Troppi argomenti diversi in un unico quesito. E in questo modo il voto al referendum costituzionale del 4 dicembre potrebbe non essere libero, come invece prevede la Costituzione. Per questo a chiedere che sulla scheda elettorale si pronunci la Consulta è Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale.
Non è finita, assicura Valerio Onida, il ricorso al Tar, che fa leva anch’esso sul diritto di voto “in piena libertà, come richiesto dagli articoli 1 e 48 della Costituzione”, “è rivolto contro il decreto di indizione del referendum medesimo, in quanto ha recato la formulazione di un unico quesito, suscettibile di un’unica risposta affermativa o negativa, pur essendo il contenuto della legge sottoposta al voto plurimo ed eterogeneo“. Per questo si chiede l’annullamento, previa sospensione, del decreto del presidente della Repubblica di indizione del referendum e di “ogni altro atto preliminare, connesso o conseguenziale”. Il ricorso ricorda inoltre come “i necessari caratteri di omogeneità” del quesito referendario siano “gli stessi richiesti secondo la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale relativa al referendum abrogativo“.
Agli autori del ricorso, il Tar risponde che avrebbero dovuto o dovrebbero sollevare la questione di costituzionalità davanti all’ufficio centrale della Cassazione, al quale erano state presentate le richieste di referendum.
La legge del 1970 che disciplina i referendum distingue le leggi di revisione della Costituzione dalle altre leggi costituzionali e nel primo caso chiede che vengano indicati gli articoli della Costituzione sottoposti a modifica, nel secondo chiede che nel quesito vengano indicati gli estremi della legge col relativo titolo. Invece “l’atto di convocazione del referendum impugnato tratta la fattispecie come se si trattasse non di una legge di revisione della Costituzione (pur essendo essa diretta a modificare espressamente molte norme della Costituzione), ma di un’altra legge costituzionale, formulando un quesito che rinvia esclusivamente e in toto al titolo della legge”. Titolo che “riflette peraltro e per di più in modo parziale e per molti versi impreciso, i suoi contenuti plurimi ed eterogenei”.
Il nodo centrale è la disomogeneità del quesito unico, che si riferisce ad oggetti e contenuti multipli e tra loro diversissimi. È lesivo della libertà di voto dell’elettore sottoporgli un unico quesito a cui può rispondere solo con un unico sì o con un unico no. Gli oggetti delle modifiche costituzionali sono diversi: la riforma del Senato, i rapporti tra Stato e Regioni, l’elezione del presidente della Repubblica, la disciplina del referendum, per citarne solo alcuni.
In realtà era stata appoggiata l’idea che venisse formulata a una richiesta di referendum ‘spacchettato’ – ne aveva parlato un gruppo di radicali – ma l’ iniziativa non è stata assunta da nessuno dei soggetti legittimati (un quinto dei componenti di una Camera, cinque consigli regionali, 500mila elettori). L’ ufficio centrale della Cassazione non si è trovato di fronte a qualcuno che gli poneva il problema dello spacchettamento, e non se ne è occupato.
La Corte costituzionale fin dal ’78 si è espressa sul referendum abrogativo ed ha detto che l’elettore deve trovarsi di fronte a una domanda chiara e precisa, su cui possa pronunciarsi con un sì o con un no. Se si ammassano in un referendum più oggetti si lede la libertà di voto e si trasforma la consultazione in una sorta di plebiscito pro o contro un programma politico. In questo caso, quello della maggioranza che ha approvato la legge.
Se venisse dichiarata incostituzionale la legge sul referendum nella parte in cui non prevede che i quesiti devono essere omogenei, questa operazione potrebbe essere fatta o dai proponenti, con il controllo dell’ ufficio centrale della Cassazione, oppure dall’ ufficio centrale medesimo.
In ogni caso, se il 4 dicembre si votasse su questo quesito, dovremmo esprimere un solo voto, nonostante la pluralità di oggetti eterogenei. Saremmo meno liberi. In quella riforma ci sono anche alcune cose secondo me positive, come la possibilità di impugnare le leggi elettorali davanti alla Corte costituzionale prima della loro promulgazione.
Intanto il Codacons denuncia lo spot tv sul referendum costituzionale all’Agcom e all’Antitrust per costruzione del messaggio ingannevole “tendente” al sì .
Si dovranno occupare anche l’Autorità per le comunicazioni e l’Antitrust di referendum costituzionale. Sul banco degli imputati finisce infatti lo spot istituzionale trasmesso in questi giorni sulle reti televisive nazionali, che ha suscitato numerose polemiche e critiche da più parti. Nello spot scorre il testo del quesito referendario, letto dalla voce di uno speaker, che ricorda la data del voto. La contestazione è che la costruzione del messaggio appare come “tendente” al sì. Per tale motivo il Codacons – che non si schiera né per il Si, né per il No, ma per la “correttezza e per la trasparenza in favore dei cittadini e una informazione neutra e consapevole” – ha deciso di coinvolgere gli organi competenti.