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Responsabilita’ sanitaria: incremento del 40% del compenso per incarichi collegiali.

 

CORTE COSTITUZIONALE 15 aprile – 20 maggio 2021 SENTENZA  N. 102

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Spese di  giustizia  -  Incarichi  collegiali  -  Consulenti  tecnici
  d'ufficio e dei periti nei giudizi di responsabilita'  sanitaria  -
  Determinazione del compenso globale - Aumento del 40 per cento  per
  ciascuno degli altri componenti del collegio, come previsto per gli
  incarichi collegiali di natura tecnica relativi a materie diverse -
  Esclusione   -   Disparita'   di   trattamento   -   Illegittimita'
  costituzionale parziale. 
- Legge 8 marzo 2017, n. 24, art. 15, comma 4. 
- Costituzione, art. 3. 

(GU n.21 del 26-5-2021 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  15,  comma
4, della legge 8 marzo  2017,  n.  24  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche' in materia di
responsabilita'  professionale   degli   esercenti   le   professioni
sanitarie),  promosso  dal  Tribunale  ordinario   di   Verona,   nel
procedimento vertente tra E. M. e altri contro l'Azienda  ospedaliera
integrata di Verona, con ordinanza del 4 maggio 2020, iscritta al  n.
160 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Udito nella camera di consiglio del 14  aprile  2021  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 15 aprile 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 4 maggio  2020,  iscritta  al  n.  160  del
registro  ordinanze  2020,  il  Tribunale  ordinario  di  Verona   in
composizione monocratica - nel corso di un giudizio  di  risarcimento
dei danni per responsabilita' sanitaria, intrapreso dai figli  di  un
paziente deceduto dopo  essere  stato  sottoposto  ad  un  intervento
neurochirurgico, giudizio nel quale era stato conferito  un  incarico
di consulenza tecnica d'ufficio ad un collegio composto da un  medico
legale e da un infettivologo - ha sollevato, in riferimento  all'art.
3  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 15, comma 4, della legge 8 marzo 2017, n. 24  (Disposizioni
in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche'
in  materia  di  responsabilita'  professionale  degli  esercenti  le
professioni sanitarie), nella parte in cui «vieta in maniera drastica
l'aumento, nella misura del 40 per cento, del compenso  spettante  al
singolo, per ciascuno degli altri componenti  del  collegio,  che  e'
invece previsto, dall'art. 53 d.P.R. 115/2002, per la quasi totalita'
degli incarichi collegiali». 
    1.1.- Il giudice rimettente evidenzia, in punto di rilevanza, che
- ove si fosse potuto applicare l'aumento  di  cui  all'art.  53  del
decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia (Testo A)»  -  al  collegio  che  ha
svolto l'incarico nel giudizio principale si sarebbe potuto liquidare
un importo globale pari ad euro  3.113,50,  mentre,  in  ragione  del
divieto stabilito dalla norma censurata, la misura del  compenso  non
avrebbe potuto superare la soglia di euro 2.418,93, sulla scorta  del
criterio fondato sulle  vacazioni,  applicabile  al  caso  di  specie
secondo la giurisprudenza di legittimita'. 
    Osserva, quindi, che la previsione impugnata incide  direttamente
sui termini quantitativi della liquidazione spettante  ai  componenti
del  collegio  peritale,  che  hanno  avanzato  la  relativa  istanza
all'esito dello svolgimento dell'incarico conferito. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
rileva che la previsione  censurata  deroga  in  maniera  vistosa  al
criterio posto dal citato art. 53, che non solo prevede, in  caso  di
perizia collegiale, un aumento della misura del compenso spettante al
singolo ausiliario, ma ne correla l'entita' al numero dei  componenti
del collegio. Tale difformita' tra  le  due  discipline  risulterebbe
irragionevole e, pertanto, si porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  3
Cost.,  non  essendo  ravvisabile   alcun   motivo   per   retribuire
l'attivita' dei componenti di un collegio  peritale  nei  giudizi  in
materia di responsabilita' sanitaria in misura inferiore  rispetto  a
quella di collegi composti da esperti in discipline diverse da quella
medica o comunque  afferente  ad  altre  tipologie  di  controversie.
Siffatto regime sottenderebbe una  valutazione  normativa  di  minore
difficolta' delle consulenze tecniche d'ufficio espletate nei giudizi
in tema di responsabilita' sanitaria, che sarebbe discriminatoria, in
quanto generalizzata, ma anche non pertinente, poiche' spesso  questo
tipo  di  indagini  presenterebbe   un   notevole   coefficiente   di
difficolta' e richiederebbe un particolare impegno. 
    1.2.1.-  Argomenta  il  Tribunale   di   Verona,   ad   ulteriore
dimostrazione della irragionevolezza  della  disposizione  censurata,
che, ai sensi dell'art. 2, comma 5, del decreto  del  Ministro  della
Salute 19 luglio 2016, n. 165 (Regolamento recante la  determinazione
dei  parametri  per  la  liquidazione   da   parte   di   un   organo
giurisdizionale dei compensi per  le  professioni  regolamentate,  ai
sensi dell'articolo 9  del  decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1,
convertito, con modificazioni, nella legge  24  marzo  2012,  n.  27.
Medici veterinari, farmacisti, psicologi,  infermieri,  ostetriche  e
tecnici sanitari di radiologia medica), pur essendo previsto che,  in
caso di c.t.u. che coinvolga una  pluralita'  di  medici  veterinari,
farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici  sanitari  di
radiologia medica, il  compenso  sia  unico  a  fronte  dell'incarico
collegiale conferito, l'organo giurisdizionale puo'  aumentarlo  fino
al  doppio.  In  questo  caso  il  legislatore   avrebbe,   pertanto,
riconosciuto la facolta'  al  magistrato  di  liquidare  un  onorario
maggiore di quello spettante al singolo consulente,  sul  presupposto
che la perizia collegiale giustifichi un aumento dell'onorario. 
    1.2.2.- Un'ulteriore causa di  irragionevolezza  del  divieto  di
aumento censurato deriverebbe dal fatto che la riduzione del compenso
dei consulenti incaricati collegialmente opererebbe in un contesto in
cui i criteri di computo sono gia' inadeguati  per  difetto  rispetto
all'impegno richiesto. E', al  riguardo,  evocato  il  precedente  di
questa  Corte  (sentenza  n.  192  del  2015),  che   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 106-bis del d.P.R.  n.  115
del 2002, come introdotto dall'art. 1, comma 606, lettera  b),  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  -  legge  di  stabilita'
2014), «nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo
degli importi spettanti all'ausiliario del magistrato sia operata  in
caso di applicazione di previsioni tariffarie non  adeguate  a  norma
dell'art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002». 
    Precisa,  su  tale  aspetto,  il  giudice  a  quo  che  l'inerzia
amministrativa   nell'adeguamento   dei    compensi,    stigmatizzata
nell'occasione da questa Corte, e'  proseguita  sino  all'attualita',
tanto da giustificare la conclusione secondo cui la  base  tariffaria
sulla  quale  calcolare   i   compensi   risulta   ormai   seriamente
sproporzionata per difetto, anche a voler considerare che  la  misura
degli   onorari   in   esame,   rapportata   alle   vigenti   tariffe
professionali, deve essere  contemperata  in  relazione  alla  natura
pubblicistica della  prestazione  richiesta.  Con  l'effetto  che  la
mancata attuazione in sede amministrativa del vincolo di  adeguamento
previsto dalla fonte  primaria  costituiva  un  dato  caratterizzante
della materia sulla quale il legislatore si apprestava ad incidere: e
il non averne tenuto conto, nel momento in cui  e'  stato  deciso  un
significativo intervento di riduzione, indurrebbe a concludere che la
scelta  legislativa  abbia  superato  il   limite   della   manifesta
irragionevolezza. 
    Ne inferisce  il  Tribunale  di  Verona  che  anche  nel  settore
interessato  dalla  disposizione   censurata   possano   determinarsi
ricadute di sistema, poiche' la disciplina descritta, per  un  verso,
puo' favorire  applicazioni  strumentali  o  addirittura  illegittime
delle norme, ai fini di ottenere l'adeguamento de facto dei  compensi
- ad esempio mediante un'indebita proliferazione degli incarichi o un
pregiudiziale orientamento verso valori tariffari massimi  -  e,  per
altro verso, puo'  comportare  un  allontanamento  dal  circuito  dei
consulenti   d'ufficio   dei   soggetti   dotati    delle    migliori
professionalita'. 
    2.- Nel giudizio innanzi a questa Corte non si sono costituite le
parti del  procedimento  a  quo  e  non  ha  spiegato  intervento  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 4 maggio 2020 (reg. ord. n. 160 del  2020),
il Tribunale ordinario di Verona dubita, in  riferimento  all'art.  3
della Costituzione, della legittimita' costituzionale  dell'art.  15,
comma 4, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia  di
sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche' in materia di
responsabilita'  professionale   degli   esercenti   le   professioni
sanitarie), nella parte in cui «vieta in maniera drastica  l'aumento,
nella misura del  quaranta  per  cento,  del  compenso  spettante  al
singolo, per ciascuno degli altri componenti  del  collegio,  che  e'
invece previsto dall'art. 53 d.P.R. 115/2002, per la quasi  totalita'
degli incarichi collegiali». 
    2.- In ragione della previsione normativa denunciata, l'ordinanza
di  rimessione  prospetta  la  violazione  dell'art.  3  Cost.,   per
l'irragionevole disparita' di trattamento che si determinerebbe nella
liquidazione dei compensi di un  collegio  peritale  nei  giudizi  di
responsabilita' medica, a  fronte  di  quella  spettante  ai  collegi
composti da esperti di discipline diverse da quella medica ovvero  di
discipline che parimenti richiedono differenti competenze mediche, ma
in relazione ad altre tipologie di controversie. 
    Espone, in proposito, il  giudice  rimettente  che  -  dopo  aver
sancito il  principio  di  necessaria  collegialita'  delle  indagini
peritali da espletare nei giudizi di responsabilita' sanitaria  -  il
legislatore nega  espressamente  ogni  possibilita'  di  aumento  del
compenso globale spettante ai componenti del collegio,  onorario  che
e' calcolato unitariamente, come se l'incarico fosse conferito ad  un
singolo consulente. 
    Ad avviso del giudice a  quo,  siffatta  esclusione  importerebbe
un'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla  previsione
generale in tema di  compenso  per  gli  incarichi  conferiti  ad  un
collegio   di   ausiliari,   e   sarebbe   altresi'   intrinsecamente
irragionevole. 
    2.1.1.- Sotto il primo  profilo,  si  determinerebbe  un'illogica
differenza di disciplina rispetto al riconoscimento, operato  in  via
generale dall'art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica  30
maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle   disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di  giustizia  (Testo
A)», dell'aumento del compenso per gli incarichi collegiali di natura
tecnica relativi a materie diverse da  quella  della  responsabilita'
sanitaria, nella misura del quaranta per cento per ciascun componente
oltre il primo. 
    2.1.2.- Sotto il secondo profilo, vi sarebbe  un'irragionevolezza
intrinseca e manifesta del divieto di aumento  previsto  dalla  norma
censurata, confermata altresi' dal riconoscimento in capo al giudice,
operato dall'art. 2, comma 5, del decreto del Ministro  della  Salute
19 luglio 2016, n. 165 (Regolamento  recante  la  determinazione  dei
parametri per la liquidazione da parte di un  organo  giurisdizionale
dei compensi per le professioni regolamentate, ai sensi  dell'art.  9
del  decreto-legge  24  gennaio   2012,   n.   1,   convertito,   con
modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27.  Medici  veterinari,
farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici  sanitari  di
radiologia medica), della facolta' di aumentare  fino  al  doppio  il
compenso, pur unico a fronte dell'incarico collegiale, ove questo sia
stato  conferito  a   medici   veterinari,   farmacisti,   psicologi,
infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica. 
    Cio' in un contesto in cui, peraltro, i criteri di  computo  sono
gia' inadeguati per difetto  a  fronte  dell'impegno  richiesto,  non
essendosi  mai  operato  l'aggiornamento   periodico,   con   cadenza
triennale,  della  misura  dei  criteri  di  liquidazione,   previsto
dall'art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002. In proposito  il  giudice  a
quo evoca il precedente di questa Corte n. 192 del 2015. 
    3.- In via preliminare, va rilevato che sussistono le  condizioni
di ammissibilita' dell'incidente di  costituzionalita'  sollevato  in
riferimento all'art. 15, comma 4, della legge n. 24 del 2017. 
    3.1.- In particolare,  sul  piano  della  rilevanza,  il  giudice
rimettente  ha  precisato  che   la   previsione   impugnata   incide
direttamente sui termini quantitativi della liquidazione spettante ai
componenti del collegio peritale investito nel  giudizio  principale,
che hanno avanzato la relativa istanza  all'esito  dello  svolgimento
dell'incarico conferito. 
    Ed ancora, e' plausibile il richiamo del Tribunale di  Verona  ai
criteri di calcolo da utilizzare con riguardo alla  liquidazione  del
compenso in favore del  consulente  tecnico  incaricato  in  tema  di
responsabilita'   medica,   sulla   scorta   del   riferimento   alla
giurisprudenza di legittimita', secondo cui  il  sistema  di  calcolo
dell'onorario fisso stabilito dagli  artt.  20  e  21  della  Tabella
allegata al decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con  il
Ministro  dell'Economia  e  delle  Finanze,  del   30   maggio   2002
(Adeguamento dei compensi spettanti ai  periti,  consulenti  tecnici,
interpreti e traduttori per le operazioni  eseguite  su  disposizione
dell'autorita' giudiziaria in materia civile e penale) e' applicabile
agli accertamenti aventi ad oggetto lo stato di salute della persona.
Ne consegue che, ove la consulenza abbia ad oggetto la verifica della
correttezza, secondo le regole della scienza medica,  dell'operazione
chirurgica cui e' stata sottoposta una delle parti, tale indagine  ha
una  sua  propria  specificita',  per  cui  in  tal  caso,   mancando
un'apposita previsione in tabella,  il  giudice  puo'  legittimamente
fare  ricorso  al  criterio  fondato  sulle   vacazioni   (Corte   di
cassazione, sezione seconda civile, sentenza  25  novembre  2011,  n.
24992). 
    3.2.- In secondo luogo, nessun  addebito  puo'  essere  mosso  al
rimettente   per    non    avere    tentato    una    interpretazione
costituzionalmente orientata. E tanto perche'  il  tenore  perentorio
della disposizione, che esclude categoricamente  la  possibilita'  di
incrementare l'onorario nel  caso  di  consulenza  tecnica  d'ufficio
affidata ad un collegio in tale ambito, non consentiva alcuno  sforzo
ermeneutico  atto  a  motivare  l'impossibilita'  di   pervenire   ad
un'interpretazione adeguatrice. Al riguardo,  questa  Corte  ha  piu'
volte affermato che «l'univoco tenore della norma segna il confine in
presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere  il  passo
al sindacato di legittimita' costituzionale»  (sentenze  n.  232  del
2013 e n. 253 del 2020; in senso conforme, sentenze n. 174 del  2019,
n. 82 del 2017 e n. 36 del 2016). 
    4.- Quanto al merito della questione, e' opportuno premettere una
sintetica ricostruzione del quadro normativo entro cui si colloca  la
disposizione censurata. 
    4.1.- In termini generali, l'art. 191, secondo comma, del  codice
di procedura civile prevede che il giudice possa nominare piu' di  un
consulente «soltanto in caso di grave necessita' o  quando  la  legge
espressamente lo dispone». Analogamente, l'art. 221,  secondo  comma,
del  codice  di  procedura   penale   ammette   l'incarico   peritale
collegiale,  stabilendo  che  il  giudice   penale   possa   affidare
«l'espletamento della perizia a piu' persone quando le indagini e  le
valutazioni risultano  di  notevole  complessita'  ovvero  richiedono
distinte conoscenze in differenti discipline». 
    In tali  situazioni  il  principio  di  collegialita'  esige  una
partecipazione  congiunta  degli  esperti  alle   indagini   e   alle
valutazioni peritali in vista dell'elaborazione di  conclusioni  che,
anche  se  raggiunte  attraverso  la  ripartizione   di   particolari
attivita' in base alle specifiche competenze di  ciascuno,  risultino
condivise e compendiate in un unico elaborato. 
    4.2.-  Per  quanto  concerne  la   liquidazione   del   compenso,
l'incarico plurimo e' contemplato dall'art. 53 del d.P.R. n. 115  del
2002,  il  quale,  sostanzialmente   riproducendo   le   disposizioni
dell'abrogato art. 6 della legge 8  luglio  1980,  n.  319  (Compensi
spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti  e  traduttori
per le operazioni eseguite a richiesta  dell'autorita'  giudiziaria),
stabilisce che,  allorche'  l'incarico  sia  stato  conferito  ad  un
collegio di ausiliari, «il compenso globale e' determinato sulla base
di quello spettante al singolo, aumentato del quaranta per cento  per
ciascuno  degli  altri  componenti  del  collegio,  a  meno  che   il
magistrato  dispone  che  ognuno  degli  incaricati   deve   svolgere
personalmente e per intero l'incarico affidatogli». 
    Allorche', invece, il giudice nomini piu' consulenti  e  disponga
che  ognuno  degli  incaricati  svolga  personalmente  e  per  intero
l'incarico attribuito, in ragione delle  professionalita'  specifiche
di cui ognuno e' in possesso, non sussiste collegialita' e  per  ogni
consulente sono operative le medesime  disposizioni  applicabili  nel
caso di nomina di un solo ausiliario. In tale evenienza si  realizza,
quindi, una somma di indagini finalizzate  ad  un  unico  scopo,  con
impegno,  per  ciascuna  di  esse,  uguale  a  quello  richiesto  per
l'incarico singolo e con  deposito  di  separati  elaborati,  con  la
conseguenza che il compenso e' dovuto ad ogni  ausiliario  nella  sua
interezza. 
    Dall'incarico collegiale si distingue altresi' l'ipotesi  in  cui
il giudice si sia limitato ad autorizzare il  consulente  singolo  ad
avvalersi di uno o  piu'  soggetti  per  l'espletamento  di  indagini
specialistiche, non trovando in tal caso applicazione il criterio  di
liquidazione previsto dall'art. 53 del d.P.R. n. 115 del 2002, ma  le
medesime tabelle con cui deve  essere  determinata  la  misura  degli
onorari dei consulenti tecnici (Corte di  cassazione,  sezione  sesta
civile, sottosezione seconda,  ordinanza  18  marzo  2019,  n.  7636;
sezione seconda  civile,  ordinanza  21  settembre  2017,  n.  21963;
sezione seconda civile, sentenza 11 giugno 2008, n. 15535). 
    4.3.- Con  riferimento  alla  consulenza  tecnica  d'ufficio  nei
giudizi civili e penali in materia di responsabilita' medica,  l'art.
15 della legge n. 24 del 2017 (cosiddetta legge Gelli-Bianco)  innova
sui criteri di nomina  del  consulente  tecnico  d'ufficio  o  perito
medico-legale, prevedendo,  al  comma  1,  che,  «[n]ei  procedimenti
civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilita'
sanitaria,  l'autorita'  giudiziaria  affida   l'espletamento   della
consulenza tecnica e della  perizia  a  un  medico  specializzato  in
medicina legale e a uno  o  piu'  specialisti  nella  disciplina  che
abbiano  specifica  e  pratica  conoscenza  di  quanto  oggetto   del
procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra  gli
iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione  di
conflitto di  interessi  nello  specifico  procedimento  o  in  altri
connessi e che i consulenti tecnici d'ufficio da nominare nell'ambito
del procedimento di cui all'articolo 8, comma 1, siano in possesso di
adeguate e  comprovate  competenze  nell'ambito  della  conciliazione
acquisite anche mediante specifici percorsi formativi». 
    La  norma  introduce,  dunque,  il  principio  della   necessaria
collegialita' nell'espletamento del mandato, di cui  si  ha  conferma
attraverso i lavori parlamentari,  giacche'  il  testo  approvato  in
prima lettura  dalla  Camera  prevedeva  la  nomina  di  un  collegio
peritale nei casi che avessero implicato la «valutazione di  problemi
tecnici complessi»,  mentre  tale  inciso  e'  stato  successivamente
espunto in Senato. Il fine della corretta esplicazione  dell'indagine
e della valutazione peritale  e'  perseguito  dal  legislatore  tanto
attraverso la necessaria collegialita', quanto mediante la previsione
della preparazione specialistica  e  delle  conoscenze  pratiche  dei
soggetti incaricati. 
    Lo stesso articolo aggiunge, al comma 2, che  «[n]egli  albi  dei
consulenti di cui all'articolo 13 delle disposizioni per l'attuazione
del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui  al
regio decreto 18  dicembre  1941,  n.  1368,  e  dei  periti  di  cui
all'articolo  67  delle  norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
transitorie del  codice  di  procedura  penale,  di  cui  al  decreto
legislativo  28  luglio  1989,  n.  271,  devono  essere  indicate  e
documentate le specializzazioni degli iscritti esperti  in  medicina.
In sede di revisione degli albi e' indicata, relativamente a ciascuno
degli  esperti   di   cui   al   periodo   precedente,   l'esperienza
professionale maturata, con particolare riferimento al numero e  alla
tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati». 
    Quindi, il comma 3 specifica che «[g]li albi  dei  consulenti  di
cui all'articolo 13 delle disposizioni per l'attuazione del codice di
procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio  decreto
18 dicembre 1941, n. 1368, e gli albi dei periti di cui  all'articolo
67 delle norme di attuazione,  di  coordinamento  e  transitorie  del
codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo  28  luglio
1989,  n.  271,  devono  essere   aggiornati   con   cadenza   almeno
quinquennale, al fine di garantire,  oltre  a  quella  medico-legale,
un'idonea e  adeguata  rappresentanza  di  esperti  delle  discipline
specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie, tra i quali
scegliere per la nomina tenendo conto  della  disciplina  interessata
nel procedimento». 
    Infine, il comma 4 dispone che  nei  procedimenti  civili  e  nei
procedimenti penali aventi ad oggetto  la  responsabilita'  sanitaria
«l'incarico e' conferito al  collegio  e,  nella  determinazione  del
compenso globale, non si applica  l'aumento  del  40  per  cento  per
ciascuno degli altri componenti del collegio  previsto  dall'articolo
53 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in
materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115». Ed e' su quest'ultima  previsione
che si appuntano le censure del rimettente. 
    5.-  Tutto  cio'   premesso,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata e' fondata. 
    5.1.-   La   disposizione   censurata   e'   intrinsecamente    e
manifestamente irragionevole, non risultando coerente  con  la  ratio
che la sostiene. 
    A fronte dell'introduzione,  nei  procedimenti  civili  e  penali
aventi ad oggetto la  responsabilita'  sanitaria,  del  principio  di
necessaria collegialita' a presidio della  correttezza  dell'indagine
peritale, non trova giustificazione  la  scelta  del  legislatore  di
determinare l'onorario globale spettante al collegio in misura pari a
quella che verrebbe riconosciuta in caso di conferimento di  incarico
al  singolo.  Infatti,  per  effetto  della  previsione   in   esame,
l'ammontare unitario di detto compenso deve essere suddiviso in parti
uguali tra i membri del collegio, con la conseguenza  che  a  ciascun
componente spetta un onorario inferiore a quello adeguato in  ragione
dell'incremento percentuale previsto dalla norma generale oggetto  di
deroga. 
    Ulteriore  causa  di  irragionevolezza  deriva  dalla   riduzione
progressiva dell'onorario spettante a ciascuno dei consulenti indotta
dall'aumento del numero dei componenti  incaricati  dell'espletamento
delle operazioni peritali. Alla stregua della disposizione censurata,
il compenso rimane parametrato a  quello  che  sarebbe  spettato  ove
l'incarico  fosse  stato   attribuito   ad   un   unico   consulente,
indipendentemente dal numero dei componenti del collegio. 
    5.1.1.- La finalita' di alleviare l'aggravio  economico  che,  in
forza della  collegialita'  necessaria,  verrebbe  a  ricadere  sugli
interessati gia' onerati dei  costi  della  eventuale  consulenza  di
parte  non  puo'  valere  a  legittimare  la  introduzione   di   una
irragionevole soglia di contenimento del quantum  dell'onorario,  non
potendo il soddisfacimento di un'esigenza  siffatta  tradursi  in  un
ingiustificato sacrificio per i consulenti incaricati. 
    Il limite imposto  dalla  disposizione  denunciata  comporta  una
decurtazione  idonea  ad  incidere  sull'adeguatezza   del   compenso
rispetto all'opera prestata e sulla  conformita'  dello  stesso  alle
regole generali  sulla  liquidazione  dei  compensi  affidati  ad  un
collegio di periti. 
    Attraverso  la  designazione  giudiziale,  integrante   un   atto
costitutivo di un munus publicum,  il  consulente  tecnico  d'ufficio
riceve un incarico professionale che, sebbene non sia riconducibile -
in ragione  del  fine  pubblico  che  vale  a  qualificarlo  e  delle
peculiari modalita' in  cui  trova  attuazione  -  ad  un  contratto,
rinviene nella disciplina della liquidazione degli onorari  specifici
meccanismi di commisurazione volti a  garantire  la  proporzionalita'
dei compensi, sia pure per difetto in  considerazione  del  connotato
pubblicistico  (sentenza  n.  192  del  2015),  all'entita'  e   alla
complessita'  dell'opera  prestata,  in  coerenza  con  il  fine   di
contemperamento tra gli interessi pubblici e le esigenze remunerative
del professionista che informa la disciplina del d.P.R.  n.  115  del
2002. 
    A  tale  esigenza  di  adeguamento  risponde  anche  l'incremento
percentuale contemplato per gli incarichi collegiali dall'art. 53 del
d.P.R. n. 115 del 2002, quale bilanciamento della determinazione  del
compenso, per le suddette  finalita'  di  contenimento  della  spesa,
sulla base di quanto spettante al singolo, poiche' il giudice ricorre
a tale genere di incarichi proprio quando le indagini  esibiscono  un
tasso di complessita' tecnico-scientifica tale da  rendere  opportuna
la condivisione della responsabilita' della valutazione peritale  tra
piu' esperti. 
    Nel  settore  della  responsabilita'  medica  il   principio   di
necessaria collegialita' dell'incarico  peritale  scaturisce  da  una
valutazione del legislatore circa la  delicatezza  delle  indagini  e
l'esigenza di perseguire una verifica dell'an  e  del  quantum  della
responsabilita' che sia il piu' possibile esaustiva e  conforme  alle
leges artis. Di conseguenza risulta gravemente  contraddittorio  che,
per un verso, si esiga che in tale campo sia favorito l'intervento di
tecnici particolarmente specializzati ed  esperti  -  sia  sul  piano
teorico che pratico - e, per altro verso, si sopprima  il  meccanismo
che prevede un incremento del compenso che tale complessita'  vale  a
controbilanciare,  meccanismo  destinato  ad  evitare  una   plateale
decurtazione dell'importo che sarebbe spettato in caso di incarico al
singolo. Questa preventiva e inderogabile limitazione genera  effetti
contrastanti  con  lo  scopo  che  la  disposizione  si  prefigge  di
raggiungere in astratto, favorendo altresi' torsioni interpretative e
forzature applicative volte a sopperire alla  riduzione  quantitativa
attraverso l'incremento indiscriminato delle vacazioni riconoscibili,
pur a fronte dell'osservanza formale delle cornici  edittali  massime
fissate dal legislatore,  ovvero  mediante  la  proliferazione  degli
incarichi  o  il  riconoscimento  sistematico  dell'aumento  previsto
dall'art.  52  del  d.P.R.  n.  115  del  2002  per  la   particolare
complessita' dell'incarico. 
    Tra le ricadute "di sistema" della  disposizione  denunciata  va,
tra  l'altro,  considerata  la  possibilita'   che   essa   favorisca
l'allontanamento dal circuito dei consulenti  tecnici  di  ufficio  e
periti da parte dei professionisti dotati di  maggiore  esperienza  e
specializzazione, disincentivati dalla preordinata incongruenza degli
onorari spettanti rispetto alla  qualita'  e  quantita'  dell'impegno
richiesto (ancora sentenza n. 192 del 2015). 
    5.1.2.- A fortiori l'irragionevolezza della  norma  censurata  e'
resa evidente dalla incidenza del divieto di aumento dei compensi  su
tariffe che -  inferiori  fin  dall'origine  ai  valori  del  mercato
professionale - non sono mai state aggiornate mediante  l'adeguamento
triennale  prescritto  dall'art.  54  del  d.P.R.  n.  115  del  2002
(sentenze n. 224 del 2018  e  n.  178  del  2017).  In  tali  termini
l'irragionevolezza e' stata gia' accertata dalla richiamata  sentenza
n. 192 del 2015, con riferimento alla previsione della  riduzione  di
un terzo dei compensi spettanti  all'ausiliario  del  magistrato  nei
procedimenti in cui sia stata disposta l'ammissione di una  parte  al
patrocinio a spese dello Stato, per finalita' di  contenimento  della
spesa erariale. In questa prospettiva, l'art. 106-bis del testo unico
sulle spese  di  giustizia  e'  stato  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo «nella parte in cui non esclude che la diminuzione di  un
terzo degli  importi  spettanti  all'ausiliario  del  magistrato  sia
operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate
a norma dell'art. 54  dello  stesso  d.P.R.  n.  115  del  2002»,  in
relazione  alla  variazione,  accertata  dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT), dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie
di operai e impiegati. E la  recente  sentenza  n.  89  del  2020  ha
rilevato    una     «deplorevole     e     reiterata     inadempienza
dell'Amministrazione» nell'applicazione del richiamato art. 54. 
    5.1.3.- E' pur vero che il legislatore gode  di  discrezionalita'
particolarmente ampia nella conformazione degli istituti processuali,
con il solo limite della manifesta irragionevolezza  o  arbitrarieta'
delle scelte operate. Ma la verifica della sussistenza di un rapporto
di  connessione  razionale  e  di  proporzionalita'  tra   il   mezzo
predisposto dal legislatore  e  il  fine  che  lo  stesso  ha  inteso
perseguire rientra nel sindacato di ragionevolezza demandato a questa
Corte.  La  verifica  del  superamento  del  limite  della  manifesta
arbitrarieta' delle scelte compiute involge anche la  valutazione  se
il bilanciamento degli  interessi  costituzionalmente  rilevanti  sia
stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la
compressione  di  uno  di  essi  in  misura  eccessiva   e   pertanto
incompatibile con il dettato costituzionale (ex multis,  sentenze  n.
253, n. 95, n. 80, n. 79 e n. 58 del 2020, n. 271, n. 266  e  n.  139
del 2019). 
    E una compressione siffatta e' ravvisabile nel caso di specie, in
cui l'esclusione dell'aumento del compenso previsto dall'art. 53  del
d.P.R.  n.  115  del  2002  contraddice  lo  scopo  della  disciplina
dell'istituto processuale di cui si tratta, che, come evidenziato, va
identificato con l'esigenza di assicurare un  livello  di  precisione
tecnica e di attendibilita' dei risultati delle  indagini  confacente
alla complessita' della materia e alla  delicatezza  degli  interessi
coinvolti. 
    5.2.- La  disposizione  impugnata  contrasta,  altresi',  con  il
principio  di  uguaglianza,  in  quanto  introduce  un'ingiustificata
disparita' di trattamento rispetto  alla  disciplina  generale  sulla
determinazione degli onorari per gli incarichi  peritali  collegiali.
Ed infatti, dal confronto con il citato art. 53 del testo unico sulle
spese di giustizia - disposizione  il  cui  contenuto  precettivo  e'
espressamente derogato dalla norma censurata - si ricava che in tutti
gli altri campi in cui la  complessita'  dell'indagine  richiede  che
l'incarico sia affidato all'opera congiunta di piu' esperti, anche se
si tratti di un collegio medico, il compenso e' maggiorato,  rispetto
a quello che sarebbe spettato al singolo consulente, nella misura del
quaranta per cento, per le ragioni dianzi evidenziate. 
    Sicche', ove l'incarico collegiale riguardi  materie  diverse  da
quelle  attinenti  alla  responsabilita'  medica  (sia  civile,   sia
penale), il compenso globale  viene  incrementato  in  ragione  della
partecipazione alle operazioni peritali di  piu'  consulenti,  mentre
l'aumento dell'onorario e' precluso in via generale con  riguardo  ai
procedimenti  aventi  ad  oggetto   la   responsabilita'   sanitaria,
nonostante il carattere  primario  degli  interessi  coinvolti  e  la
complessita'  tecnica  che  di  norma  caratterizza  l'attivita'   di
indagine.  Ne  discende,  a  titolo  esemplificativo,  che   siffatta
modalita' di adeguamento del compenso e' esclusa per un  collegio  di
medici il quale debba accertare la responsabilita' di  un'equipe  che
abbia eseguito un delicato intervento chirurgico, cui sia  conseguito
il decesso del paziente, mentre e'  riconosciuta  ove  della  diversa
competenza di piu' medici l'autorita' giudiziaria si avvalga in altri
settori  dell'ordinamento,   come   nell'ambito   dell'infortunistica
stradale. 
    La  disparita'  di  trattamento  non  appare  giustificata  dalla
circostanza che, nella materia di cui  si  tratta,  la  collegialita'
nell'espletamento   dell'indagine   tecnica   sia   prescritta    dal
legislatore, diversamente dalle ipotesi concernenti altri campi,  nei
quali il conferimento dell'incarico ad una pluralita'  di  consulenti
e' rimesso alla valutazione nel  caso  concreto  del  magistrato  che
dispone  l'accertamento   peritale.   La   differenza   della   fonte
dell'incarico collegiale - nell'un caso stabilito in via generale dal
legislatore, nell'altro disposto dal magistrato in via discrezionale,
in relazione a singole fattispecie - non muta l'effetto, che consiste
comunque nel conferimento di un mandato collegiale. 
    Ne', d'altro canto, puo' ritenersi che la  collegialita'  imposta
dalla legge in materia di responsabilita'  sanitaria  costituisca  un
onere meramente formale  cui  non  corrisponda  l'effettiva  esigenza
pratica di garantire un adeguato contributo  tecnico  in  fattispecie
richiedenti un concorso di conoscenze diversificate. Una  conclusione
siffatta   mostrerebbe    un'intrinseca    contraddizione,    poiche'
implicherebbe che il legislatore abbia inteso  introdurre  la  regola
della  necessaria  collegialita',  pur  nella  consapevolezza   della
sufficienza dell'affidamento dell'incarico ad un unico consulente. 
    6.-   Deve,   pertanto,   essere   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 4, della  legge  n.  24  del  2017
limitatamente alle parole:  «e,  nella  determinazione  del  compenso
globale, non si applica l'aumento del 40 per cento per ciascuno degli
altri componenti del collegio previsto  dall'articolo  53  del  testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica
30 maggio 2002, n. 115». 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15,  comma  4,
della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza
delle  cure  e  della  persona  assistita,  nonche'  in  materia   di
responsabilita'  professionale   degli   esercenti   le   professioni
sanitarie), limitatamente alle parole: «e, nella  determinazione  del
compenso globale, non si applica  l'aumento  del  40  per  cento  per
ciascuno degli altri componenti del collegio  previsto  dall'articolo
53 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in
materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
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