REFERENDUM COSTITUZIONALE: BREVE RIFLESSIONE IN DIFESA DELLA DEMOCRAZIA E DEI DIRITTI.
di Gianni Girotto e Enrico Schenato
Mancano ancora pochi giorni alla data del referendum del 4 dicembre e il fronte del Sì cerca di dimostrare che la riforma Renzi Boschi non cambia la forma dello Stato, non lede nessuna delle garanzie sancite dalla costituzione e rappresenta invece un utile cambiamento che modernizza e velocizza le regole del confronto politico istituzionale. Si tratta invece di una controriforma – come da tempo sostengono autorevoli costituzionalisti – che sostituisce il bicameralismo paritario con un bicameralismo confuso, i senatori eletti dai cittadini con senatori – consiglieri e senatori scelti dai partiti locali, che toglie poteri politici alle regioni a statuto ordinario, che non potranno, per esempio, più dire la loro sulle scelte energetiche e, indebolisce le cariche di garanzia, presidente della Repubblica e Corte Costituzionale, esponendole all’abuso della maggioranza e del governo.
Va ricordato il contesto nel quale si inserisce questa legge, caratterizzato da contro riforme come il Jobs act, la cosiddetta “buona scuola”, lo “sblocca Italia”, leggi che hanno cancellato diritti e accresciuto il potere dei grandi gruppi finanziari e industriali. Al contrario delle grandi riforme del passato che estendevano diritti ed erano confortate da un forte sostegno popolare e da una importante partecipazione democratica. Basti ricordare lo statuto dei diritti dei lavoratori che fu di Gino Giugni, la Riforma del diritto di famiglia e l’istituzione del servizio sanitario nazionale.
E’ evidente a tutti il nesso di questa riforma con la legge elettorale detta Italicum. L’Italicum fa vincere un solo partito che diventa maggioritario in Parlamento – alla Camera per l’esattezza – e che può restare fortemente minoritario nel paese, avendo ottenuto il 30% appena dei voti espressi, cioè più o meno il 20% degli aventi diritto al voto.
Nella legge elettorale, inoltre, si obbligano i partiti a indicare il “capo della forza politica” che diventa, in caso di vittoria, necessariamente “il capo del Governo”. Viene di fatto fortemente indebolito il ruolo del Parlamento concentrando l’intera dialettica politica nel rapporto tra Presidente della Repubblica e primo ministro. La riforma rafforza i poteri dell’esecutivo a danno del parlamento.
Del tutto demagogico e privo di fondamento è l’argomento secondo cui la riforma Renzi Boschi taglierebbe la politica e ne ridurrebbe i costi. Restano ben 630 deputati – e recentemente la maggioranza di governo si è rifiutata di tagliarne le indennità – a cui devono sommarsi i consiglieri senatori e i sindaci senatori, in trasferta a Roma, che avranno bisogno di uffici e impiegati per poter seguire temi molto diversi –dalle questioni costituzionali a quelle europee- per i quali sono stati eletti consiglieri regionali o sindaci.
In più questi senatori, che non rappresentano più la nazione, ma dovrebbero rappresentare le autonomie, conserveranno l’immunità parlamentare. Le regioni rimarranno prive di molte competenze e scavalcate dallo Stato ogni volta che vorrà grazie alla cosiddetta “clausola di supremazia”, così come rimangono le province con amministratori non più eletti dai cittadini.
In pratica, la riforma Renzi Boschi sostituisce il bicameralismo paritario con un bicameralismo confuso, toglie poteri alle regioni ma non le funzioni di spesa, mantiene le province sotto altra forma, riduce il diritto dei cittadini a eleggere direttamente parlamentari e amministratori.
Per questo il referendum di dicembre diventa allora la madre di tutte le battaglie in questo momento storico. Difendere gli spazi di civiltà, di democrazia, di partecipazione e di garanzia di cui la Costituzione si dovrebbe fare garante diventa un imperativo categorico. Perduta questa battaglia tutto diventerà più difficile e lo smantellamento definitivo dei diritti fondamentali di conquista democratica diventerà la naturale conseguenza politica.