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PROSPETTIVE DI SALVAGUARDIA DELLA VITA UMANA E DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE.

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Giurisprudenza

 

PROSPETTIVE DI SALVAGUARDIA DELLA VITA UMANA E DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE.

Analisi critica del principio giurisprudenziale statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 21748 del 16 Ottobre 2007.

Giulio La Barbiera*

Profili generali.

Nel caso doloroso, sottoposto all’attenzione dei Giudici della Suprema Corte di Cassazione, è stato statuito che, pur dovendosi escludere che “l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino naso gastrico costituiscano in sé, oggettivamente una forma di accanimento terapeutico (pur dovendo indubbiamente essere considerati alla stregua di un trattamento sanitario) … il giudice può, su istanza del tutore, autorizzarne l’interruzione soltanto in presenza di due circostanze concorrenti: a) la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcun sia pur minima possibilità standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e della capacità di percezione; b) sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientano vano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento”, per cui “in mancanza dell’una o dell’altra condizione, l’autorizzazione deve essere negata, riespandendosi la portata generale del diritto alla vita,indipendentemente dalla percezione, che altri possono avere, della qualità della vita stessa”, altrimenti va ritenuto ammissibile “il sacrificio del bene della vita” .

“Il sacrificio del bene della vita”, in mancanza delle condizioni indicate ai punti a) e b), va però, ritenuto, in ogni caso un parametro accettabile da eseguire?

La risposta a tale quesito è senz’altro negativa, sotto un duplice profilo, ossia: con riferimento alla giurisprudenza, palesemente sensibile alla difesa ad oltranza del bene “vita” (in perfetta corrispondenza a quanto sancito all’articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana) sia in materia di danno da morte immediata che con riguardo alla perdita del rapporto parentale o del congiunto.

Al di là di tali profili, ne va evidenziato un altro non meno importante di ordine puramente fattivo e quindi sociale: la vita di ogni uomo e donna, nel suo divenire, giorno per giorno, è composta da tante variabili indipendenti che sfuggono ad un calcolo, rigorosamente matematico, circa le prospettive sullo stile di vita da adottare fino all’evento morte: le esperienze positive, ma specialmente quelle negative, hanno un notevole impatto formativo sulla sfera psichica di ogni persona che la portano, nel corso degli anni, a cambiare opinione, anche più volte, sul medesimo argomento, inducendola a riflettere a fondo ed a non considerare con leggerezza (tipicamente demagogica) i valori non negoziabili, come , appunto , il bene “vita”.

Muovendo quindi dal dato tangibile che ogni uomo e donna è un’entità psico-fisica in formazione continua, risulta sufficiente solo questo dato per privare di ogni fondamento giuridico e sociale l’ipotetico “varo legislativo” del cd. “testamento biologico”.

In altri termini: essendo ogni uomo e donna soggetta a cambiare, più volte, idea in merito ad un determinato argomento, in virtù della maturazione progressiva e costante delle proprie convinzioni etiche, religiose, politiche, sociali e filosofiche, può capitare (anzi certamente capita) che, con riferimento specifico al tema in oggetto, in passato era favorevole alla interruzione “artificiale” del proprio ciclo vitale, laddove venissero a sussistere le condizioni specificate ai punti a) e b) della sentenza in commento e magari, a causa di un evento che l’ha resa, improvvisamente, un vegetale, non è riuscita ad esprimere, coscientemente e liberamente, che aveva radicalmente mutato opinione.

Questa è una situazione certamente non scientificamente dimostrabile (almeno allo stato attuale della scienza medica), ma è una ipotesi di cui, nel nostro Stato di diritto, non può non prendersi in considerazione.

Ne derivano, dunque, le molteplici conseguenze che verranno qui di seguito illustrate.

Va, innanzitutto, evidenziato che, in presenza di tale situazione, verrebbe ad essere, ragionevolmente, stravolta la giurisprudenza più consolidata in materia di consenso informato, in quanto un medico che provvedesse, esistendo un testamento biologico redatto da un paziente in un tempo in cui era favorevole all’interruzione artificiale della propria vita, a non somministrare più alcuna cura al paziente, non attuerebbe, sia pure inconsapevolmente ed incolpevolmente, “il miglior interesse terapeutico del paziente” (Cass. civ., sez. I, 16 Ottobre 2007, n. 21748).

Va, quindi, concluso che, dovendo il consenso del paziente essere espresso, in equivoco ed attuale (requisiti mancanti per chi si trova a versare improvvisamente in stato vegetativo  e non ha avuto il tempo di esprimere la sua opinione divenuta, rispetto a quella espressa in passato e sancita in un ipotetico testamento biologico, favorevole alla conservazione del bene vita) per esonerare il medico dal potere-dovere di intervenire “non è sufficiente una generica manifestazione di dissenso formulata ex ante in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita” (Cass. civ., sez. III, 15 settembre 2008, n. 23676), perché, in caso contrario, viene a prodursi un danno cagionato dalla concreta “mancata acquisizione del consenso informato del paziente” (Cass. 12-6-2015, n. 12205 rv. 635626).

 

Conseguenze penali e civili per il medico che interrompe l’alimentazione artificiale del paziente sulla base di un consenso non più attuale.

Proseguendo sulla scia di tali ragionamenti, ne deriva che il medico che procedesse ad interrompere artificialmente il ciclo vitale del paziente, si troverebbe a commettere il reato di omicidio, sancito e punti all’articolo 575 c.p., (come minimo in forma tentata laddove l’evento morte non venisse a prodursi), in quanto sussisterebbe certamente il cd “animus necandi” (Cass pen., sez. I, 22 settembre 2010, n. 37516),

Traslando queste conclusioni sul piano prettamente civilistico, il medico colpevole di omicidio, secondo le coordinate normative sopra illustrate, potrà certamente essere tenuto a risarcire sia i danni patrimoniali che non patrimoniali, riconducibili senz’altro nell’alveo esistenziale, sviluppato nella casistica giurisprudenziale (di legittimità e di merito) relativa all’articolo 2059 c.c., ma composto, nella sua nomenclatura interna, dal danno tanatologico che è “trasmissibile iure hereditatis” e la cui determinazione compete “alla valutazione equitativa del giudice di merito, alla cui prudente discrezionalità va rimessa l’individuazione dei criteri che consentono di pervenire alla liquidazione di un ristoro equo dovendosi escludere sia una soluzione di carattere meramente soggettivo, sia la determinazione di un ammontare uguale per tutti, e occorrendo invece procedere alla personalizzazione, tenuto conto dell’età della vittima. Delle sue condizioni di salute, delle speranze di vita futura, dell’attività da lui svolta e dalle condizioni personali e familiari” (Cass. civ., Sez. III, 23-1-2014, n. 1361).

In altri termini: si tratta, come precisano gli Ermellini all’interno della sentenza suindicata, di danno “risarcibile quale lesione del bene supremo della vita, che è diverso dal bene salute; si tratta di un’eccezionale risarcibilità del danno evento” (parzialmente conforme: Cass. civ. Sez, III, Sent., 02-7- 2010, n. 15706, nella quale i Giudici della Suprema Corte circoscrivono la risarcibilità del danno all’integrità fisica con esito letale alla sussistenza della circostanza che intercorra un “apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso è configurabile un danno non patrimoniale, risarcibile in capo al danneggiato, che di trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante “iure hereditatis”” ).

In conclusione:“Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate” e di conseguenza “non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità”.

In altri termini:“Il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dall’evento di danno”, perché “dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che  abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale sia  la fonte della responsabilità contrattuale o extracontrattuale”.

Ne consegue che “nel caso di danno da morte immediata (o danno tanatologico), il giudice potrà correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine”.

Per un paziente in stato vegetativo non è facile desumere lo stato di lucidità, ma neanche lo si può , allo stato attuale della scienza medica, escludere con certezza.

In base a tale osservazione, I Giudici della Suprema Corte di Cassazione, concludono, asserendo, nella sentenza sin qui riportata, che:“Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato” (Cass. Civ. Sezioni Unite, Sent. 11.11.2008 n. 26972), giacché la liquidazione deve  restare “unitaria ed onnicomprensiva” (Cass. civ., Sez. III, Sent., 27- 4 -2015, n. 8475).

 

Bibliografia.

SENTENZE CIVILI Lo studio del diritto attraverso la giurisprudenza della Cassazione per Avvocati e Uditori Edizioni Giuridiche Simone 2008 Gruppo Editoriale Esselibri Simone (Argomento 2 Stato vegetativo persistente e sospensione delle cure paragrafi consultati: La pronuncia della Suprema Corte (pag.13) e Considerazioni conclusive (pag.28))

Luigi Tramontano Codici Civile e Penale Annotati con la Giurisprudenza per l’esame di Avvocato 2013 Cedam (art. 5 c.c. par.1 “Accanimento terapeutico (la pregiudiziale del consenso informato)” Cass.civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748 e Cass.Civ., sez. III, 15 settembre 2008, n. 23676).

I codici commentati per le professioni forensi appendice di aggiornamento codici civile e penale annotati con la giurisprudenza modifiche normative selezione ragionata delle piu’ recenti pronunce della cassazione consultabile durante le prove scritte dell’esame di avvocato Edizioni giuridiche Simone gruppo editoriale Simone novembre 2015 ( art. 5 c.c. Cass. 12-6-2015 n. 12205 rv 635626).

I codici commentati per le professioni forensi appendice di aggiornamento codici civile e penale annotati con la giurisprudenza modifiche normative selezione ragionata delle piu’ recenti pronunce della cassazione consultabile durante le prove scritte dell’esame di avvocato edizioni giuridiche Simone gruppo editoriale Simone novembre 2013 ( art. 575 c.p. Sez, I, sent. 31466 del 22-7-2013 (ud. 8-11-2012) rv. 255749).

Luigi Viola Casi e soluzioni schematiche cari e soluzioni schematiche di diritto civile 100 tracce 100 soluzioni con le massime giurisprudenziali esame avvocato 2015 La Tribuna (sez. Giuriprudenza con riferimento alle sentenze riportate, contenuta nei saggi: Caso 20 (“Danno tanatologico”(Cass. civ., Sez. III, 23-1-2014, n. 1361) pagg 50-51 (riportata anche nel Caso 63 “Morte immediata e danni iure successionis” (pag. 147) );Caso 66″Coma e morte” ( Cass. civ. Sez, III, Sent., 02-7- 2010, n. 15706) pag. 153; Caso 35 “Danno esistenziale” (Cass. Civ. Sezioni Unite, Sent. 11.11.2008 n. 26972) (Cass. civ., Sez. III, Sent., 27- 4 -2015, n. 8475) pag.82).

 

* Abogado iscritto presso Ilustre Colegio de Abogados de Santa Cruz De La Palma (Spagna) ed Avvocato Stabilito iscritto presso l’Albo degli Avvocati Stabiliti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere.

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