RECOVERY PLAN E “CAPACITA’ AMMINISTRATIVA” DEI COMUNI: questione non solo meridionale.
Enrico Conte
Il tema della capacità amministrativa dei soggetti pubblici chiamati ad attuare gli interventi previsti dal Recovery plan è entrato, da circa un anno, tra gli argomenti del dibattito pubblico.
E’ da un anno, infatti, che l’Italia ha avuto la certezza di ricevere gli oltre 200 miliardi del programma Next Generation EU, che finanzia il Recovery plan, e la consapevolezza di dover restituire le risorse finanziarie ottenute se gli obiettivi non verranno centrati: gli impegni di spesa devono essere disposti entro il 2023, le opere messe in esercizio entro il 2026.
Le misure di semplificazione e di accelerazione, messe in campo dal Governo Draghi per supportare i soggetti attuatori delle missioni del PNRR (ministeri, regioni ed enti locali), sono molteplici e di natura diversa. Basti pensare alle piattaforme per velocizzare i reclutamenti di personale, al gruppo degli esperti per le PA in affanno – 73 dei quali saranno assegnati alla Regione Puglia, per essere successivamente redistribuiti ai Comuni (?) -, al Piano React-Eu promosso dal Ministero della coesione territoriale, per integrare le risorse del Recovery destinate a supportare le stazioni appaltanti.
Ciò premesso, può forse essere utile soffermarsi su alcuni nodi problematici che si trascinano da anni e che, se sottovalutati, rischiano di rendere, se non infruttuosi, quanto meno insufficienti gli sforzi di questi mesi per spendere i denari europei.
Tra le misure del Governo, rispolverate dopo la riforma del Codice Appalti e Concessioni del 2016, compare la razionalizzazione delle stazioni appaltanti (30mila, tra le quali 8mila Comuni), da realizzare attraverso una loro riduzione, che consentirebbe di concentrare in pochi e qualificati centri di ideazione e di spesa l’elaborazione dei fabbisogni, la progettazione e le gare, la contabilizzazione in corso d’opera degli stati di avanzamento, la rendicontazione, la messa a punto, infine, delle operazioni richieste per affidare la gestione dell’opera agli Enti destinatari (si pensi ad una scuola, ad un nido, ad una palestra, ad un’area verde che non si voglia abbandonare).
Un centro di competenza che possa dare una risposta compensativa al problema della carenza di personale di molti Comuni, con il supporto di quei tecnici necessari per realizzare un’opera pubblica, dalla fase della progettazione, validazione e messa in gara alla successiva gestione della commessa, con i direttori dei lavori e loro collaboratori, geometri, periti, amministrativi e contabili per seguire gli avanzamenti dell’opera e la successiva e conclusiva rendicontazione.
Sarà ragionevolmente questa criticità, non sufficientemente vigilata, a spiegare perchè una grossa fetta di risorse europee assegnate non vengono spese e trasformate in opere e servizi?
Questo profilo non sembra comparire nella recente lettera avanzata al Presidente di Anci da parte della rete Sud Recovery, oltre 500 Sindaci interessati a gestire i fondi del PNRR che chiedono, peraltro, di poter contare sulla possibilità di non dover cofinanziare le opere da realizzare, circostanza, questa, che, non a caso, condiziona la richiesta di tutti i fondi europei, quale garanzia di responsabilità da parte di chi, in un prossimo domani, sarà chiamato a gestire il servizio e a sostenerne i costi.
Se è vero allora che la necessità di modificare paradigmi sembra essere la cifra di questi tempi di veloci trasformazioni, un cambio di metodo e di prospettiva nel modo di affrontare i problemi e di elaborare soluzioni può forse supportare gli amministratori locali, chiamati a cercare di conciliare esigenze di sviluppo con scelte che siano durature e sostenibili, anche dal punto di vista delle ricadute organizzative.
Concentrare le scarse risorse per non disperderle, quindi, nel quadro di una chiarezza sui ruoli di ciascun soggetto attuatore del PNRR, a partire da quella sul mandato ricevuto dalle stazioni appaltanti-centri di competenza.
Il rinforzo della capacità amministrativa, va aggiunto, non può prescindere dalla necessità di costruire un’autorevole regia pubblica alla quale possano rivolgersi, con fiducia, quegli investitori privati che, già dalla fase della progettazione, sono disponibili a presentare studi di fattibilità tecnica ed economica, proponendo opere e servizi con la formula dei partenariati pubblico privato e del project financing.
Le risorse del Recovery plan dovrebbero rappresentare una solida base alla quale collegare complementari capitali privati, in operazioni che siano un investimento già a partire dalle fasi iniziali del progetto.
Tutto ciò nel quadro di quella tendenza a sviluppare la collaborazione pubblico privato, la co-programmazione e la co-progettazione, che non riguarda solo il Terzo settore (recente Corte costituzionale, sent. 131 del 2020), ma anche gli operatori economici che operano in regime di concorrenza, quanto meno nella fase di presentazione dei progetti, prima che la loro proposta venga valutata di interesse pubblico e, successivamente, messa in gara.
Quanto sia necessario l’apporto di capitali e investimenti privati nel mercato delle opere pubbliche sembra essere – anche questa – consapevolezza diffusa, congiunta a quella di un’Università più vicina all’economia reale.
La condivisibile idea, avanzata da Isaia Sales, di fare riferimento alle competenze accumulate nelle Università del territorio, andrebbe, a mio avviso, integrata con la possibilità, prevista dal Recovery plan, di servirsi dei dottorati di ricerca comunali, con bandi motivanti e da collegare a quelli per il reclutamento di funzionari: sono misure, queste, che potrebbero avere il duplice obiettivo di trattenere giovani talenti sul territorio o di attrarre risorse umane già formatesi all’estero.
Le stazioni appaltanti rinforzate servirebbero anche a dare profondità progettuale alle soluzioni adottate e attenzione alle innovazioni tecnologiche, a partire da quelle per l’efficienza energetica degli edifici pubblici o per le scuole, i cui progetti andrebbero ripensati, con un uso più moderno degli spazi (e degli arredi) interni e con luoghi da mettere in relazione con il territorio.
Ultimo, ma non per ultimo, dare forza strutturale alle stazioni appaltanti significa non certo escludere a priori i rischi di fenomeni corruttivi, ma costruire efficaci dighe composte da professionisti preparati, formati, motivati e adeguatamente remunerati, come chiede una Raccomandazione UE del 2017.
“Immaginare il futuro – così Giorgio De Rita – non è uno sforzo di fantasia a ruota libera, è la capacità di leggere le nostre potenzialità, quel che da soli e tutti insieme non siamo e potremmo essere. Per farlo serve prendere il tempo, per riflettere, conoscere, studiare, sapere, confrontarsi”.
Forse accendere i riflettori sui problemi operativi dei Comuni, e condividerli in incontri pubblici da dedicare alle scelte tra i possibili impieghi dei fondi del Recovery plan, può essere un punto di partenza importante.
Il bisogno diffuso di concretezza sembra essere la cifra delle giovani generazioni post ideologiche. C’è da chiedersi allora se, per rendere le città più attrattive e capaci di trattenere i loro giovani professionisti, non costituisca un’imperdibile occasione offrire loro la possibilità di partecipare alla costituzione degli uffici Recovery plan.
Enrico Conte ex Direttore Dipartimento lavori pubblici e project financing Comune di Trieste 348.0064127 [email protected]