di Maria Paola De Nobili. L’idea di area protetta quale centro promotore di attività compatibili con l’ambiente si pone come base culturale della l. 394/1991, la vigente legge quadro sulle aree protette. Essa registra infatti il sostanziale cambiamento nella visione delle aree protette: passa da quella “museale” delle prime normative in materia, descriventi aree di valenza estetica sottoposte ad un sistema di divieti associato ad un regime concessorio riguardante poche attività consentite, ad un prospettiva “antropocentrica” che guarda con favore alle attività compatibili e promotrici della tutela territoriale.
La stessa legge dispone incentivi ed indennizzi per lo svolgimento di attività agro-silvo-pastorali, tra cui la conservazione in situ di specie agroalimentari autoctone, tanto che l’art. 14 del testo autorizza i parchi a concedere “l’uso di nome ed emblema a prodotti che presentino servizi di qualità e che soddisfino le finalità del parco”. Nel ventennio di attuazione della legge si è assistito ad un crescente interesse verso la garanzia qualitativa del prodotto alimentare, che ha portato al costante sviluppo del mercato biologico e del commercio di prodotti forniti di denominazioni geografiche, esigenze direttamente correlate alla maggiore coscienza ambientale diffusasi a livello sociale.
Attualmente in esame presso la commissione Ambiente del Senato è la modifica della suddetta legge: novità della modifica è la nascita della categoria dei Parchi geologici nazionali, categoria non prevista dalla classificazione internazionale dell’Iucn (International union for conservation of nature) che riceverà finanziamenti alla stregua di un Parco nazionale. E, nello stesso articolo, viene prevista una maggior tutela per le aree marine protette, così come più volte richiesto dalle associazioni ambientaliste, prevedendo maggiori garanzie per le risorse.
Altro punto di modifica riguarda la procedura di nomina del presidente: il testo proposto mantiene inalterata la decisione di nomina da parte del ministero dell’Ambiente, ma “d’intesa con i presidenti delle Regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano nel cui territorio ricade in tutto o in parte il parco”. La carica, però, “è incompatibile con qualsiasi incarico pubblico amministrativo o elettivo”. Pesa, poi, secondo alcuni, la presenza di amministratori locali nel Consiglio direttivo del Parco che fa temere ai più critici che “la gestione dei Parchi finisca in mano ai Comuni”.
Sono previsti anche “interventi di controllo della fauna selvatica nelle aree protette e nelle aree contigue, quale attività di pubblico interesse”, ma che “non costituiscono in nessun caso esercizio di attività venatoria”. Gli interventi di controllo faunistico, “sia di cattura che di abbattimento, devono avvenire, per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del Parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate, previa abilitazione rilasciata a seguito di corsi di formazione organizzati dallo stesso Ente e validati dall’Ispra”. Attualmente, la legge 394 permette il controllo faunistico da parte dei cacciatori e senza nessun intervento da parte di un organo scientifico. Da un diverso punto di vista, però, il controllo faunistico non fa distinzione tra specie protette e non, nell’art. 10 si legge infatti “per tutte le specie”.
Anche un “contributo” per lo sbarco dei passeggeri nelle isole minori ricomprese nelle aree protette è previsto nella modifica: il contributo è “destinato a finanziare interventi per la tutela ambientale, nonché per il controllo della sicurezza territoriale, per il potenziamento del servizi igienico-sanitari e per il miglioramento dell’accoglienza e della promozione turistiche”.
Desta attenzione, il ruolo di Federparchi, che secondo l’art. 6 del testo di modifica proposto, avrà “la titolarità della rappresentanza istituzionale in via generale degli enti di gestione delle aree protette”. In questo modo alla Federparchi, che attualmente ha associate 250 aree protette su un totale delle quasi 800 italiane, viene dato di fatto il monopolio come associazione di gestione di aree protette.
Nello stesso articolo, ai Parchi viene dato l’onere di “mantenimento e recupero delle caratteristiche ambientali dei luoghi interessati, ivi compresi il patrimonio edilizio esistente”. Si parla indifferentemente di qualsiasi patrimonio edilizio, ma anche per “le attività agro-silvo-pastorali sostenibili e l’agricoltura biologica quali elementi delle economie locali da qualificare e valorizzare nonché il turismo ecosostenibile come attività non solo stagionale”. Stessa tutela del Parco applicata anche alle aree contigue – Positivo, secondo gli esperti, l’inserimento della tutela rispetto alle aree contigue al Parco. In queste aree “possono essere previste dal regolamento del Parco misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell’ambiente, ove necessarie per assicurare la conservazione dei valori dell’area protetta”.
Fa discutere, invece, l’inserimento “della concessione di sovvenzioni a privati ed enti locali, la predisposizione di attrezzature, impianti di depurazione e per il risparmio energetico, servizi ed impianti di carattere turistico-naturalistico da gestire in proprio o da concedere in gestione a terzi sulla base di atti di concessione alla stregua di specifiche convenzione”: il timore è che in tal modo si apra un varco che potrebbe snaturare le aree protette nate per la tutela della biodiversità. Nell’art.9 viene poi permessa la costruzione di opere ad impatto ambientale attraverso il meccanismo di pagamento di royalties agli Enti parco.
Tra le opinioni sollevate dalla proposta di modifica, rileva per importanza quella di Legambiente, la quale sottolinea la fondamentale opera di “manutenzione” della legge con i dovuti accorgimenti: nel testo unificato proposto dalla Commissione Ambiente del Senato, Legambiente considera positive le modifiche alla legislazione sulla tutela delle aree marine protette e del mare, la promozione di azioni di sistema per la conservazione della biodiversità, la riduzione dei componenti dei consigli direttivi dei parchi, il reclutamento e la selezione della figura del direttore attraverso nuove procedure e il superamento dell’albo degli idonei, il mantenimento dell’intesa con le regioni per la nomina del presidente, l’estensione del potere di regolamentare le aree contigue da parte dei parchi e l’accelerazione dell’iter di approvazione dei piani dei parchi, il chiarimento sul divieto di caccia e il miglioramento delle procedure per intervenire contro le specie alloctone e invasive che arrecano danni alla biodiversità.
Ma l’associazione segnala anche che in molti articoli compaiono errori materiali e sono presenti proposte superate, in parte a causa delle previsioni della spending review, e che sussistono articoli e commi con formulazioni equivoche, che destano preoccupazioni e andrebbero corretti da subito.
“Nel testo proposto – afferma il presidente Cogliati Dezza – chiediamo che vengano cancellati i parchi geologici come nuova classificazione di aree protette, che la parte relativa alla tutela del mare venga aggiornata in alcune parti e che le aree protette marine regionali non siano trasformate automaticamente in aree nazionali senza un’adeguata istruttoria di merito, che il ministero dell’Ambiente, che non ha personale in servizio presso le segreterie tecniche che sono state abolite dalla spending review, possa avvalersi dell’Ispra per tutte le istruttorie tecniche che derivano dall’approvazione di questo testo di legge. Chiediamo, infine, che nel testo venga scritto in maniera chiara che i parchi non ricevono royalties, ma contributi per i servizi eco-sistemici forniti, e che tali contributi economici si riferiscono solo ad attività già esistenti nelle aree protette e in quelle contigue e non a nuove attività impattanti, come cave o impianti di qualsiasi natura, che nei parchi sono vietati”.