Discarica rifiuti
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La sentenza della Corte di Cassazione del 17 luglio, riguarda lo svolgimento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti con prestazioni eseguite in modo differente da quella pattuite nel contratto di appalto danneggiando la P.A. in quanto la società ha percepito un “ingiusto” profitto in ragione degli artifici e raggiri posti in essere nell’esecuzione del contratto.

Quindi, anche nell’esecuzione di servizi in tema di rifiuti si configura il reato di truffa quando la gestione illecita sia avvenuta attraverso la falsa attribuzione di codici dei rifiuti, falsificazione delle analisi del compost prodotto, falsa attribuzione di codici utili allo smaltimento in discarica, false annotazioni sui registri di carico e scarico dei rifiuti, illecita attività di ricircolo del percolato in una delle discariche, falsificazione delle analisi dei campionamenti del biogas, alterazione dei dati dei rifiuti trattati.

Tali condotte artificiose, unitamente alla violazione degli obblighi sulle reali modalità del servizio di gestione del servizio, nella specie, hanno indotto in errore i Comuni sulla corretta esecuzione del servizio medesimo, impedendo loro di esercitare i poteri di controllo e riduzione del prezzo ed inducendoli ad eseguire ugualmente la loro controprestazione, versando per intero il corrispettivo del servizio erogato in maniera diversa da quanto stabilito.

Deve essere ricordato come nei contratti sottoposti a condizione, ovvero in quelli ad esecuzione differita o che non si esauriscono in un’unica prestazione, è configurabile il reato di truffa nel caso in cui gli artifici e raggiri siano posti in essere anche dopo la stipula del contratto e durante la fase di esecuzione di esso, al fine di conseguire una prestazione altrimenti non dovuta o di far apparire verificata la condizione.

Pertanto, nei reati in contratto a prestazioni illecite ove la prestazione eseguita è differente da quella pattuita, il profitto illecito è pari al corrispettivo incassato in ragione degli artifici e raggiri posti in essere nella esecuzione del contratto.

Si veda: CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.2^ 17/07/2018, Sentenza n.

 Si veda giurisprudenza:     Appalti   –   Pubblica amministrazione   –   Rifiuti

 

Note di richiamo:

* Cass. Sez.3, n. 36822/2017

Il Tribunale di Perugia, con ordinanza dell’11/1/2017 ha parzialmente accolto, limitatamente ad alcune somme giacenti su conti correnti, un’istanza di riesame, rigettata nel resto, avverso il provvedimento emesso il 22/11/2016 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale con il quale è stato disposto il sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca ai sensi degli artt. 53 e 19 d.lgs. 231 \2001 fino a concorrenza dell’illecito profitto, pari a complessivamente ad euro 20.947.683,64, derivante da reato di truffa aggravata a danno di enti pubblici commesso nell’interesse ed a vantaggio della GESENU s.p.a. dai propri dipendenti, ipotizzandosi, nei confronti della società l’illecito amministrativo di cui agli artt. 1, 5, 6, 7, 24 commi 1 e 2, 24-ter comma 2, 25-undecies comma 1, lett. a) e comma 2, lett. b) n. 1 e lett. f) d.lgs. 231\2001 in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cod. pen. 256, comma 1, lett. a) e 260 d.lgs. 152\06, art. 416, comma 1 e 2, 452-bis, 640 commi 1 e 2 cod. pen. (in Perugia, dal 2010 a ottobre 2015). Avverso tale pronuncia la predetta società propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, lamentando che il Tribunale avrebbe confuso la responsabilità della persona fisica con quella dell’ente, rispetto al quale andrebbe considerata la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, segnatamente, i requisiti tassativamente indicati nell’art. 6 d.lgs. 231\01. Lamenta, inoltre, che il Tribunale avrebbe fatto ricorso alla mera adesione all’ordinanza genetica, senza peraltro considerare che le condotte censurate sarebbero riferibili a G. S. quale legale rappresentante della GEST s.r.I., società dotata di personalità giuridica autonoma rispetto alle società controllanti. 3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge in relazione alla insussistenza dei presupposti per la configurabilità del delitto di truffa aggravata e, segnatamente, dell’elemento costitutivo degli artifici e raggiri, erroneamente individuati nelle medesime condotte materiali configuranti il delitto di frode nelle pubbliche forniture, pure contestato, condotte, peraltro, non rivolte ai comuni controparti contrattuali e non aventi rilevanza rispetto al pagamento dei canoni previsti dai contratti di gestione integrata dei rifiuti. 4.Con il terzo motivo di ricorso lamenta l’assoluta mancanza di motivazione in ordine alla quantificazione del profitto derivante dal reato di truffa aggravata, che il Tribunale avrebbe erroneamente individuato nell’ammontare dell’intero fatturato, pur dando atto del fatto che la difesa aveva richiesto una riduzione dell’ammontare del sequestro. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. Alla requisitoria ha replicato la difesa della società ricorrente con memoria depositata in cancelleria il 26/6/2017, all’esito della quale si insiste per l’accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. Come emerge dalla lettura dei capi di imputazione, in parte testualmente riportati, i reati provvisoriamente ascritti alle persone fisiche coinvolte nel procedimento penale attengono ad ipotesi di frode nelle pubbliche forniture, truffa, gestione illecita di rifiuti ed attività organizzate finalizzate al traffico illecito di rifiuti, reati posti in essere nell’ambito di un contratto di appalto relativo alla raccolta di rifiuti in diversi comuni. 2. Riguardo al primo motivo di ricorso va rilevato che il Tribunale ha accertato in fatto, tenuto conto della produzione documentale in atti e, segnatamente, dei contratti prodotti dalla difesa, che la GEST s.r.I., affidataria del servizio, altro non è se non lo “sviluppo” di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese (R.T.I.) tra la GESENU s.p.a. (capogruppo), T.S.A. s.p.a., S.I.A. s.p.a. ed ECOCAVE s.r.l. La GEST s.r.I., costituita dal R.T.I., è definita nei contratti “società veicolo”, in quanto attraverso la stessa la capogruppo GESENU s.p.a., che controlla la GEST s.r.l. al 70%, gestisce i contratti, eseguiti però in concreto dalla capogruppo, individuata dai giudici del riesame quale principale “protagonista” dell’attività di gestione dei rifiuti, la quale opera attraverso la controllata che fattura ai comuni ma che, a sua volta, fattura alla controllante il servizio che riceve. Il Tribunale ha anche dato atto del fatto che tutti i contratti risultavano sottoscritti da Giuseppe S., imputato nel procedimento penale, il quale, oltre ad essere stato legale rappresentante della GEST s.r.I., era il vero protagonista della gestione dei rifiuti, risultando dapprima quale direttore tecnico della GESENU s.p.a., poi direttore generale con delega ambientale, nonché, n vari periodi, direttore tecnico, amministratore delegato e consigliere della T.S.A. s.p.a. 3. Ciò posto, deve rilevarsi che, secondo quanto disposto dall’art. 5 d.lgs. 231\01, l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti precedenti. [ente invece non risponde se le dette persone hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. Il successivo art. 6, del quale la ricorrente lamenta la violazione, specifica che, qualora il reato presupposto sia stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde soltanto se prova la sussistenza di determinate condizioni: a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b). Il comma 2 della disposizione richiamata stabilisce, inoltre, che i modelli organizzativi, in relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Le suddette esigenze possono essere anche garantite, secondo quanto disposto dal comma 3 della disposizione in esame, adottando modelli di organizzazione sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, che vanno comunicati al Ministero della giustizia il quale, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare osservazioni, entro trenta giorni, sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati. 4. E’ dunque richiesta all’ente la effettiva dimostrazione della sussistenza di presupposti per l’esclusione di responsabilità, tanto che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare che la persona giuridica, la quale abbia omesso di adottare ed attuare il modello organizzativo e gestionale, non risponde del reato presupposto commesso da un suo esponente in posizione apicale soltanto nell’ipotesi in cui lo stesso abbia agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi (Sez. 4 6, n. 36083 del 9/7/2009, Mussoni e altri, Rv. 24425601). Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, ma su quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26111201). 5. Nel caso in esame, come osservato dal Tribunale, la difesa non ha minimamente contestato la ricostruzione dei fatti effettuata dal Giudice per le indagini preliminari e la posizione apicale del S., rispetto al quale i giudici hanno dato atto di aver confermato, con separato provvedimento, la misura cautelare personale applicata nei suoi confronti, emerge chiaramente, come osservato dal Procuratore Generale, dalla mera lettura delle imputazioni riportate nell’ordinanza impugnata. I giudici del riesame, inoltre, forniscono una dettagliata descrizione delle condotte poste in essere, con riferimento a specifici dati fattuali non suscettibili di valutazione in questa sede di legittimità, dalla descrizione dei quali si evince non solo il ruolo svolto, nell’ambito delle singole società coinvolte, dal S., ma anche quello, del quale si è già detto, della GESENU s.p.a. Risulta quindi ben definito, nei termini richiesti per il procedimento incidentale cautelare, il fumus dell’illecito amministrativo ascritto alla società ricorrente, nonché l’assenza dei presupposti per l’esclusione di responsabilità di cui all’art. 6 d.lgs. 231\01 citato, essendosi la società ricorrente limitata a richiamare, in nota al ricorso, la mera sussistenza di un non meglio specificato modello organizzativo. 6. Quanto al secondo motivo di ricorso il Tribunale ha correttamente richiamato il principio secondo il quale, nei contratti sottoposti a condizione, ovvero in quelli ad esecuzione differita o che non si esauriscono in un’unica prestazione, configurabile il reato di truffa nel caso in cui gli artifici e raggiri siano posti in essere anche dopo la stipula del contratto e durante la fase di esecuzione di esso, al fine di conseguire una prestazione altrimenti non dovuta o di far apparire verificata la condizione (Sez. 2, n. 29853 del 23/6/2016, Prattichizzo, Rv. 26807401). [ordinanza impugnata chiarisce inoltre, con richiami a specifici dati fattuali, indicando nel dettaglio le condotte concretanti gli artifici e raggiri con riferimento ai singoli impianti di trattamento dei rifiuti, dando altresì atto della già rilevata sussistenza della truffa nell’ambito di altro procedimento incidentale, nel quale era stata accertata la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza anche per tale reato nei confronti del S. e concludendo nel riconoscere come la gestione illecita dei rifiuti sia effettivamente avvenuta, così come le condotte descritte nel capo di imputazione (falsa attribuzione di codici dei rifiuti, falsificazione delle analisi del compost prodotto, falsa attribuzione di codici utili allo smaltimento in discarica, false annotazioni sui registri di carico e scarico dei rifiuti, illecita attività di ricircolo del percolato in una delle discariche, falsificazione delle analisi dei campionamenti del biogas, alterazione dei dati dei rifiuti trattati). Il Tribunale ha pertanto considerato come tali condotte artificiose, unitamente alla violazione degli obblighi sulle reali modalità del servizio di gestione del servizio, abbiano indotto in errore i comuni sulla corretta esecuzione del servizio medesimo, impedendo loro si esercitare i poteri di controllo e riduzione del prezzo ed inducendoli ad eseguire ugualmente la loro controprestazione, versando per intero il corrispettivo del servizio erogato in maniera diversa da quanto stabilito. [ordinanza impugnata, dunque, individua in maniera adeguata gli elementi caratterizzanti la truffa e, segnatamente, gli artifici e raggiri e l’evento di danno per la parte offesa coincidente con il profitto dell’agente, così distinguendola dalla mera dolosa inesecuzione del contratto pubblico, pure accertata, correttamente riconoscendo il concorso tra le due ipotesi di reato (cfr. Sez. 6, n. 38346 del 15/5/2014, Moroni, Rv. 26027001; Sez. 2, n. 15667 del 20/3/2009, Mari e altro, Rv. 24395101). 7. Per ciò che concerne, infine, il terzo motivo di ricorso, deve concordarsi con il Procuratore generale nel rilevarne la genericità, essendo le censure limitate al mero rilievo del fatto che il Tribunale avrebbe quantificato il profitto del reato considerando l’ammontare dell’intero fatturato, accompagnando tale asserzione con il richiamo ad alcuni principi giurisprudenziali, ma senza offrire concreti elementi atti a confutare la soluzione adottata dai giudici del riesame. In realtà, nell’ordinanza impugnata viene dato atto dell’assenza di specifiche contestazioni sul punto da parte della difesa, ritenendo conseguentemente corrette le stime eseguite in sede di indagini preliminari e richiamando, del tutto correttamente, per relationem il criterio di calcolo seguito nel provvedimento di sequestro. Tale ultima evenienza, peraltro, dimostra efficacemente l’insussistenza dell’ulteriore censura relativa alla assoluta mancanza di motivazione sul punto. 8. Il ricorso deve pertanto essere rigettato

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