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Per il reato di omessa dichiarazione il giudice penale può avvalersi delle risultanze del processo tributario

Massima Giurisprudenziale 

Sulla base del principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel principio penale, al giudice penale è consentito avvalersi, ai fini della prova della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati tributari, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria, anche mediante gli studi di settore.

 

Decisione: Sentenza n. 36207/2019 Cassazione Penale – Sezione 3

Classificazione: Penale, Tributario

Massima:

Nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini, in generale, della prova della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati tributari, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria.

Ciò sulla base del principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel principio penale e di cui è espressione la previsione dell’art. 189 cod. proc. pen., restando peraltro salva la necessità che tali elementi siano, ove necessario, in conformità delle peculiarità dei fatti giudicati e dei rilievi delle parti, fatti oggetto di una autonoma valutazione idonea a coniugare la valorizzazione di tali risultanze con i criteri in generale dettati dall’art. 192, comma 1, cod. proc. penale.

Il giudice penale può legittimamente avvalersi, ai fini della ricostruzione delle imposte dovute e non dichiarate, dell’accertamento induttivo, mediante gli studi di settore, compiuto dagli Uffici finanziari per la determinazione dell’imponibile.

 

Osservazioni.

La sentenza della Corte di appello confermava la sentenza del Tribunale di condanna per il reato di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 74 del 2000 perché, nella qualità di rappresentante legale di una SRL, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non presentava, essendovi obbligato, la dichiarazione dei redditi realizzando un’evasione di imposta accertata in oltre euro 120mila in materia di IRES e oltre euro 160mila in materia di IVA.

Con l’atto di appello il ricorrente aveva evidenziato che l’accertamento induttivo dell’evasione fiscale non doveva ritenersi ammissibile in sede penale, essendo il giudice tenuto a verificare la sussistenza della contestata evasione tramite specifiche indagini.

Il Tribunale si era però limitato ad escutere il teste dell’Agenzia delle Entrate, che aveva confermato l’accertamento induttivo basato sull’applicazione degli studi di settore.

La Corte d’Appello aveva precisato che, solo in caso di emersione nel corso del contraddittorio di elementi contrastanti con l’accertamento induttivo, il Giudice avrebbe dovuto compiere una autonoma verifica.

Nel ricorso si deduce che nella specie non potrebbe operare alcuna inversione dell’onere della prova, restando sempre compito del giudice penale quello di un’autonoma valutazione degli elementi emersi.

La Cassazione ritiene il motivo di ricorso infondato: per il Collegio, «nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini, in generale, della prova della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati tributari, ivi compreso, evidentemente, quello, contestato nella specie, di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria, ciò discendendo, se non altro, dal principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel principio penale e di cui è espressione la previsione dell’art. 189 cod. proc. pen., restando peraltro salva la necessità che tali elementi siano, ove necessario, in conformità delle peculiarità dei fatti giudicati e dei rilievi delle parti, fatti oggetto di una autonoma valutazione idonea a coniugare la valorizzazione di tali risultanze con i criteri in generale dettati dall’art. 192, comma 1, cod. proc. penale».

Richiamandosi a precedente giurisprudenza, ricorda che «il giudice penale può legittimamente avvalersi, ai fini della ricostruzione delle imposte dovute e non dichiarate, dell’accertamento induttivo, mediante gli studi di settore, compiuto dagli Uffici finanziari per la determinazione dell’imponibile».

Analizzando il caso concreto, osserva che «nella specie il giudice di primo grado ha precisato in sentenza come il procedimento logico deduttivo seguito dal’Agenzia delle Entrate sia stato rigoroso, coerente e approfondito in particolare con riferimento alla puntuale valorizzazione degli studi di settore relativi ad aziende operanti nello stesso ambito territoriale, con un volume di affari sovrapponibile a quello della società rappresentata dall’imputato, ed aventi ad oggetto la stessa attività in materia lattiero-casearia con conseguente attendibilità della percentuale di ricalcolo individuata ed applicata».

Per la Suprema Corte, la motivazione della sentenza del Giudice di appello appare corretta nella parte in cui ha chiarito come spettasse all’interessato contestare il percorso argomentativo della sentenza di primo grado, e porre in discussione il metodo utilizzato ed i risultati derivati.

Al contrario, invece, l’imputato, si è limitato, in ricorso, ancora una volta, a contestare genericamente l’utilizzazione degli accertamenti svolti in sede tributaria non spiegando, sul piano concreto, le ragioni della non valorizzabilità, nella specie, del metodo induttivo.

Essendo però maturata nel frattempo la prescrizione, la Cassazione rileva l’estinzione del reato e annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Giurisprudenza rilevante.

Cass. 24811/2011
Cass. 40992/2013

Disposizioni rilevanti.

DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74

Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto

Art. 5. Omessa dichiarazione

1. E’ punito con la reclusione da due a sei anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.

1-bis. E’ punito con la reclusione da due a sei anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.

2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

Codice di procedura penale

Art. 189 – Prove non disciplinate dalla legge

1. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice provvede all’ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.

Art. 192 – Valutazione della prova

1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.

2. L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.

3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità.

4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall’articolo 371 comma 2 lettera b).

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