Il d. lgs. 8.6.2001 n. 231 disciplina la responsabilità degli enti collettivi “per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato” e rappresenta l’epilogo di un lungo cammino volto a contrastare il fenomeno della criminalità di impresa, superando il principio insito nella nostra cultura giuridica per cui societas delinquere non potest.
La normativa appare complessa e detta specifiche regole quanto alla struttura dell’illecito, all’apparato sanzionatorio, alla responsabilità patrimoniale, alle vicende modificative dell’ente, al procedimento di esecuzione e a quello di cognizione, il tutto finalizzato a costituire un efficace sistema di controllo sociale.
Il sistema sanzionatorio e le disposizioni processuali introdotte dalla normativa limitano la responsabilità degli enti ad un numero ristretto di reati. In particolare gli art 23 e 24 individuano le sanzioni irrogabili agli enti come conseguenza di una pluralità di delitti contro la Pubblica Amministrazione, distinti, ai fini della sanzione, per fasce di grandezza.
Ovviamente in tale costruzione l’illecito amministrativo è legato al fatto di reato delle persone fisiche poste ai vertici della società o che si trovano in una posizione subordinata rispetto a questi ultimi che esercitano poteri di vigilanza e/o controllo.
Ne consegue che l’accertamento delle sussistenza dell’illecito amministrativo in capo agli enti è strettamente dipendente dall’accertamento della sussistenza del reato presupposto, non a caso il Pubblico Ministro nella contestazione all’ente dell’illecito amministrativo deve esattamente indicare il reato da cui l’illecito dipende (art. 59).
A fronte quindi di tale costruzione della responsabilità amministrativa degli enti è evidente che il mancato accertamento della sussistenza del reato presupposto non può che comportare una pronunzia di esclusione della responsabilità dell’ente (art. 66).
Vedi sentenza per esteso
TRIBUNALE DI NAPOLI Sez.5^ 01/02/2014 Sentenza n.16316
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