di Luca Palladini. Il proprietario di una ditta risponde di omicidio colposo per non aver adottato le misure necessarie per impedire la dissipazione delle polveri di amianto provenienti dalla fabbrica procurando, così, la morte di qualche dipendente e di alcuni residenti nella zona attigua al proprio stabilimento. In questo senso, si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46428 depositata il 30 novembre 2012.
Il titolare della ditta non avendo adoperato tutte le cautele e le misure di prevenzione necessarie a limitare la diffusione delle sopracitate sostanze dannose è stato considerato come penalmente responsabile dai giudici di legittimità che hanno, pertanto, respinto il suo ricorso condannandolo a cinque mesi di reclusione per omicidio colposo ex art. 589 c.p.. Sulla base di valutazioni scientifiche e dei rilievi peritali, infatti, il (non) contegno dell’imprenditore è stato riconosciuto come determinante per lo sviluppo della malattia, sboccata nel mesotelioma pleurico ed, infine, nel decisivo arresto cardiaco per grave insufficienza respiratoria. Invero, il titolare della ditta è stato individuato quale reo per non aver adottato alcuna forma precauzione: non avendo condotto, in primis, un’appropriata campagna informativa nei confronti dei suoi dipendenti; in secundis, non ponendo attenzione alla fornitura e alla cura del materiale ed, infine, non contenendo i (noti) rischi per la salute scaturenti dall’esposizione all’asbesto quale malattia “dose-correlata” (la quantità e la pericolosità dell’asbesto inalato sono legate alla durata dell’esposizione). Infatti, con particolare riguardo a quest’ultimo aspetto, attraverso questa decisione gli Ermellini hanno avuto occasione di confermare che «la pericolosità dell’amianto ha una stretta correlazione esistente tra l’esposizione a tale sostanza e talune patologie tumorali, nota fin dagli anni sessanta, tanto che persino alcune scritte apposte sui sacchi adoperati dall’azienda avvertivano della presenza di fibre di asbesto ed invitavano a porre attenzione al fine di evitare la formazione di polveri e di respirarne, poiché l’assunzione di esse avrebbe potuto provocare il cancro e altre gravi malattie. Di qui la prova della prevedibilità dell’evento e della evitabilità dello stesso ove fossero state rispettate le norme prevenzionali».