Per gli acquisti IVA non imponibili non configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta
L’uso improprio del regime previsto dall’art. 8 bis del D.P.R. n. 633/1972 può rilevare in sede tributaria, ma non attribuisce rilevanza penale per il delitto di dichiarazione fraudolenta perché non vi è stata alcuna attività posta in essere per ostacolare l’accertamento, né indicazione nella dichiarazione IVA di un costo indetraibile perché asseritamente non inerente.
Decisione: Sentenza n. 8668/2016 Cassazione Penale – Sezione III
Il caso.
Il Tribunale del riesame rigettava la richiesta di riesame proposta contro un decreto di sequestro preventivo in via diretta su un’imbarcazione, collegata all’ipotesi di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 Decreto Legislativo n. 74/2000) e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 della stessa disposizione).
Per l’accusa la cessione del natante sarebbe stata simulata, e le fatture passive emesse dalla società di leasing in regime di non imponibilità IVA ex art. 8 bis del D.P.R. n. 633/1972 avrebbero configurato un’imposta fraudolentemente risparmiata (l’IVA sarebbe stata di circa 440 mila euro), trattandosi di bene non inerente (in quanto l’operazione mascherava un utilizzo a fini personali) e quindi escluso dall’esenzione.
I tre indagati in concorso proponevano ricorso in Cassazione, due indagati congiuntamente, e il terzo con ricorso separato.
Nel primo ricorso si deducevano due motivi: violazione di legge in relazione all’art. 11 del Decreto Legislativo n. 74/2000 in quanto non vi sarebbe stata alcuna alienazione simulata, e assenza dell’individuazione della condotta tipica del reato (per il ricorrente, il reato ipotizzato previsto dall’art. 11 citato si configura solo in presenza di simulazione o di altri atti fraudolenti).
Successivamente alla presentazione del ricorso, il difensore di uno dei tre indagati in concorso depositava però dichiarazione con la quale rinunciava al ricorso per carenza di interesse.
La decisione.
La Cassazione affronta i due motivi di ricorso e precisa, anzitutto, che l’addebito mosso agli attuali indagati riguarda condotte di dichiarazione fraudolenta asseritamente poste in essere in concorso: secondo quanto ha ricostruito l’accusa, gli indagati avrebbero costituito una società con oggetto sociale apparentemente volto all’attività di noleggio a terzi dei natanti, ma in realtà costituita allo scopo di conseguire i vantaggi fiscali garantiti a tali tipi societari dalla legislazione speciale e utilizzare alcune imbarcazioni da diporto per il loro beneficio personale ed esclusivo.
Queste, in sintesi, le principali censure sollevate dal ricorrente:
in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta, «i ricorrenti, dopo aver sintetizzato gli elementi caratterizzanti la fattispecie penale de qua, sostengono come i fatti rilevati dagli accertatori rassegnassero una realtà di segno opposto all’archetipo delineato dalla fattispecie incriminatrice, anzitutto perché gli accertatori avevano potuto ricostruire sulla sola scorta degli elementi forniti dalla parte le operazioni societarie», e «In secondo luogo, contestavano come non fossero idonei ad inficiare il quadro di regolarità delle scritture contabili i rilievi indicati nel p.v.c. in quanto limitati solo all’anno 2008 ed afferenti alla mancata stampa di poche registrazioni del libro giornale e ad un paio di annotazioni a matita sul registro inventari; ancora, si rilevava come non fosse stata elevata alcuna formale contestazione e/o applicazione di sanzioni ex art. 9, d. Igs. n. 471 del 197, in merito alla presunta irregolarità delle scritture contabili per le predette annualità;»: in definitiva, «sostenevano i ricorrenti come non apparisse individuabile l’indispensabile mezzo fraudolento di cui si sarebbe avvalsa la società e gli attuali indagati al fine di ostacolare l’accertamento»;
i ricorrenti, inoltre, «censurano l’ordinanza sostenendo che dalla lettura dell’ordinanza impugnata emergerebbe una esegesi dell’art. 3, d. Igs. n. 74 del 2000, apertamente contrastante con i principi di tassatività e in violazione del c.d. divieto di analogia in materia penale; la norma, nella formulazione normativa al momento del fatto, precisano i ricorrenti, richiedeva quali elementi indefettibili sia la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie sia, da un lato, l’adozione di mezzi fraudolenti, ma anche che quelli utilizzati fossero dotati dell’idoneità ad ostacolarne l’accertamento»;
ancora, «censurano l’affermazione contenuta nell’impugnata ordinanza secondo cui l’insidia sarebbe determinata dalla presenza di artifici contabili eseguiti sulla base di documentazione apparentemente valida»;
con il secondo motivo di ricorso, deducono «il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 3, d. Igs. n. 74 del 2000 attesa l’insussistenza del fumus del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici quanto all’omessa considerazione delle deduzioni difensive».
La Suprema corte ritiene i ricorsi fondati, e affronta dapprima la questione preliminare relativamente all’intervenuta dichiarazione di rinuncia al ricorso per carenza di interesse: su questo punto, la Cassazione rileva che «non rileva l’intervenuta dichiarazione di rinuncia al ricorso per carenza di interesse, depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 11/09/2015 in quanto sottoscritta esclusivamente dal difensore, senza che risulti a questi conferita procura speciale.
Ed infatti, le Sezioni Unite di questa Corte, con decisione assunta all’ud. 24/11/2015 (r.g. n. 8933/2015, ric. CELSO), non ancora depositata, hanno dato soluzione negativa alla questione “se il difensore dell’indagato o imputato non munito di procura speciale possa validamente rinunciare all’impugnazione da lui autonomamente proposta”».
A questo punto, la Corte ritiene il primo ricorso fondato nel merito, e precisa che «il reato di cui all’art. 11 del d. Lgs. n. 74 del 2000 è caratterizzato dal dolo specifico posto che la alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva nei quali la condotta sanzionata consiste, devono essere finalizzati alla sottrazione “al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte”; (…) Ne consegue che, a fronte di tale principio, sarebbe stato necessario che il Tribunale, per potere legittimamente ritenere irrilevante, sul piano del fumus, l’intervenuto versamento dei 180.000 euro all’Erario, desse conto degli elementi indicativi del fatto che la vendita dell’imbarcazione sia consapevolmente stata posta in essere per un valore inferiore a quello reale; solo così, infatti, pur in presenza di un versamento del corrispettivo ricavato al fine di pagare un debito tributario, potrebbe in astratto ritenersi ugualmente perseguita la finalità di ledere le legittime aspettative del fisco ovviamente volte ad incamerare l’effettivo valore del bene compravenduto. E solo così, del resto, potrebbe legittimamente qualificarsi come fraudolento, così come previsto dall’art. 11 cit., l’atto posto in essere. Sennonché, su tale punto, l’ordinanza impugnata non ha in alcun modo motivato, essendosi limitata ad affermare, come esattamente lamentato dal ricorrente, che l’imbarcazione aveva “un certo valore”».
Pertanto, in relazione alla posizione del primo ricorrente, la Cassazione afferma che l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per un nuovo esame su questo punto.
Poi affronta il ricorso congiunto degli altri due indagati in relazione al reato ipotizzato di dichiarazione fraudolenta, e dopo aver ripercorso le modifiche intervenute al testo della disposizione, afferma: «Per “mezzi fraudolenti” sono da intendere le “condotte artificiose attive nonché quelle emissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà” (nuovo art. 1, comma primo, lett. g-ter) del D.Lgs. n. 74 del 2000). Ciò con la precisazione che “non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o lo sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali” (art. 3 cc. 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000)».
Sul punto, la Cassazione osserva che «rileva il Collegio che, con riferimento all’IRES 2007, l’imposta evasa è stata indicata in contestazione nella misura di C 112.939,00; trattasi di un importo inferiore all’attuale soglia di punibilità sub a); tale condizione non è peraltro sufficiente in quanto non è chiaro dall’imputazione cautelare – in assenza di elementi ulteriori desumibili dagli unici atti valutabili da questa Corte, ossia l’impugnata ordinanza ed il decreto di sequestro oggetto di esame da parte del tribunale – se l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione (anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi) sia superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione (nuovo art. 3, d. Igs. n. 74 del 2000). Dall’imputazione cautelare e dagli atti acquisiti, infatti, emerge solo che gli elementi fittizi, costituiti dai costi per dall’Erario ritenuti non deducibili, ammontavano ad C 453.157,99 ma non risulta indicato l’ammontare complessivo degli elementi attivi, indicazione imprescindibile al fine di verificare se sia stata o meno superata la soglia di punibilità prevista dalla fattispecie incriminatrice.
Per tale ragione, dunque, l’impugnata ordinanza deve essere annullata con rinvio al tribunale del riesame di Napoli per nuovo esame relativamente a tale punto».
La Corte di legittimità passa poi a esaminare la censura relativa alla inconfigurabilità del delitto di dichiarazione fraudolenta con riferimento agli acquisti in regime di non imponibilità IVA: proprio perché, non essendo stata detratta alcuna IVA né indicata in dichiarazione, non sarebbe tecnicamente configurabile tale reato.
Su questo punto, la Suprema corte dapprima chiarisce il momento di consumazione del reato di natura istantanea, e afferma che «deve confermarsi il principio che tutti i comportamenti tenuti dall’agente prima della presentazione della dichiarazione, ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti fittizi ovvero di false rappresentazioni anche con uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, sono irrilevanti ai fini penali e non possono dare luogo nemmeno ad una forma di tentativo punibile, in quanto per la configurabilità dei reati in esame è indispensabile la presentazione della dichiarazione e l’effettivo inserimento nella stessa degli elementi fittizi».
Afferma che «risulta priva di fondamento giuridico l’affermazione del tribunale del riesame secondo cui, in relazione alle predette fatture passive emesse dalla società di leasing, la corrispondente imposta pari ad € 441.354,70 “ancorché non possa ritenersi tecnicamente “detratta” proprio perché non addebitata, è pur sempre, all’evidenza, un’Imposta fraudolentemente risparmiata dalla società F.D. trattandosi di bene non inerente e, quindi, escluso dall’esenzione”. I giudici di merito hanno infatti apoditticamente ritenuto, pur non essendo stata detratta l’IVA in quanto non indicata in dichiarazione, sussistesse il delitto di cui all’art. 3 contestato, senza peraltro motivare esaurientemente circa i mezzi fraudolenti che i ricorrenti avrebbero posto in essere per ostacolare l’accertamento, limitandosi ad affermare che la stessa sarebbe pur sempre “un’imposta fraudolentemente risparmiata”».
E precisa: «Dato che la giurisprudenza ha affermato che ai fini della sussistenza del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 3, è necessario non solo che il contribuente indichi nelle dichiarazioni annuali un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi (che superino gli importi ivi indicati) e che sussista il dolo specifico del fine di evadere le imposte sui redditi o sull’IVA, ma che ciò avvenga sulla base di una falsa rappresentazione delle scritture contabili e, infine, che il soggetto si sia avvalso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento della falsa rappresentazione».
La Cassazione ritiene quindi la doglianza meritevole di essere accolta: «possono essere ravvisati profili di fondatezza nel motivo di ricorso, laddove il ricorrente ha lamentato l’insussistenza dell’elemento della frode, atteso che le predette fatture erano state emesse in regime di non imponibilità ex art. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972. In altri termini, nel caso di specie non vi sarebbe stata alcuna “indicazione” nella dichiarazione IVA 2010 di un costo indetraibile perché asseritamente non inerente, e ciò è sufficiente ad escludere la rilevanza penale – quantomeno con riferimento alle predette fatture passive relative ai canoni di leasing del Pershing 76 e al prezzo di riscatto dell’imbarcazione medesima -, non rilevando la questione dell’uso improprio della norma tributaria dell’art. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972 di cui potrebbe, eventualmente, discutersi in sede tributaria, ma da cui non sarebbero desumibili utili elementi per ritenere configurabile il delitto addebitato».
La Corte ha ritenuto superfluo l’esame degli altri motivi di ricorso, assorbiti dall’accoglimento del motivo anziesposto, e ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del riesame per un nuovo esame.
Osservazioni.
La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso sulla inconfigurabilità del delitto di dichiarazione fraudolenta nel caso di fatture di acquisto emesse in regime di non imponibilità IVA ex art. 8bis del D.P.R. n. 633/1972, dalla registrazione delle quali non vi è alcuna “indicazione” nella dichiarazione IVA di un costo indetraibile perché asseritamente non inerente.
L’uso improprio del regime previsto dall’art. 8bis del D.P.R. n. 633/1972 può rilevare in sede tributaria, ma non attribuisce rilevanza penale proprio perché non vi è stata alcuna attività posta in essere per ostacolare l’accertamento, né indicazione nella dichiarazione IVA di un costo indetraibile perché asseritamente non inerente.
Disposizioni rilevanti.
DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74
Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto
Art. 3 –
1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
3. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.
Art. 11 – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sè o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.