REVERSE CHARGE CESSIONE ROTTAMI.
AGENZIA DELLE ENTRATE
Direzione Centrale Grandi contribuenti
Risposta n. 528/2021
OGGETTO: reverse charge cessione rottami
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
Alfa SPA (di seguito anche l’istante), società che opera nel settore dell’imbottigliamento delle acque minerali, ha costruito a… uno stabilimento per il riciclo delle bottiglie (di PET) provenienti dalla raccolta differenziata (effettuata dal CONAI, dai Comuni e dai privati raccoglitori).
Le complesse attività di riciclo possono così sintetizzarsi:
– selezione e lavaggio delle bottiglie,
– controllo elettronico al fine di eliminare i materiali differenti dal PET,
– pre-lavaggio per rimuovere lo sporco superficiale,
– macinazione al fine di ridurre le bottiglie in scaglia (e permettere una successiva separazione del PET da tappi ed etichette, che invece affrontano un processo di asciugatura per poi essere insaccati in big bag),
– lavaggio,
– asciugatura,
– rimozione della parte più fine generata dalla fase di macinazione, tramite setacci ed aspirazione (depolverizzazione),
– controllo elettronico sulla scaglia volto ad eliminare eventuali residui di contaminanti,
– decontaminazione del PET attraverso calore e vuoto, che gli conferisce un grado alimentare pari a quello della materia prima vergine.
Le scaglie di R-PET (cioè PET Riciclato) così prodotte:
– in parte sono utilizzate nel processo successivo, svolto dalla stessa Alfa, nel quale vengono miscelate con altro PET (vergine) per alimentare il processo di iniezione e stampaggio delle preforme, destinate ad essere trasformate in bottiglie negli stabilimenti di imbottigliamento;
– per il residuo sono cedute a terzi.
Sono altresì ceduti a terzi i (sotto) prodotti del processo di cui sopra.
L’istanza d’interpello riguarda il corretto trattamento IVA delle cessioni a terzi dei seguenti prodotti derivanti dal processo di riciclo sopra evidenziato:
a) scaglie di R PET “conformi” (commercializzabili alle condizioni del capitolato tecnico …);
b) scaglie di R PET “non conformi” (in quanto inquinate da altri materiali o fuori tolleranza per le dimensioni, e quindi non commercializzabili alle condizioni del capitolato tecnico…);
c) scaglie di tappi ed etichette, polvere di PET.
Al fine di consentire un corretto inquadramento dei menzionati prodotti l’istante fornisce una sintetica descrizione dell’uso che ne viene ragionevolmente fatto dalla clientela:
a) scaglie di R PET “conformi”: i clienti le utilizzano quale vero e proprio PET;
b) scaglie di R PET “non conformi”:
· scaglie fini (più piccole della specifica tecnica…); i clienti granulano il materiale, che viene poi impiegato per la produzione di fibre tessili di bassa qualità;
· scaglie diversamente colorate: i clienti granulano il materiale, che viene poi impiegato per la produzione di preforme di taniche per olii minerali o detergenza;
c) scaglie di tappi ed etichette, polvere di PET:
· scaglie di tappi: i clienti granulano il materiale, che viene poi impiegato per la produzione di tubi, suppellettili da giardino, vassoi, ecc.;
· scaglie di etichette: i clienti granulano il materiale, che viene poi impiegato come inerte in edilizia o come isolante termico;
· polvere di PET: i clienti granulano il materiale, che viene poi impiegato per la produzione di preforme di taniche per olii minerali o detergenza.
Tanto premesso, con riferimento ai prodotti su menzionati, l’istante chiede se siano qualificabili come materiale pronto per essere utilizzato in un processo industriale (c.d. “pronto al forno”), oppure, al contrario, beni di recupero o di scarto (ossia “rottami”) al fine dell’individuazione del regime di fatturazione (reverse charge o fattura ordinaria).
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
A parere dell’istante, i prodotti derivanti dal riciclo della plastica (scaglie di R PET “conformi”, scaglie di R PET “non conformi”, scaglie di tappi ed etichette, polvere di PET) rappresentano materiale pronto per essere utilizzato in un processo industriale (c.d. “pronto al forno”), e non beni di recupero o di scarto (ossia “rottami”), con la conseguenza che le relative cessioni a terzi dovrebbero essere assoggettate a IVA, secondo il regime ordinario, con aliquota del 22 per cento (l’istante a conforto della propria tesi richiama i seguenti documenti di prassi Risoluzione Ministeriale n. 38/E dell’ 8 marzo 2007, Circolare n. 43/E del 12 maggio 2008, Risoluzione Ministeriale n. 454/E del 1 dicembre 2008).
Oltre ai citati documenti di prassi, l’istante fa riferimento alla risposta ad un interpello della ex Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, (di cui però non fornisce i riferimenti puntuali ma solo un estratto del contenuto) nella quale la citata Direzione Centrale, richiamando la risoluzione 38/E del 2007, afferma che gli acquisti di macinati di polietilene ad alta densità e di polipropilene derivanti dall’attività di recupero di diversi tipi di prodotti in plastica, trattandosi di materiale pronto per essere utilizzato in un processo industriale (c.d. “pronto al forno”), e non quindi di un bene di recupero o di scarto (ossia di un “rottame”), non è applicabile il regime del “reverse charge” di cui al comma 7 dell’art.74 del DPR 633/72, ma il regime IVA ordinario.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Giova preliminarmente evidenziare che il quesito posto dall’istante presuppone l’espletamento di attività di accertamento tecnico di natura extra tributaria finalizzate a correttamente inquadrare i diversi processi descritti nell’istanza, sinteticamente illustrati e catalogati secondo l’utilizzo che del bene fa il cliente istante.
La presente risposta è resa, pertanto, assumendo acriticamente la veridicità e correttezza della descrizione fornita, esulando dall’area dell’interpello ogni attività volta a correttamente inquadrare la tipologia di attività svolte sui beni ai fini del loro inquadramento nelle disposizioni fiscali di riferimento.
Pertanto, fermo restando quanto sopra, nel merito del quesito posto si osserva che, sul piano fiscale, l’articolo 74, settimo comma, del Decreto del Presidente della Repubblica del 26/10/1972 n. 633 (di seguito D.P.R. n. 633 del 1972), dispone che “ Per le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi e dei relativi lavori, di carta da macero, di stracci e di scarti di ossa, di pelli, di vetri (…) intendendosi comprese anche quelle relative agli anzidetti beni che siano stati ripuliti, selezionati, tagliati, compattati, lingottati o sottoposti ad altri trattamenti atti a facilitarne l’utilizzazione, il trasporto e lo stoccaggio senza modificarne la natura, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario in luogo del cedente. (…) Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche per le cessioni dei semilavorati di metalli ferrosi di cui alle seguenti voci della tariffa doganale (…)”.
Il successivo comma ottavo prevede che: “Le disposizioni del precedente comma si applicano anche per le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli non ferrosi e dei relativi lavori, dei semilavorati di metalli non ferrosi di cui alle seguenti voci della tariffa doganale comune (…)”.
Le richiamate disposizioni stabiliscono che il soggetto che cede i summenzionati beni emetta fattura senza addebitare l’IVA, essendo posto a carico del cessionario l’obbligo di integrare la fattura con la relativa imposta secondo il meccanismo dell’inversione contabile (c.d. reverse charge).
La norma è finalizzata al contrasto delle frodi in materia di IVA, come indicato dalla Direttiva n. 2006/69/CE del Consiglio. In merito all’applicazione dell’articolo 74, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per gli aspetti che qui interessano, la scrivente si è pronunciata in diverse occasioni al fine di delimitare l’ambito di applicazione della norma. In particolare, la Circolare n. 43 del 12 maggio 2008 ha chiarito che “Le cessioni di rottami che rilevano ai fini delle disposizioni in esame sono sia quelle di rottami “nuovi” (ossia gli scarti di lavorazione) sia i rottami “vecchi”, provenienti, ad esempio, dalla raccolta dei rifiuti.
Il citato art. 74, settimo comma, del DPR n. 633 del 1972, nell’elencare i beni alle cui cessioni si rende applicabile il regime dell’inversione contabile, include, oltre ai rottami, cascami, carta da macero, stracci, ecc., anche i medesimi beni che abbiano subito determinate lavorazioni quali: ripulitura, selezione, taglio, ecc. “senza modificarne la natura”. Con particolare riferimento al materiale derivante dalla raccolta differenziata dei rifiuti che per poter essere riciclato, viene sottoposto a lavorazioni che consentono di ottenere un materiale idoneo ad un successivo impiego, la stessa Circolare ha precisato che “In tale tipologia di materiale rientra anche il cosiddetto “pronto al forno”; ossia un prodotto che, sebbene merceologicamente configuri una materia prima secondaria, ai fini fiscali può essere considerato comunque un rottame fino alla sua utilizzazione finale attraverso la c.d. “rifusione”.
Il citato documento di prassi ha concluso che, agli effetti dell’articolo 74, comma 7, “le lavorazioni effettuate sui rottami devono essere quelle richiamate nella norma (ripulitura, selezione, compattamento, lingottamento ecc.) e che il prodotto ottenuto (compreso il vetro), qualificabile anche come “pronto al forno”, non risulti modificato nella natura e sia ancora a tutti gli effetti un rottame, ovvero un bene non più utilizzabile secondo l’originaria destinazione se non sottoposto a successive lavorazioni.”
Riguardo allo specifico settore della plastica, la risoluzione n. 454/E del 1° dicembre 2008 ha chiarito che la cessione del materiale plastico di scarto “è da assoggettare al regime del “reverse charge” a condizione che il materiale in questione sia qualificabile come rottame ovvero bene che in assoluto non è utilizzabile rispetto alla sua primitiva destinazione se non attraverso una fase di lavorazione e trasformazione. Resta inteso che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni in esame, le lavorazioni effettuate sul rottame devono essere quelle richiamate nel comma 7 del menzionato art. 74 (ripulitura, selezione, compattamento, lingottamento, ecc.) e che il prodotto ottenuto (qualificabile anche come “pronto al forno”, come peraltro dichiarato dall’istante) non risulti modificato nella natura e sia ancora a tutti gli effetti un rottame, ovvero un bene non più utilizzabile secondo l’originaria destinazione se non sottoposto a successive lavorazioni”.
Ai fini dell’individuazione del regime applicabile, pertanto, non è possibile prescindere da un’analisi tanto delle caratteristiche del prodotto quanto delle tipologie di lavorazioni a cui è sottoposto.
Tanto premesso, applicando i principi innanzi delineati al caso di specie, sulla base della rappresentazione effettuata dall’istante soprattutto in sede di documentazione integrativa, assunta in questa sede acriticamente, si concorda con la tesi dell’istante, secondo cui i prodotti descritti in istanza (scaglie di R PET “conformi”, “non conformi”, scaglie di tappi ed etichette, polvere di PET) derivanti dal riciclo della plastica non rientrano nell’ambito applicativo del comma 7 dell’articolo 74 del DPR 633 del 1972.
Giova osservare che in risposta alla richiesta di documentazione integrativa, l’istante ha meglio precisato che il complesso processo di riciclo attuato da Alfa (e descritto nelle specifiche sezioni) sostanzialmente è volto a modificare sensibilmente la natura di “rottame derivato” (proveniente dalla raccolta differenziata dei rifiuti) delle bottiglie, rendendole idonee a essere utilizzate direttamente in nuovi processi produttivi.
In particolare, le attività di riciclo sono particolarmente complesse in ragione del fatto che il materiale in ingresso (rottame) contiene una variabilità estremamente elevata in termini di presenza di altri materiali diversi dal PET e, per lo scopo, “inquinanti”.
Il processo di eliminazione/purificazione prevede, in particolare, i seguenti passaggi:
– il (sub) processo di selezione, volto a eliminare o ridurre ai minimi termini la presenza di materiali diversi dal solo PET;
– il (sub) processo di macinazione e produzione di scaglie geometricamente comprese tra i 4 ed i 12 mm, che permette alle stesse di essere utilizzabili direttamente in processi a valle (stampaggio, estrusione e se voluto granulazione);
– i (sub) processi di lavaggio, asciugatura e depolveratura, che sono necessari a rendere la scaglia direttamente utilizzabile per un processo a valle, perchè permettono di abbattere residuo organico, umidità e polverino (caratteristiche di ostacolo qualitativo).
In sostanza, in base a quanto dichiarato, il processo di riciclo attuato fornisce prodotti (scaglie di R PET “conformi”, scaglie di R PET “non conformi”, scaglie di tappi ed etichette, polvere di PET) pronti per essere utilizzati in un processo industriale (“pronti al forno”) e non beni di recupero o di scarto (“rottami”).
Inoltre, con riferimento alla natura e gli effetti del processo di lavorazione cui verosimilmente (dipendendo ciò dalle specifiche esigenze del cliente) verranno sottoposti presso l’acquirente i su citati prodotti (scaglie di R PET “non conformi” e scaglie di tappi ed etichette, polvere di PET), l’istante specifica che il processo (necessario qualora si voglia produrre un granulo di riciclato partendo dalla scaglia) si articola in due fasi successive:
– estrusione (essiccazione e fusione a circa 270°);
– granulazione (raffreddamento del fuso e taglio dello stesso in granulo).
Tale processo secondo l’istante ” è, pertanto, un processo di lavorazione industriale di prodotti già precedentemente “pronti al forno”. Il mutamento, per ciascuno dei suddetti prodotti, della propria natura da “rottame” a “pronto al forno” si verifica, infatti, per effetto del processo di riciclo attuato dalla… e non per effetto del successivo processo verosimilmente attuato dai clienti di…”.
Pertanto, anche alla luce dei chiarimenti resi nella documentazione integrativa, si ritiene che l’istante possa applicare l’Iva sulle cessioni dei beni in commento attraverso la fatturazione ordinaria, non trattandosi di cessioni di rottame nella accezione sopra delineata.
Si rappresenta, infine, che detta conclusione è coerente con i chiarimenti forniti con la Risoluzione 38/E dell’8 marzo 2007, in occasione della quale il “pronto al forno” esaminato è stato escluso dall’ambito applicativo dell’art. 74, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, in ragione del fatto che il processo di lavorazione subìto dal bene era complesso e diverso dalle lavorazioni previste dal citato articolo.
IL DIRETTORE CENTRALE
(firmato digitalmente)