Mare Mediterraneo in pericolo. Gli emendamenti presentati dal Governo alla legge si stabilità 2016 ricalcano solo apparentemente i quesiti referendari. Le modifiche proposte dall’Esecutivo, tra abrogazioni e aggiunte normative, dissimulano in modo subdolo il rilancio delle attività petrolifere in terraferma e in mare e persino entro le 12 miglia marine, eludendo con ciò gran parte degli obiettivi del referendum No Triv.
Tradito ne è lo spirito complessivo. I passaggi normativi del disegno governativo sono riassunti nella abolizione del “piano delle aree” (strumento di razionalizzazione delle attività Oil & Gas) e nella previsione per cui si fanno salvi tutti i procedimenti collegati a “titoli abilitativi già rilasciati” all’entrata in vigore della legge di stabilità 2016 “per la durata di vita utile del giacimento”. Un mix esplosivo, che avrebbe effetti devastanti sul referendum e sul futuro dei mari italiani, atteso che l’obiettivo principale del Governo è mantenere in vita e a tempo indeterminato tutti i procedimenti attualmente in corso entro le 12 miglia marine. La soppressione del “piano delle aree”costituisce, poi, il vero “cavallo di Troia” del Governo: il Coordinamento Nazionale No Triv lo aveva già evidenziato domenica 13 dicembre, formulando per l’occasione alcuni sub-emendamenti volti a correggere le proposte dell’Esecutivo.
Emendamenti che, tuttavia, sono stati bocciati alla Camera dei deputati in Commissione Bilancio. Nulla è negoziabile rispetto all’obiettivo dei quesiti: non lo è il “piano delle aree”, in quanto strumento di razionalizzazione delle attività di ricerca ed estrazione degli idrocarburi; non lo è lo sfruttamento a tempo indeterminato dei giacimenti; non lo è la possibilità che i procedimenti entro le 12 miglia marine siano solo sospesi e non chiusi definitivamente; non lo è neppure l’istituzione di un doppio regime di titoli (permessi di ricerca e concessioni di coltivazione/titoli concessori unici) che consentono a discrezione delle società petrolifere di scegliere a proprio piacimento in che modo esercitare le attività petrolifere nel nostro Paese.
Gli emendamenti proposti dal Governo costituiscono un autentico atto di sabotaggio e uno schiaffo alla democrazia nel nostro Paese. Per questo chiediamo ai delegati delle Regioni di rispettare il mandato ricevuto loro dai rispettivi Consigli e a alle cittadine e ai cittadini italiani che hanno a cuore la proposta del referendum di percorrere assieme a noi e fino in fondo la strada referendaria.
NOTA TECNICA REDATTA DAL PROF. ENZO DI SALVATORE
Gli emendamenti proposti dal Governo soddisfano solo tre dei sei quesiti referendari sui quali si è già svolto il controllo dell’Ufficio Centrale per il Referendum istituito presso la Corte di Cassazione e sui quali il prossimo 13 gennaio si svolgerà il giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale.
Formalmente risultano rispettati unicamente i quesiti numeri 1, 4 e 5, sebbene le modifiche presentate siano destinate ad incidere, più in generale, su tutta la disciplina degli idrocarburi ed anche sul disegno complessivo sotteso alla proposta referendaria. Ciò deriva, in particolare, da un doppio regime sui titoli minerari, che si determinerebbe a seguito dell’entrata in vigore della legge di stabilità, poiché oltre al mantenimento dei c.d. titoli concessori unici, il Governo intende reintrodurre i permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione, la cui previsione – salva la disciplina transitoria dettata all’art. 38, comma 1-bis che quei titoli temporaneamente manteneva – era stata tacitamente abrogata dal decreto Sblocca Italia.
Elusi risultano i quesiti referendari numeri 2, 3 e 6.
Quesito n. 2: il piano delle aree e la “moratoria” sul rilascio dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione
Il quesito numero 2 ha ad oggetto il comma 1-bis dell’art. 38 del decreto Sblocca Italia, il quale prevede: 1) che l’esercizio delle attività petrolifere possa essere autorizzato solo sulla base di un piano delle aree (volto a stabilire dove si possa estrarre in Italia); 2) che l’adozione del piano avvenga previo accordo con gli Enti territoriali; 3) che fino all’approvazione del piano sia temporaneamente consentito chiedere e rilasciare permessi di ricerca e concessioni di coltivazione in luogo dei nuovi titoli concessori unici. Con l’emendamento 129-ter, lett. b), il Governo propone la soppressione dell’intero comma 1-bis. In questo modo, la duplice finalità sottesa al quesito referendario risulta gravemente elusa, dovendosi ritenere in esso implicita la volontà di mantenere il piano: scopo del referendum, infatti, è quello di abrogare definitivamente la previsione dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione ovvero di non consentirne il rilascio neppure provvisoriamente. Da questo punto di vista, anche l’emendamento 129-ter, lett. c), si pone in evidente elusione della ratio che ispira il quesito referendario, in quanto consente che si possa ora optare per il rilascio dei permessi e delle concessioni o, in alternativa, per il rilascio dei titoli concessori unici (come si dirà più avanti). Il quesito referendario chiede che si pervenga rapidamente alla adozione del piano e che sullo stesso si esprimano fattivamente le Regioni e gli Enti locali, attraverso la Conferenza unificata.
Quesito n. 3: limitazione della durata della ricerca e dell’estrazione di idrocarburi
Il quesito referendario numero 3 ha per obiettivo la limitazione della durata della ricerca e dell’estrazione in terraferma e in mare. Esso si propone di limitare la ricerca a sei anni e l’estrazione a trenta anni, senza possibilità alcuna di accordare proroghe. Il quesito è, tuttavia, eluso sia dall’emendamento 129-bis sia dall’emendamento 129-ter, lett. c): il primo – di cui si tratterà più oltre – lo elude in quanto consente che la ricerca e l’estrazione in mare entro le dodici miglia marine possano essere svolte “per la durata di vita utile del giacimento” e, quindi, sine die; il secondo lo elude in quanto, con l’aggiunta di una semplice “o”, il Governo istituisce un doppio regime di titoli abilitativi: da un lato, i permessi e le concessioni; dall’altro, i titoli concessori unici. Con la conseguenza ulteriore che la limitazione della durata dei sei e dei trenta anni per la ricerca e l’estrazione riguarderà solo i titoli concessori unici, ma non anche i permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione, che verranno accordati secondo le modalità di cui alla legge n. 9 del 1991 e, dunque, per una diversa e maggiore durata.
Quesito n. 6: divieto di conclusione dei procedimenti in corso per il rilascio di titoli abilitativi alla ricerca e all’estrazione entro le dodici miglia marine
Il quesito n. 6 è relativo al divieto di concludere procedimenti in corso per il rilascio di titoli abilitativi alla ricerca e all’estrazione entro le dodici miglia marine. La proposta fa salvi i titoli già rilasciati. Solo apparentemente la proposta emendativa del Governo ricalca il quesito referendario. A seguito di tale proposta, il testo del nuovo art. 6, comma 17, del codice dell’ambiente si comporrebbe delle seguenti parti:
1) previsione del divieto entro le 12 miglia;
2) previsione che fa salvi i titoli abilitativi già rilasciati “per la durata di vita utile del giacimento“;
3) garanzia di attività di manutenzione necessaria alla messa in sicurezza degli impianti.
L’espressione “titoli abilitativi già rilasciati” ricomprende sia i permessi di ricerca sia le concessioni di coltivazione. Il Governo li fa “salvi”, ma li collega entrambi alla “durata di vita utile del giacimento”. Ciò comporta che i permessi di ricerca in mare entro le dodici miglia non abbiano più scadenza. La domanda che occorre porsi è a cosa serva prorogare un permesso di ricerca già rilasciato se poi, alla luce del divieto di rilasciare nuovi titoli, non sia possibile ottenere la successiva concessione per l’estrazione.
La risposta può essere duplice:
A) la società petrolifera è già titolare di un permesso di ricerca della durata di sei anni. In questo caso, la previsione della “durata di vita utile del giacimento” consente che il permesso sia prorogato sine die nell’attesa che la normativa venga modificata, come dimostra il fatto che l’emendamento del Governo impone di garantire che si svolgano attività di manutenzione necessarie alla messa in sicurezza degli impianti (sebbene questa previsione risulti formalmente giustificata con l’argomento dell’adeguamento tecnologico). Ciò comporta che il permesso di ricerca sia sospeso nella sua vigenza. Qualora, poi, fosse stato già avviato il conseguente procedimento per il rilascio della concessione, anche questo resterebbe sospeso, come, del resto, è già accaduto tra il 2010 e il 2012. D’altra parte, nell’emendamento del Governo non si chiarisce in alcun modo che i procedimenti in corso debbano essere chiusi. Si può fare a tal riguardo l’esempio del progetto petrolifero “Ombrina mare”: la società Rockhopper è titolare del relativo permesso di ricerca, che, in virtù di numerose proroghe, scadrà il prossimo 31 dicembre. L’entrata in vigore della legge di stabilità – che gli emendamenti del Governo contiene – determinerà la proroga ex lege del permesso stesso. Qualora si chiedesse la revoca del permesso e si diffidasse il ministero a chiudere il procedimento per il rilascio della concessione, la risposta sarebbe la seguente: il permesso di ricerca non può essere revocato (“sono fatti salvi…”) e il procedimento per il rilascio della concessione può essere sospeso, non essendo prescritta la interruzione dello stesso.
B) la società petrolifera è già titolare di un permesso di ricerca della durata di sei anni. Sulla base di quanto consentito dall’art. 38, comma 8, del decreto Sblocca Italia, essa ha, tuttavia, chiesto la conversione del permesso di ricerca in “titolo concessorio unico”, che, com’è noto, consente di poter cercare ed estrarre idrocarburi sulla base di un unico provvedimento (la richiesta andava presentata entro metà febbraio 2015). Si può fare al riguardo ancora l’esempio del progetto petrolifero “Ombrina mare”: ad ottobre 2014, e cioè dopo pochi giorni dall’approvazione dello Sblocca Italia, la società petrolifera presentava richiesta di conversione del permesso di ricerca. Tale richiesta non veniva accolta immediatamente dal ministero, in quanto carente del programma generale dei lavori. Successivamente, il ministero, con proprio decreto, dichiarava sospese tutte le richieste di conversione dei titoli fino all’adozione del piano delle aree. Come si è detto, però, un emendamento del Governo si propone ora di cancellare il piano delle aree: ciò comporterà che “venga meno” anche la sospensione effettuata dal decreto ministeriale, sebbene l’art. 38, comma 8, del decreto Sblocca Italia sia tuttora vigente e, dunque, applicabile. L’esercizio dell’opzione della conversione del permesso di ricerca in titolo concessorio unico potrebbe consentire alla società Rockhopper di procedere anche alla successiva estrazione di idrocarburi, sulla base del passaggio dalla “fase” della ricerca alla “fase della coltivazione”, senza dover avviare un nuovo e autonomo procedimento per ottenere la relativa concessione: la disciplina dell’art. 38, comma 8, proprio perché transitoria, si pone, infatti, in deroga al (supposto) divieto dei procedimenti in corso.
In sintesi:
1) chi è titolare di una concessione alla data di entrata in vigore della legge di stabilità (non già alla data del 26 agosto 2010, come prima) potrà estrarre senza limiti di tempo;
2) chi è titolare di un permesso di ricerca alla medesima data continuerà ad esserlo senza scadenza alcuna; è necessario che metta in sicurezza eventuali impianti; e se dovesse essere stato avviato un (conseguente) procedimento per il rilascio della concessione di coltivazione questo potrà essere considerato sospeso. Nel caso in cui il Governo o il Parlamento dovessero successivamente intervenire, modificando nuovamente le disposizioni di cui all’art. 6, comma 17, del codice dell’ambiente, trattandosi di “sospensione”, il procedimento riprenderà il suo corso dalla fase in cui si è arrestato;
3) chi è titolare di un permesso di ricerca e ha esercitato a suo tempo l’opzione per la conversione del titolo prevista dal decreto Sblocca Italia potrebbe vedersi accordato il “titolo concessorio unico” che gli dà diritto di estrarre.
In buona sostanza, il divieto introdotto dal Governo troverebbe applicazione solo alle istanze per il rilascio dei permessi di ricerca.
Taluni osservano che, in relazione al mare, l’emendamento del Governo avrebbe lo stesso contenuto della proposta referendaria e che, anche a seguito della celebrazione del referendum, resterebbero in piedi “le stesse parole”.
Questa obiezione non ha, tuttavia, pregio. L’obiettivo del quesito referendario è assolutamente cristallino: esso si propone di vietare i procedimenti in corso. Chiaro è che attraverso il referendum può solo procedersi all’abrogazione secca di alcune disposizioni, senza che sia possibile aggiungere alcunché. Ma proprio in ragione di questo, qualora il corpo elettorale abroghi quelle specifiche disposizioni oggetto del quesito referendario, l’interpretazione della normativa di risulta (e, cioè, di ciò che restasse in piedi dopo il voto) dovrebbe essere interpretata in armonia con la ratio della proposta referendaria; qualunque altra diversa interpretazione delle normativa di risulta finirebbe per tradire l’intenzione del voto dell’elettore, ossia il senso di quello che gli elettori hanno voluto esprimere con il loro voto. Nel caso dell’abrogazione per via legislativa (prima che sia celebrato il referendum), l’emendamento del governo sarebbe, invece, passibile di diversa interpretazione, non dovendosi accordare con l’intenzione del voto degli elettori; pertanto: i procedimenti in corso potrebbero essere considerati come sospesi e non già come interrotti.
Alla luce di quanto detto, si ritiene necessario:
1) sopprimere dall’emendamento 129-bis l’inciso: “per la durata di vita utile del giacimento”;
2) aggiungere all’emendamento 129-bis la seguente disposizione: “i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, finalizzati al rilascio dei titoli minerari, sono interrotti”;
3) reintrodurre il piano delle aree attraverso la soppressione dell’emendamento 129-ter, lett. b);
4) abrogare il doppio regime dei titoli abilitativi attraverso l’abrogazione della lettera “o”, di cui all’emendamento 129-ter, lett. c).
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