QUALI DOVERI ?
Tra relazione sociale e pandemia.
Sergio Benedetto Sabetta
E’ stato osservato il venire meno del “soggetto”, ossia la perdita di una identità comune a favore di una pluralità di identità, in questo disorientamento frutto della impossibilità di un racconto comune, frantumato nella molteplicità delle possibilità tecnologiche, proiezioni di falsità e verità in percentuali, viene a mancare il collante dell’obbligo morale.
La sanzione sociale nel suo progressivo sfumare, fino a dissolversi, libera il vaso di Pandora delle mille possibili interpretazioni e delle innumerevoli condotte tutte equamente legittime.
La relazione sociale viene progressivamente riempita ed occupata dall’obbligazione giuridica, anch’essa tuttavia sottoposta alle possibili innumerevoli interpretazioni, frutto del potenziale tecnologico e del venire meno di un pericolo o rischio esterno alla comunità Stato.
Lo sfumare dell’identità porta all’indeterminazione della comunità nazionale, l’elemento finanziario diventa centrale ed assoluto, senza contraltari unico elemento di valutazione dell’agire umano.
La fiducia che risultava essere elemento discriminante nei rapporti umani, viene a perdersi sostituita dagli obblighi giuridici ed anche il rapporto con il pubblico si inserisce in un quadro di obbligazioni giuridiche.
Nel venire meno di una forte identità si manifesta il concetto di responsabilità in rapporto al danno quale elemento unificatore, in una società dove il rischio perde la valenza positiva di una valutazione e accettazione per ottenere un vantaggio in funzione di una contraria visione negativa di perdita.
L’azione non viene più valutata in termini etici di obbligo sociale e come tale approvata o sanzionata dalla comunità, ma solo quale possibile fonte di danno da cui vi è l’obbligo di tutelarsi e di cui il pubblico si assume l’onere.
La frammentazione identitaria trova una nuova propria identità nella richiesta di tutela del danno che i vari agire possono comportare, si passa quindi dal sanzionare preventivamente e socialmente i comportamenti al fine di evitare il danno, alla libertà d’azione con una sanzione successiva al manifestarsi dello stesso.
Si tende quindi ad allargare il raggio d’azione della colpa, sfumando la distinzione tra colpa grave e leggera, nel tentativo di comprimere le conseguenze del rischio.
Lo Stato etico, con i doveri che ne conseguivano, viene meno sostituito da una serie di obblighi giuridici ma non più morali, d’altronde lo Stato etico è stato fonte nel ‘900 di due Guerre Mondiali e di varie dittature, perdendo in tal modo parte della propria legittimità.
Il sostituire un modello ideale in cui vi erano doveri e diritti determinati con una serie di diritti della persona, in funzione di una indefinita globalizzazione economico-identitaria, ha creato una incertezza comportamentale con la conseguente ricerca di modelli in cui identificarsi.
Anche il rischio di morte diventa quindi elemento di contratto e non di dovere verso la comunità, ne è esempio il servizio militare volontario in cui l’aspetto economico costi/utili viene a coprire lo sfaldarsi dell’elemento etico che si riduce ai soli aspetti personali.
In questo clima viene meno il concetto stesso di dovere etico sostituito esclusivamente da doveri e diritti derivanti direttamente da una fonte obbligazionaria.
La mancanza di una identità che venga a trasformarsi in un dovere etico non fa che aumentare la complessità giuridica, sia per la necessaria precisione nei particolari che nelle possibili crescenti interpretazioni.
Gli stessi diritti umanitari uniti alla interpretazione del rischio quale negazione di un possibile pericolo, possono diventare elemento di una strategia politica, strumento di pressione e quindi arma umanitaria, in questo supportati dallo strumento della spettacolarizzazione.
L’attuale pandemia con le polemiche sui vaccini non fa pertanto che riproporre nel profondo il dilemma ultimo tra i due doveri, manifestando le problematiche che una società fondata esclusivamente sul rischio crea.
D’altronde la vicenda della pandemia è l’ultimo passaggio di un percorso iniziato l’11 settembre 2001 in cui la sicurezza fisica fu incrinata, seguirono alla fine del decennio una serie di crisi finanziarie nelle quali la sicurezza di una ricchezza data da una continua crescita economica venne meno, premessa per conflitti derivanti dalla progressiva delocalizzazione e impoverimento della classe media, per finire in una parziale perdita della libertà a seguito delle misure pandemiche anticovid.
I tre pilastri della “sicurezza”, della “ricchezza” e della “libertà” su cui si fondava il mito occidentale in un ventennio sono stati incrinati, la società fondata sulla negazione del rischio ha così creato in sé il rischio, dovendolo accettare se pure formalmente negandolo.
Un ulteriore elemento di dissoluzione del “soggetto”, che viene a rinchiudere l’individuo in una sua solitudine anche se apparentemente aperta in rete, individui soli in social, senza “doveri” aggrappati ai “diritti” quale ultima identità.
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