Regolamenti edilizi comunali e norme tecniche di attuazione, violazione delle distanze e principio di prevenzione
Cons. St., sez. VI, 21 luglio 2021, n. 5496 – Pres. Montedoro, Est. Lopilato
Edilizia – Distanze – Violazione – Norme tecniche di attuazione – Rapporto con il principio di prevenzione.
Le norme tecniche di attuazione, ove prescrivano la distanza minima di cinque metri dal confine, non vietano l’operatività del principio di prevenzione; la prescrizione contenuta nelle suddette norme, non prevedendo un obbligo inderogabile di rispettare la distanza di cinque metri ma ammettendo talune deroghe, consente l’operatività del predetto principio (1).
Dal combinato disposto degli artt. 871, 872 e 83 cod. civ. si ricava, in via interpretativa, l’esistenza del cd. principio di prevenzione. Esso comporta che il confinante che costruisce per primo ha una triplice facoltà, potendo edificare: i) rispettando una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice civile; ii) sul confine; iii) a una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta. Rileva stabilire se tale principio possa operare anche nel caso in cui trovino applicazione fonti di diritto pubblico.
Le Sezioni unite della Cassazione hanno affermato che la portata “integrativa” dell’art. 36, d.lgs. n. 380 del 2001 non si limita soltanto alle prescrizioni che impongono una distanza minima, ma “si estende all’intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione”, aggiungendo, però, che i regolamenti locali possono eventualmente escludere l’operatività di tale meccanismo “prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza” (Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2016, n. 10318).
Pubblicato il 21/07/2021
N. 05496/2021REG.PROV.COLL.
N. 07914/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7914 del 2020, proposto da Silvia Viola, Marisa Brunasso Cassinino, rappresentati e difesi dall’avvocato Nicola Peretti, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Sticca in Roma, via Francesco Massi, n. 12;
contro
Comune di Leinì, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonella Lauria, Carlo Merani, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore 22;
nei confronti
Giuseppe Pinna, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza 24 marzo 2020, n. 213 del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione Seconda
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Leinì;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2021 il Cons. Vincenzo Lopilato. L’udienza si è svolta ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305.
FATTO e DIRITTO
1.˗ La sig.ra Brunasso Cassino Marisa e Viola Silvia sono, rispettivamente, proprietarie e comodatarie di un fondo agricolo su cui insistono le seguenti opere abusive: «tettoia lato sud aperta uso pollaio»; «tettoia aperta sul lato ovest uso depositi attrezzi agricoli»; «tettoia aperta lato nord uso depositi macchinari agricoli»; «tettoia parzialmente aperta in sostituzione e ampliamento della preesistente con locali destinati a ripostigli e servizio igienico; tettoria parzialmente aperta uso deposito».
Le suddette parti hanno presentato, in data 17 febbraio 2016, domanda di accertamento di conformità urbanistica.
Il Comune di Leinì, con atto 20 giugno 2018, n. 12953, ha respinto tale domanda perché le opere in questioni si porrebbero in contrasto con quanto disposto dall’art. 4.2. delle norme tecniche di attuazione, il quale impone a chi costruisce di rispettare la distanza minima di cinque metri dal confine.
Il Comune, a seguito del rigetto della suddetta domanda, ha disposto la demolizione delle opere con atto del 13 marzo 2019, n. 29.
2.˗ Le parti hanno impugnato i suddetti provvedimenti con ricorso principale (diniego di accertamento di conformità) e motivi aggiunti (ordinanza di demolizione) innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, per i motivi riproposti in sede di appello e riportati oltre.
3.˗ Il Tribunale amministrativo, con sentenza 24 marzo 2020, n. 213, ha rigettato il ricorso.
4.˗ Le ricorrenti hanno proposto appello.
5.˗ Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto dell’appello.
6.˗ La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica dell’8 giugno 2021.
7.˗ L’appello è fondato.
8.˗ Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza e l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui hanno ritenuto che le norme tecniche di attuazione, prescrivendo la distanza minima di cinque metri dal confine, vietassero l’operatività del principio di prevenzione. In particolare, si assume che la prescrizione contenuta nelle suddette norme, non prevedendo un obbligo inderogabile di rispettare la distanza di cinque metri ma ammettendo talune deroghe, consentirebbe l’operatività del predetto principio.
Il motivo è fondato.
L’art. 36 del d.lgs. n. 380 del 2001, la cui rubrica reca «accertamento di conformità», dispone, tra l’altro, che in caso di interventi realizzati in violazione delle norme che prevedono il permesso di costruire «il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda» (comma 1).
L’art. 871 cod. civ., la cui rubrica reca «norme di edilizia e di ornato pubblico», prevede che «le regole da osservarsi nelle costruzioni sono stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi comunali» (comma 1).
L’art. 872 cod. civ., la cui rubrica reca «violazione delle norme di edilizia», dispone che: i) «le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate nell’articolo precedente sono stabilite da leggi speciali» (comma 1); ii) «colui che per effetto della violazione ha subito un danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate» (comma 2).
Nell’ambito della sezione VI, richiamata da tale ultima disposizione, l’art. 873 cod. civ. prevede che «le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri», aggiungendosi che «nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore».
Dal complesso delle norme del codice civile sopra indicate si ricava, in via interpretativa, l’esistenza del cd. principio di prevenzione. Esso comporta che il confinante che costruisce per primo ha una triplice facoltà, potendo edificare: i) rispettando una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice civile; ii) sul confine; iii) a una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta.
In questa sede rileva stabilire se tale principio possa operare anche nel caso in cui trovino applicazione fonti di diritto pubblico.
Le Sezioni unite della Cassazione, con orientamento che il Collegio condivide, hanno affermato che la portata “integrativa” delle norme di diritto pubblico non si limita soltanto alle prescrizioni che impongono una distanza minima, ma «si estende all’intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione», aggiungendo, però, che i regolamenti locali possono eventualmente escludere l’operatività di tale meccanismo «prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza» (Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2016, n. 10318).
Nella fattispecie in esame, l’art. 4.2. delle norme tecniche di attuazione, da un lato, impone a chi costruisce di rispettare la distanza minima di cinque metri dal confine, dall’altro, consente di derogare a tale prescrizione nei seguenti casi: i) «se preesiste parete in aderenza senza finestre»; ii) «in base alla presentazione di progetto unitario per i fabbricati da realizzare in aderenza»; iii) «in base ad un accordo con il confinante».
Le suddette prescrizioni non possono, per il loro contenuto, impedire l’operatività del principio di prevenzione, in quanto non pongono una regola inderogabile di distanza minima a tutela dell’interesse pubblico connesso ad una maggiore intercapedine tra i fabbricati ma ammettono deroghe legali e deroghe convenzionali. In particolare, quest’ultima deroga dimostra, in modo evidente, come le norme tecniche siano suscettibili di essere modificate anche mediante un atto di autonomia negoziale e, pertanto, non può assegnarsi ad esse una valenza tale da escludere che possa trovare applicazione il principio generale di prevenzione.
Alla luce di quanto esposto, la Sezione rileva come non sussistano gli impedimenti, indicati nel provvedimento impugnato, all’accoglimento della domanda di accertamento di conformità, con conseguente illegittimità del provvedimento 20 giugno 2018, n. 12953 di rigetto della domanda di accertamento di conformità.
9.˗ Con un ulteriore motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittima, per invalidità derivata, l’ordinanza di demolizione 13 marzo 2019, n. 29.
Il motivo è fondato.
L’illegittimità del provvedimento di rigetto della domanda di accertamento di conformità urbanistica rende illegittima, in via derivata, l’ordinanza di demolizione 13 marzo 2019, n. 29.
10.˗ La fondatezza dei motivi sopra riportati, esime il Collegio dall’esaminare gli altri motivi di ricorso (difetto di motivazione e di adeguata istruttoria con travisamento dei fatti in relazione al rigetto della domanda di sanatoria), in quanto dall’estensione del sindacato giurisdizionale l’appellante non potrebbe trarre maggiore utilità.
11.˗ La novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) accoglie l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio, Consigliere