realmente (o meno) influenzato o rafforzato, nell’autore del reato principale, la decisione di delinquere».
Il Collegio ha osservato che, a prescindere da ogni ulteriore valutazione in ordine alla concreta rilevanza del relativo profilo, non risultano accertati in fatto elementi idonei a comprovare un concorso del soggetto che aveva prelevato le somme in contanti nel reato presupposto di evasione fiscale, apparendo, quindi, prive di fondamento le contestazioni di parte ricorrente, che aveva invocato la configurabilità del concorso nel reato presupposto, escludendo l’imputabilità a titolo di riciclaggio».
La Suprema Corte ha anche richiamato precedente giurisprudenza, ricordando che «in tema di riciclaggio, non è necessario che il delitto presupposto risulti accertato con sentenza passata in giudicato, ma è sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza; ne consegue che non può essere automaticamente esclusa la configurabilità del delitto di riciclaggio, per effetto della intervenuta archiviazione del procedimento relativo al reato presupposto, trattandosi di decisione non suscettibile di giudicato (Sez. 2, n. 10746 del 21/11/2014 – dep. 13/03/2015, Bassini, Rv. 26315601)».
Infine, la Cassazione affronta il tema dell’elemento psicologico del reato, di cui il ricorrente aveva censurato il difetto di motivazione: «quanto all’elemento soggettivo del reato in questione è necessaria la consapevolezza della provenienza delittuosa del bene reinvestito e la volontà di ostacolarne, con una condotta idonea, l’identificazione della provenienza. Tale profilo volontaristico consente di distinguere il riciclaggio dalla ricettazione, posto che per altri aspetti l’elemento psicologico fra i due illeciti coincide – in particolare – con riferimento alla volontaria ricezione della cosa con la consapevolezza della sua provenienza criminale. In giurisprudenza è stato evidenziato che l’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio (art. 648-bis cod. pen.) è integrato dal dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa dei beni e nella consapevolezza di tale provenienza (Sez. 5, n. 25924 del 02/02/2017, Bassanello, Rv. 270199), precisandosi, altresì, che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione perché richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto ma per lo scopo ulteriore di far perdere le tracce dell’origine illecita (Sez. 2, n. 19907 del 19/02/2009, Abruzzese e altri, Rv. 244879). Si è pure chiarito che in tema di riciclaggio si configura il dolo nella forma eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Sez. 2, n. 8330 del 26/11/2013, dep. 2014, Antonicelli e altri, Rv. 259010)».
La Corte rigetta quindi il ricorso.
Osservazioni.
Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, il delitto di riciclaggio è un reato a forma libera, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive.
Nel caso in cui le condotte consumative del reato siano molteplici e attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere.
Giurisprudenza rilevante.
Cass. 25924/2017
Cass. 7986/2016
Cass. 1924/2015
Cass. 52645/2014
Cass. 10746/2014
Cass. 3397/2012
Cass. 19907/2009
Cass. 8432/2007
Disposizioni rilevanti.
Art. 648-bis Riciclaggio
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 a euro 25.000.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.