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Processo penale: chiusura delle indagini preliminari. – QUOTIDIANO LEGALE
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Processo penale: chiusura delle indagini preliminari.

CORTE COSTITUZIONALE, 10 maggio – 13 giugno 2023, SENTENZA N. 116

 

Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Processo penale – Chiusura delle indagini preliminari – Richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato – Possibilita’, per il giudice per le indagini preliminari, di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita’ del fatto, previa fissazione dell’udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell’indagato – Preclusione, in base all’interpretazione della Corte di cassazione – Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di proporzionalita’, di responsabilita’ per il fatto e di personalita’ della responsabilita’ penale, della finalita’ rieducativa della pena, di ragionevolezza, di ragionevole durata del processo, anche nell’accezione convenzionale, e di soggezione dei giudici soltanto alla legge – Non fondatezza delle questioni. – Codice di procedura penale, art. 409, commi 4 e 5, in combinato disposto con l’art. 411, commi 1 e 1-bis, del medesimo codice. – Costituzione, artt. 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, 76, 101, secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, art. 6; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47; Patto internazionale sui diritti civili e politici, art. 14, terzo comma, lettera c). (T-230116) (GU n. 24 del 14-06-2023)

  
 
  LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto,  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, 
Angelo  BUSCEMA,  Emanuela   NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D'ALBERTI,  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 409,  commi
4 e 5, del codice di procedura  penale,  in  combinato  disposto  con
l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen.,  promosso  dal  Giudice
per le indagini preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Nola  nel
procedimento penale a carico di A. F., con ordinanza  del  20  giugno
2022, iscritta al n. 103 del registro  ordinanze  2022  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39,  prima   serie
speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10  maggio  2023  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 maggio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 giugno 2022, il Giudice per le  indagini
preliminari del  Tribunale  ordinario  di  Nola  ha  sollevato  -  in
riferimento agli artt. 3, 13, 25, secondo comma, 27,  primo  e  terzo
comma, 76, 101 (recte: 101, secondo comma), 111, secondo comma, e 117
(recte:  117,  primo  comma,)  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo,
all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
e all'art. 14, (recte:  14,  terzo  comma,)  lettera  c),  del  Patto
internazionale  sui  diritti  civili  e  politici  -   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, del codice di
procedura penale, in combinato disposto con l'art.  411,  commi  1  e
1-bis, cod. proc. pen., «nella parte in cui non consentono al giudice
per  le  indagini  preliminari,  a  fronte  di   una   richiesta   di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di pronunciare
ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, previa
fissazione dell'udienza  camerale,  sentite  le  parti  e  stante  la
mancata opposizione dell'indagato». 
    1.1.- Il rimettente  e'  investito,  nella  propria  qualita'  di
giudice  per  le  indagini   preliminari,   di   una   richiesta   di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato  nei  confronti
di A. F., sottoposto a procedimento penale in seguito a querela della
persona offesa per essersi introdotto e trattenuto all'interno di una
strada privata di  pertinenza  di  quest'ultima,  nonostante  la  sua
contraria volonta'. 
    Non condividendo la  valutazione  del  pubblico  ministero  sulla
infondatezza della notizia di reato, il rimettente ha fissato udienza
camerale ai sensi dell'art. 409, comma  2,  cod.  proc.  pen.,  nella
quale, assente il pubblico ministero,  ha  prospettato  alla  persona
sottoposta alle indagini, al  suo  difensore  e  al  difensore  della
persona  offesa  la  possibilita'   di   pronunciare   ordinanza   di
archiviazione per particolare tenuita' del fatto.  A  tale  possibile
esito «entrambe le parti, rappresentate dai loro  difensori,  non  si
opponevano». 
    Ad avviso del giudice a quo, la condotta di A. F. integrerebbe in
effetti una violazione di domicilio ai sensi dell'art. 614 del codice
penale. Nel caso di specie sussisterebbero pero' i presupposti  della
particolare  tenuita'  dell'offesa  e  della  non   abitualita'   del
comportamento, atti a escludere la punibilita'  del  fatto  ai  sensi
dell'art. 131-bis cod. pen.,  poiche'  la  violazione  di  domicilio,
avvenuta senza violenza o minaccia alla persona, si sarebbe protratta
per un esiguo lasso  temporale  e  sarebbe  stata  realizzata  da  un
soggetto incensurato. 
    Il rimettente assume tuttavia  di  non  poter  fare  applicazione
della causa di  non  punibilita'  in  parola,  poiche'  il  combinato
disposto degli artt. 409, commi 4 e 5, e 411, commi 1 e  1-bis,  cod.
proc. pen., nell'interpretazione offertane  dalla  giurisprudenza  di
legittimita',  gli  impedirebbe  di  disporre   l'archiviazione   per
particolare tenuita'  del  fatto,  a  fronte  di  una  richiesta  del
pubblico ministero di archiviazione per infondatezza della notizia di
reato.  In  particolare,  secondo   la   Corte   di   cassazione   il
provvedimento di archiviazione per particolare  tenuita'  del  fatto,
pronunciato ai sensi dell'art. 411, comma 1, cod. proc. pen., sarebbe
nullo se emesso senza l'osservanza della speciale procedura  prevista
al comma 1-bis di detta norma (che presuppone una  richiesta  in  tal
senso del pubblico ministero e l'avviso all'indagato e  alla  persona
offesa), non essendo le disposizioni generali contenute  negli  artt.
408 e seguenti cod. proc. pen. idonee a garantire il  contraddittorio
dell'indagato e della persona  offesa  sulla  configurabilita'  della
causa di  non  punibilita'  (sono  richiamate  Corte  di  cassazione,
sezione sesta penale, sentenza 16 gennaio-13 febbraio 2018, n.  6959;
sezione quinta penale, sentenza 15 giugno-5 settembre 2017, n. 40293;
sezione quinta penale, sentenza 7 luglio-5 settembre 2016, n. 36857). 
    A  fronte  di   tale   orientamento   della   giurisprudenza   di
legittimita', sarebbe impraticabile una diversa interpretazione della
disciplina censurata. Ne'  si  potrebbe  ipotizzare  la  restituzione
degli atti al pubblico ministero, con invito a reiterare la richiesta
di archiviazione, questa volta ai sensi dell'art. 411,  comma  1-bis,
cod. proc. pen., trattandosi di soluzione «non espressamente prevista
dal   legislatore,   ne'   sollecitata   dalla   giurisprudenza    di
legittimita'», e comunque problematica. 
    Sarebbe   dunque    necessario    promuovere    l'incidente    di
costituzionalita'  onde   poter   procedere   all'archiviazione   del
procedimento per particolare tenuita' del fatto: donde  la  rilevanza
delle questioni sollevate. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
rimettente osserva anzitutto che la previsione  della  causa  di  non
punibilita'  di  cui  all'art.  131-bis   cod.   pen.   costituirebbe
«l'attuazione   dei   principi,   di   rango    costituzionale,    di
sussidiarieta'  (o  extrema  ratio)   del   diritto   penale   e   di
proporzionalita'» e realizzerebbe esigenze di deflazione  processuale
(e' citata la relazione illustrativa al decreto legislativo 16  marzo
2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilita'  per
particolare tenuita' del fatto, a norma  dell'articolo  1,  comma  1,
lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», che ha introdotto nel
codice penale l'art. 131-bis). 
    L'impossibilita' di pronunciare ordinanza  di  archiviazione  per
particolare tenuita'  del  fatto,  a  fronte  di  una  richiesta  del
pubblico ministero di archiviazione per infondatezza della notizia di
reato, sarebbe allora «in contrasto con le  finalita'  sostanziali  e
processuali poste a fondamento dell'istituto» di cui all'art. 131-bis
cod. pen., e risulterebbe «contraria ai  principi  di  uguaglianza  e
proporzionalita' (art. 3 Cost.), di responsabilita' per  il  fatto  e
personalita' della responsabilita' penale (articoli 25, comma 2 e 27,
comma 1, Cost.), della finalita' rieducativa  della  pena  (art.  27,
comma 3 Cost.), nonche' di ragionevolezza (art. 3  Cost.),  anche  in
riferimento ai principi e criteri direttivi della legge delega  (art.
76 Cost.), di ragionevole durata del processo (art. 101 [recte:  111]
Cost. e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 Cost.) e  di  soggezione
dei giudici esclusivamente alla legge (art. 101 Cost.)». 
    1.2.1.- La disciplina censurata lederebbe anzitutto gli artt.  3,
27, primo e terzo comma, e 76 Cost., giacche' precluderebbe al GIP di
operare,  in  sede   di   udienza   camerale   sulla   richiesta   di
archiviazione,   «un   vaglio   individualizzante   del   singolo   e
irripetibile   fatto   storico   portato   alla   sua    attenzione»,
costringendolo ad «imbastire un processo finalizzato all'applicazione
di una pena virtualmente sproporzionata nell'an ancor prima  che  nel
quantum, poiche' da applicare ad un fatto che,  in  base  ai  criteri
generali  fissati  dal  medesimo  legislatore,  non  ne   e'   invece
"bisognoso"»; con conseguente violazione «non soltanto del  principio
di uguaglianza, sub specie di ragionevolezza e proporzione, ma  anche
dei principi di personalita' della  responsabilita'  penale  e  della
finalita' rieducativa della pena» (sono richiamate le sentenze n. 102
del 2020, n. 40 del 2019, n. 222 del 2018, n. 236 del 2016, n. 68 del
2012 e n. 313 del 1990 di questa Corte). 
    La lesione dei richiamati principi costituzionali si  produrrebbe
gia' in sede di udienza camerale ex art.  409  cod.  proc.  pen.,  in
quanto il GIP, pur non essendo chiamato a irrogare alcuna  pena,  non
potrebbe «"disapplicare" un virtuale  trattamento  sanzionatorio  nei
confronti  dell'indagato,  che   nel   caso   concreto   risulterebbe
sproporzionato»  e  dovrebbe  invece  imporre  la  celebrazione   nei
confronti dell'imputato di  «un  "immeritato  processo"  mediante  il
ricorso all'imputazione coatta». 
    La «potenziale applicazione di una pena, anche  minima  (mediante
un processo, anche breve) all'autore di un  illecito  considerato  di
particolare  tenuita'»  costituirebbe  «una  reazione  sproporzionata
dell'ordinamento, che sacrifica e  banalizza  la  liberta'  personale
dell'individuo, dichiarata "inviolabile" dall'art. 13 Cost., a fronte
di fatti che non dimostrano alcun  reale  bisogno  di  pena:  la  sua
inflizione (peraltro appannaggio di un giudice  "diverso"  da  quello
chiamato  a  valutare  la  richiesta   di   archiviazione   del   PM)
realizzerebbe, pertanto, un ingiustificato, inutile  e  intollerabile
sacrificio della liberta' personale» (e' citata la  sentenza  n.  364
del 1988 di questa Corte). 
    Tali precetti  costituzionali  costituirebbero  «il  plafond  dei
principi e criteri direttivi» della  legge  28  aprile  2014,  n.  67
(Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e  di
riforma  del  sistema  sanzionatorio.  Disposizioni  in  materia   di
sospensione del procedimento con messa alla  prova  e  nei  confronti
degli irreperibili), con conseguente violazione, altresi',  dell'art.
76 Cost. 
    1.2.2.- La disciplina censurata, come  interpretata  dal  diritto
vivente, presenterebbe poi profili  di  irragionevolezza  intrinseca,
con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. 
    L'impossibilita' per il GIP di  procedere  all'archiviazione  per
particolare tenuita' del fatto,  allorche'  ne'  l'imputato,  ne'  la
persona offesa abbiano esposto ragioni di dissenso a tale  esito  nel
corso dell'udienza camerale, costituirebbe il  frutto  di  un'esegesi
non  solo  «fondamentalmente  formalista»,  ma  anche  manifestamente
irrazionale  e  discriminatoria,  introducendo  un  «automatismo  che
costringe il giudice per  le  indagini  preliminari  a  procedere  ad
un'imputazione coatta, del tutto dissonante  rispetto  alle  esigenze
processuali  poste  a  base   dell'istituto»;   e   cio'   anche   in
considerazione della circostanza che, nella procedura di cui all'art.
411, comma 1-bis, cod. proc.  pen.,  le  parti,  pur  dovendo  essere
informate della richiesta del pubblico ministero e potendo presentare
opposizione, non possono opporre alcun veto al potere del giudice  di
provvedere ex art. 131-bis cod. pen. 
    1.2.3.- Il plesso normativo sottoposto al vaglio di questa  Corte
produrrebbe altresi' irragionevoli disparita' di trattamento rispetto
alle ipotesi in cui, nelle successive fasi processuali, la  pronuncia
ex art. 131-bis cod. pen. puo' essere adottata previa audizione delle
parti in camera di consiglio (in  sede  predibattimentale,  ai  sensi
dell'art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen.) e addirittura  d'ufficio
(sono citate, con riferimento al giudizio di legittimita',  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 9 maggio-5 giugno 2017, n.
27752; sezione sesta penale, sentenza 16  dicembre  2016-17  febbraio
2017, n. 7606; sezione  quinta  penale,  sentenza  2  luglio  2015-11
febbraio 2016, n. 5800), senza necessita' di  richiesta  conforme  da
parte del pubblico ministero. 
    Ancora,   la   preclusione   a   disporre   l'archiviazione   del
procedimento ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. imporrebbe  al  GIP
di trattare  in  modo  uguale  situazioni  disomogenee,  segnatamente
disponendo la celebrazione del processo sia per fatti di  particolare
tenuita',  sia  per  fatti  «connotati  da  un  disvalore   oggettivo
effettivamente  superiore  alla  soglia  della  particolare  tenuita'
dell'offesa e, come tali, meritevoli di accertamento processuale e di
eventuale sanzione». 
    Fatti analoghi, caratterizzati da «paragonabili  bassi  gradi  di
offesa e di colpevolezza» sarebbero invece  trattati  diversamente  a
seconda dell'iter seguito  dal  pubblico  ministero,  potendo  essere
dichiarati non punibili, ai sensi dell'art. 131-bis  cod.  pen.  solo
ove questi abbia proceduto nelle forme di  cui  all'art.  411,  comma
1-bis, cod. proc. pen., e non anche  ove  la  pubblica  accusa  abbia
formulato una  richiesta  di  archiviazione  per  infondatezza  della
notizia di reato. 
    Tanto l'«irragionevole trattamento  differenziato  di  situazioni
omogenee» quanto l'«irragionevole trattamento omogeneo di  situazioni
differenti» darebbero dunque luogo  ad  un  ulteriore  contrasto  con
l'art. 3 Cost. 
    1.2.4.- Il combinato disposto censurato produrrebbe, ancora,  una
«evidente distorsione nell'assetto ordinamentale dei rapporti tra  PM
e giudicante», con  conseguente  violazione  dell'art.  101,  secondo
comma, Cost. 
    Pur spettando al giudice l'apprezzamento della sussistenza  delle
condizioni indicate dall'art. 131-bis  cod.  pen.,  per  effetto  del
diritto vivente  tale  prerogativa  sarebbe  indebitamente  «filtrata
dalla preventiva scelta del PM che, adottando un iter  procedimentale
anziche' un altro nella procedura di archiviazione, puo' impedire  al
giudice per le  indagini  preliminari  una  completa  disamina  della
notitia criminis e delle conseguenze  giuridiche»  che  ne  derivano.
Cio' in contraddizione con la stessa giurisprudenza di  legittimita',
che, nel delineare i rapporti istituzionali e funzionali tra  ufficio
di procura e ufficio del GIP, avrebbe  «definitivamente  escluso  una
logica  di  formalistica  corrispondenza  tra   il   chiesto   e   il
pronunciato» (e' citata Corte di cassazione,  sezioni  unite  penali,
sentenza 31 maggio-17 giugno 2005, n. 22909). 
    1.2.5.- La disciplina censurata si porrebbe, infine, in contrasto
con il canone di ragionevole  durata  del  processo,  tutelato  tanto
dall'art.  111,  secondo  comma,  Cost.,  quanto  dall'art.  6  CEDU,
dall'art. 47 CDFUE e dall'art. 14, terzo comma, lettera c), PIDCP. 
    La ragionevole  durata  del  processo  costituirebbe  un  vero  e
proprio diritto di tutte le parti (sono richiamate le sentenze n.  88
del 2018 e n. 78 del 2002 di  questa  Corte),  che  spetta  non  solo
all'imputato, ma anche all'indagato (sono citate la sentenza  n.  184
del  2015  nonche'  le  sentenze  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo 15 luglio 1982, Eckle contro  Germania,  paragrafo  73;  10
dicembre 1982, Corigliano contro  Italia,  paragrafo  34;  5  ottobre
2017, Kaleja contro Lettonia, paragrafo 36; 20 giugno 2019, Chiarello
contro  Germania,  paragrafo  44);   diritto   cui   corrisponderebbe
l'obbligo del legislatore  di  «porre  le  condizioni  ordinamentali,
organizzative  e  processuali  piu'  idonee  al  conseguimento  degli
obiettivi  connessi  ad  un  congruo  accertamento  processuale»  (e'
richiamata la sentenza della grande camera 29  marzo  2006,  Scordino
contro Italia, paragrafi da 183 a 187). 
    Nel caso di specie, il GIP non potrebbe disporre  l'archiviazione
per particolare tenuita' del fatto, benche'  l'indagato  non  si  sia
opposto a tale decisione e la persona offesa  sia  stata  sentita,  e
dovrebbe ordinare  l'imputazione  coatta  «imponendo,  di  fatto,  il
processo». 
    In contrasto con le  esigenze  di  deflazione  e  di  ragionevole
durata del processo, l'imputato potrebbe dunque essere prosciolto  ai
sensi  dell'art.  131-bis  cod.  pen.  solo  nelle  successive   fasi
processuali, nelle quali egli potrebbe addirittura  vedersi  irrogare
la sanzione penale, «nonostante un vaglio  giurisdizionale  di  segno
contrario» operato dal GIP in sede di decisione  sulla  richiesta  di
archiviazione. 
    A tale situazione il  rimettente  non  potrebbe,  d'altra  parte,
porre  rimedio  restituendo  gli  atti  al   pubblico   ministero   e
«invitandolo» a reiterare la richiesta di archiviazione  nelle  forme
di cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. 
    Un simile iter procedimentale, non previsto dal codice  di  rito,
non  risolverebbe  i  dubbi  di  costituzionalita'  della  disciplina
censurata,  in  quanto  «si  sostanzierebbe  in   una   irragionevole
protrazione del procedimento a carico dell'indagato»,  in  violazione
dell'art. 111, secondo comma, Cost.; e non  escluderebbe  il  rischio
che, a seguito della restituzione degli atti, il  pubblico  ministero
si determini in senso diverso da quanto suggerito dal GIP, reiterando
la richiesta di  archiviazione  per  infondatezza  della  notizia  di
reato. Ne' tale soluzione potrebbe dirsi  funzionale  a  tutelare  il
diritto al contraddittorio  della  persona  offesa,  posto  che  tale
diritto - salvaguardato con l'audizione nell'udienza camerale  -  non
includerebbe  comunque  un  potere  di  veto  sull'archiviazione  per
particolare tenuita' del fatto. 
    1.3.- Ad avviso del giudice a quo, l'auspicato accoglimento delle
questioni sollevate, oltre a  porre  rimedio  ai  denunciati  vulnera
costituzionali,  «costituirebbe,  in  una  prospettiva   di   analisi
economica del diritto, una proattiva innovazione giuridica  che,  ben
lungi   dall'infirmare   l'assetto   procedimentale   delineato   dal
legislatore per l'istituto della particolare tenuita' del  fatto,  vi
si  innesterebbe  armonicamente,  potenziandone  l'applicazione».   E
invero, al meccanismo di archiviazione per particolare  tenuita'  del
fatto previsto  dall'art.  411,  comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.  si
affiancherebbe «in via ulteriore e aggiuntiva» la possibilita' per il
GIP,  a  fronte  di  una  richiesta   del   pubblico   ministero   di
archiviazione per infondatezza della notizia di  reato,  di  disporre
l'archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., ove  questi  la
ritenga «maggiormente confacente alla  qualificazione  giuridica  del
fatto e della notitia criminis portati alla sua attenzione». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la censura del rimettente fondata  sull'art.  76
Cost. sia dichiarata inammissibile - per carenza di motivazione circa
il contrasto della disciplina censurata con il parametro - e  che  le
restanti censure siano dichiarate non fondate. 
    2.1.- Ad avviso dell'interveniente,  l'ipotesi  di  archiviazione
disciplinata dall'art. 411, comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.  sarebbe
connotata, a differenza delle altre  previste  dal  codice  di  rito,
dalla sussistenza di tutti i presupposti per l'esercizio  dell'azione
penale, il che giustificherebbe l'iscrizione della relativa pronuncia
nel    casellario    giudiziale.    La    «radicale    eterogeneita'»
dell'archiviazione per particolare tenuita' del fatto  rispetto  alle
altre   ipotesi   di   archiviazione   determinerebbe   la    «palese
infondatezza» della censura  di  violazione  dell'art.  3  Cost.  per
irragionevolezza della disciplina censurata. 
    2.2.- La scelta  legislativa  di  subordinare  l'adozione  di  un
provvedimento di archiviazione per  particolare  tenuita'  del  fatto
all'iniziativa  del  pubblico  ministero   sarebbe   «imposta   dalla
necessita' di conformare la disciplina processuale al principio [...]
di cui all'art. 112 della Costituzione, che attribuisce il  monopolio
dell'azione penale  al  pubblico  ministero»;  il  che  dimostrerebbe
l'«assoluta inconsistenza» della censura di violazione dell'art. 101,
secondo comma, Cost. 
    Ne'  rileverebbe  che,  in  fase  di  giudizio,   sia   possibile
pronunciare sentenza  di  proscioglimento  indipendentemente  da  una
richiesta in tale senso  del  pubblico  ministero,  essendo  la  fase
introdotta dalla richiesta di archiviazione precedente e  preordinata
ad  accertare   la   sussistenza   dei   presupposti   dell'esercizio
dell'azione penale. 
    2.3.- Del pari inconsistenti sarebbero le censure  di  violazione
degli artt. 13 e 27 Cost., atteso che  la  disciplina  censurata  non
determinerebbe necessariamente l'applicazione della pena a  un  fatto
di particolare tenuita'. E invero,  al  rigetto  della  richiesta  di
archiviazione  per  infondatezza  della  notizia  di  reato  potrebbe
seguire una richiesta del pubblico  ministero  di  archiviazione  per
particolare tenuita' del  fatto,  correttamente  formulata  ai  sensi
dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., ovvero, nell'ipotesi  di
successivo esercizio dell'azione penale, il proscioglimento  in  sede
di giudizio ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. 
    2.4.- Sarebbe infine insussistente  il  dedotto  vulnus  all'art.
111, secondo comma, Cost. 
    Da un lato, l'osservanza del canone  di  ragionevole  durata  non
potrebbe «di per se'» giustificare la compressione di altri  principi
costituzionali, tra cui, in specie, quello del monopolio  dell'azione
penale in capo al pubblico ministero, sancito dall'art. 112 Cost. 
    Dall'altro lato, anche la possibilita', auspicata dal rimettente,
di pronunciare ordinanza di archiviazione  per  particolare  tenuita'
del fatto a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza
della notizia di reato comporterebbe un allungamento  dei  tempi  del
procedimento,  attesa  la  necessita'   di   garantire   alle   parti
processuali il contraddittorio in  ordine  a  tale  esito,  in  forme
analoghe a quelle previste dall'art. 411,  comma  1-bis,  cod.  proc.
pen., e  dunque  attraverso  «una  serie  di  adempimenti  aggiuntivi
(quali, ad esempio, l'avviso alla  persona  offesa  ed  alla  persona
sottoposta alle indagini che il giudice prospettera' alle parti,  nel
corso di un'udienza camerale,  la  questione  della  sussistenza  dei
presupposti per poter addivenire a siffatta archiviazione, precisando
che nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli  atti
e presentare opposizione a tale archiviazione)». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il GIP del Tribunale di
Nola ha sollevato - in riferimento agli  artt.  3,  13,  25,  secondo
comma, 27, primo e terzo comma, 76, 101 secondo comma,  111,  secondo
comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione  all'art.
6 CEDU, all'art. 47 CDFUE e all'art. 14,  terzo  comma,  lettera  c),
PIDCP - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi
4 e 5, cod. proc. pen., in combinato disposto con l'art. 411, commi 1
e 1-bis, cod. proc. pen., «nella  parte  in  cui  non  consentono  al
giudice per le indagini preliminari, a fronte  di  una  richiesta  di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di pronunciare
ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, previa
fissazione dell'udienza  camerale,  sentite  le  parti  e  stante  la
mancata opposizione dell'indagato». 
    Conviene sin d'ora precisare che  le  questioni  cosi'  formulate
hanno ad oggetto, in realta', il diritto vivente  che  il  rimettente
desume da una serie di pronunce  della  Corte  di  cassazione,  nelle
quali e' stata rilevata la nullita' del provvedimento  del  GIP  che,
investito di una richiesta di archiviazione  per  infondatezza  della
notizia di reato ex art. 408 cod. proc. pen.,  disponga  -  in  esito
all'udienza  di  cui  all'art.  409,  comma  2,  cod.  proc.  pen.  -
l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto ai sensi dell'art.
131-bis cod. pen.  Proprio  tale  diritto  vivente  si  porrebbe,  in
effetti,  in  contrasto  con  i  molti  parametri  costituzionali   e
interposti appena menzionati. 
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' della  sola  questione  sollevata  in  riferimento
all'art. 76 Cost. per carenza di motivazione. 
    L'eccezione e' fondata, in assenza  di  qualsiasi  confronto,  da
parte del rimettente, con i criteri dettati dalla  legge  n.  67  del
2014, in attuazione della quale e' stata introdotta, con il d.lgs. n.
28 del 2015,  la  disciplina  sostanziale  e  processuale  della  non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto. 
    La  relativa  questione   deve,   pertanto,   essere   dichiarata
inammissibile. 
    3.  -  Inammissibili  sono,  inoltre,  le  censure  formulate  in
riferimento agli artt. 13 e  25,  secondo  comma,  Cost.,  stante  la
mancanza di un'adeguata e autonoma motivazione delle ragioni per  cui
il combinato disposto censurato violerebbe i parametri indicati. 
    4.- Inammissibili per inconferenza del parametro sono, infine, le
censure formulate in riferimento all'art. 101, secondo  comma,  Cost.
(punto 1.2.4. del Ritenuto in fatto). 
    Ad avviso del rimettente, il combinato disposto  censurato,  come
interpretato dalla  giurisprudenza  di  legittimita',  violerebbe  il
principio  della  soggezione  del  giudice   soltanto   alla   legge,
precludendogli di apprezzare liberamente la sussistenza dei requisiti
della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis  cod.  pen.  e
vincolandolo, invece, alla previa valutazione del pubblico  ministero
che si sia determinato a chiedere  l'archiviazione  per  infondatezza
della notizia di reato. 
    Come recentemente ribadito da questa Corte (ordinanza n.  28  del
2023), tuttavia, il principio di soggezione del giudice soltanto alla
legge  e'   posto,   «tra   l'altro,   a   presidio   del   principio
dell'indipendenza (cosiddetta "esterna") del giudice  da  ogni  altro
potere dello Stato, cosi' come  della  sua  indipendenza  (cosiddetta
"interna") da  tutti  gli  altri  giudici,  dai  quali  si  distingue
soltanto per diversita' di funzioni ma rispetto ai quali non si trova
in vincolo di soggezione gerarchica». Mai pero' si e'  ritenuto  «che
il principio dell'indipendenza "interna" del giudice osti  a  che  la
sua potestas iudicandi sia  delimitata,  in  conformita'  alla  legge
processuale vigente, da provvedimenti di  altri  giudici,  ovvero  da
atti di altri soggetti», essendo anzi «del  tutto  fisiologico  [...]
che  il  thema  decidendum  in  ogni  processo  sia   determinato   e
circoscritto da atti di soggetti diversi dal giudice (come le domande
e le eccezioni delle parti nel processo civile, i motivi  di  ricorso
nel processo amministrativo,  l'imputazione  formulata  dal  pubblico
ministero ed eventualmente modificata dal decreto del GUP che dispone
il giudizio nel processo penale), e  che  unicamente  su  tale  thema
decidendum il giudice sia chiamato ad esprimersi». Piu' in  generale,
ha concluso la Corte, «si deve escludere che possa prodursi un vulnus
all'art. 101, secondo  comma,  Cost.  in  presenza  di  vincoli  alla
potestas  iudicandi  del  singolo  giudice  stabiliti   dalla   legge
processuale, che e' anch'essa parte integrante di  quella  "legge"  a
cui il giudice e' soggetto in forza della  previsione  costituzionale
in parola». 
    Le medesime considerazioni valgono a escludere  gia'  in  limine,
nel caso ora all'esame, che il rimettente  possa  dolersi,  al  metro
dell'art. 101, secondo comma, Cost., del vincolo che deriverebbe alla
propria  potestas  decidendi  dalle   determinazioni   del   pubblico
ministero circa l'esercizio dell'azione penale, riservate allo stesso
pubblico ministero dal  sistema  processuale  vigente  (infra,  punto
6.2.2.). 
    5.- Prima di esaminare il  merito  delle  rimanenti  censure,  e'
necessario  succintamente   ricostruire   il   quadro   normativo   e
giurisprudenziale che ne costituisce lo sfondo. 
    5.1.- Nel testo vigente ratione temporis alla data dell'ordinanza
di rimessione, l'art. 408 cod. proc. pen. prevedeva in  via  generale
che  il  pubblico  ministero  richiedesse  l'archiviazione   al   GIP
allorche' ritenesse infondata la notizia di reato.  In  seguito  alle
modifiche apportate dal decreto legislativo 10 ottobre 2022,  n.  150
(Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega  al
Governo per l'efficienza del processo penale, nonche´ in  materia  di
giustizia riparativa e disposizioni per  la  celere  definizione  dei
procedimenti giudiziari), il pubblico  ministero  e'  oggi  tenuto  a
chiedere l'archiviazione «[q]uando gli elementi acquisiti  nel  corso
delle  indagini  preliminari  non   consentono   di   formulare   una
ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di
sicurezza diversa dalla confisca». 
    A fronte di tale richiesta del pubblico ministero, il  GIP  puo',
ai sensi dell'art. 409, comma 1, cod. proc. pen., disporre de  plano,
con decreto motivato, l'archiviazione. Qualora invece ritenga di  non
accogliere la richiesta, ovvero quando sia presentata opposizione  da
parte della persona offesa (art. 410  cod.  proc.  pen.),  egli  deve
invece fissare, ai sensi dell'art. 409, comma  2,  cod.  proc.  pen.,
udienza in camera di consiglio, facendone  dare  avviso  al  pubblico
ministero, alla persona  sottoposta  alle  indagini  e  alla  persona
offesa. 
    In esito a tale  udienza,  il  GIP  potra'  alternativamente:  a)
accogliere la richiesta di archiviazione; b) disporre che il pubblico
ministero compia nuove indagini; o ancora c) disporre che il pubblico
ministero formuli l'imputazione (art. 409, commi 4 e  5,  cod.  proc.
pen.). 
    5.2.- Una speciale disciplina e' stata introdotta dal  d.lgs.  n.
28 del 2015 in materia di archiviazione per particolare tenuita'  del
fatto. 
    Ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., il pubblico
ministero che ritenga il fatto di reato  sussistente,  ma  meritevole
della causa di non punibilita' in parola, presenta al  GIP  richiesta
di archiviazione dandone avviso alla persona sottoposta alle indagini
e alla persona offesa, avvertendole della possibilita' di  presentare
opposizione avverso tale richiesta. La  possibilita'  di  opposizione
della  persona  sottoposta  alle  indagini,  non  prevista  allorche'
l'archiviazione sia richiesta per insussistenza del fatto, si  spiega
qui, evidentemente, in  ragione  degli  effetti  pregiudizievoli  per
l'interessato prodotti da una tale archiviazione, destinata a  essere
iscritta nel casellario  giudiziale  (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite penali, sentenza 30  maggio-24  settembre  2019,  n.  38954)  e
preclusiva di una nuova concessione della causa di non punibilita'. 
    In  assenza  di  opposizione,  o  nel  caso  in  cui   essa   sia
inammissibile, il giudice potra',  alternativamente,  accogliere  con
decreto   motivato   la   richiesta,   e   per   l'effetto   disporre
l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, ovvero restituire
gli atti al pubblico ministero, eventualmente  provvedendo  ai  sensi
dei gia' esaminati commi 4 e 5 dell'art. 409 cod. proc. pen. 
    Nel  caso  invece  in  cui  sia  proposta  opposizione,  il   GIP
procedera' nelle stesse forme indicate nell'art. 409 cod. proc. pen.,
decidendo con ordinanza - e  dunque  disponendo  l'archiviazione  del
procedimento per particolare tenuita' del fatto,  oppure  restituendo
gli atti al pubblico ministero perche' proceda, se del caso, a  nuove
indagini ovvero a formulare l'imputazione. 
    5.3.- La legge non  disciplina  espressamente  l'ipotesi  in  cui
pubblico ministero e GIP convergano sull'esito di archiviazione della
notizia  di  reato,  ma  ritengano  l'uno  che  essa  debba  fondarsi
sull'infondatezza   tout   court   della   notizia   (ovvero,   oggi,
sull'impossibilita'  di  formulare  una  ragionevole  previsione   di
condanna), e l'altro che un reato sia stato bensi' commesso,  ma  sia
di particolare tenuita' e per tale ragione risulti  non  punibile  in
forza dell'art. 131-bis cod. pen. 
    La Corte di  cassazione  ha  escluso,  in  proposito,  che  debba
ritenersi abnorme il provvedimento con cui il GIP, investito  di  una
richiesta di archiviazione per  particolare  tenuita'  del  fatto  ai
sensi dell'art. 411, comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.,  abbia  invece
disposto l'archiviazione per infondatezza della notitia  criminis,  e
in particolare per non essere il  fatto  previsto  dalla  legge  come
reato (Corte di  cassazione,  sezione  seconda  penale,  sentenza  13
settembre-7 ottobre 2019, n. 41104). 
    Nel caso opposto in cui il  pubblico  ministero  abbia  richiesto
l'archiviazione  per  infondatezza  della  notizia   di   reato,   la
giurisprudenza di  legittimita'  -  come  esattamente  osservato  dal
rimettente - appare invece compatta nel non  riconoscere  al  GIP  la
possibilita' di accogliere la  richiesta  sotto  il  diverso  profilo
della particolare tenuita' del  fatto  di  reato,  comunque  ritenuto
sussistente; dovendo anzi un tale provvedimento ritenersi nullo. 
    Gia' in  una  pronuncia  del  2016  la  Corte  di  cassazione  e'
pervenuta a tale soluzione, in accoglimento di un ricorso promosso da
una  persona  indagata  contro  un'ordinanza  di  archiviazione   per
particolare tenuita' dell'offesa pronunciata in esito all'udienza  ex
art. 409, comma 2, cod. proc. pen. Il giudice di legittimita' ha,  in
particolare, ritenuto che l'archiviazione  per  particolare  tenuita'
del fatto deve essere necessariamente preceduta, ai  sensi  dell'art.
411, comma 1-bis, cod. proc. pen.,  da  una  conforme  richiesta  del
pubblico ministero, la quale deve essere portata a  conoscenza  della
persona sottoposta alle indagini e della persona offesa (quest'ultima
anche laddove  non  ne  abbia  fatto  esplicita  richiesta  ai  sensi
dell'art. 408, comma 2, cod. proc. pen.), in modo che,  all'eventuale
udienza in camera di consiglio, il contraddittorio fra le parti possa
svolgersi proprio su tale questione (sentenza n. 36857 del 2016). 
    Tale principio di diritto e' stato poi confermato in varie  altre
pronunce della Cassazione, originate da ricorsi  promossi  ora  dalla
persona sottoposta a indagini (sentenze n. 6959 del 2018 e  n.  40293
del 2017), ora dalla persona offesa (sezione sesta  penale,  sentenza
14 febbraio-7 marzo 2018, n. 10455), con la precisazione che l'invito
del giudice alle parti a prendere in esame anche la  possibilita'  di
un'archiviazione  per  particolare  tenuita'   del   fatto,   rivolto
oralmente  nel  corso  dell'udienza  camerale  disposta   a   seguito
dell'opposizione alla richiesta  di  archiviazione  per  infondatezza
della notizia di  reato,  non  puo'  considerarsi  equipollente  alla
richiesta del pubblico ministero ex art. 411, comma 1-bis, cod. proc.
pen. (sentenza n. 6959 del 2018). In ciascuna di tali pronunce si  e'
inoltre ribadita la cogenza dello  schema  procedimentale  ordinario,
che il GIP e' tenuto a seguire nel  caso  in  cui  non  condivida  la
valutazione del pubblico ministero di infondatezza della  notizia  di
reato: il GIP dovra' restituire gli atti  al  pubblico  ministero  ai
sensi dei commi 4 e 5 dell'art. 409 cod. proc. pen., affinche' compia
nuove indagini, formuli l'imputazione, ovvero valuti la  possibilita'
di richiedere egli stesso l'archiviazione  per  particolare  tenuita'
del fatto con le modalita' previste dall'art. 411, comma 1-bis,  cod.
proc. pen.,  informando  cosi'  le  parti  di  tale  possibile  esito
processuale  e  consentendo  loro  di  esercitare  la  pienezza   del
contraddittorio su questo specifico profilo. 
    6.- Con due distinti gruppi di censure (punti 1.2.2. e 1.2.5. del
Ritenuto in fatto), che conviene esaminare congiuntamente per  primi,
il rimettente dubita della compatibilita' di tale diritto vivente con
i principi di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e di ragionevole
durata del processo,  quest'ultimo  sancito  dall'art.  111,  secondo
comma, Cost. e dai corrispondenti parametri sovranazionali, rilevanti
nell'ordinamento nazionale in forza dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    In sostanza, il giudice a quo si duole  dell'irragionevolezza  di
una  interpretazione  della  disciplina   vigente   che   impone   la
restituzione  degli  atti  al  pubblico  ministero,  e   dunque   una
regressione del procedimento, pur a fronte della mancata  opposizione
delle parti a un esito processuale - l'archiviazione per  particolare
tenuita' del fatto - prospettato loro dal GIP nel corso  dell'udienza
di cui all'art. 409,  comma  2,  cod.  proc.  pen.  Tale  regressione
determinerebbe, d'altra parte, l'inutile dilazione di un procedimento
che potrebbe essere direttamente definito dal  GIP,  con  conseguente
pregiudizio all'interesse -  costituzionalmente  e  convenzionalmente
tutelato - della ragionevole durata del processo. 
    Le censure non sono fondate. 
    6.1.- Rammenta,  invero,  giustamente  il  rimettente  che,  gia'
all'indomani della riforma  dell'art.  111  Cost.,  questa  Corte  ha
affermato che la ragionevole durata del processo «e'  oggetto,  oltre
che di un interesse collettivo, di un  diritto  di  tutte  le  parti,
costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo  e
imparziale» (sentenza n. 78 del 2002,  punto  3  del  Considerato  in
diritto). 
    Piu'  recentemente,  questa  stessa  Corte  ha  avuto   modo   di
riconoscere - con riferimento, in  quell'occasione,  al  giudizio  di
sorveglianza - che corrisponde a un «preciso  dovere  costituzionale»
per il legislatore conformare la disciplina vigente all'obiettivo  di
assicurare una sollecita definizione dei processi,  dal  momento  che
«[l]a ragionevole durata e' un connotato identitario della  giustizia
del processo» (sentenza n. 74 del 2022, punto 5.1. del Considerato in
diritto). 
    Un tale dovere non puo' non vincolare in linea di principio anche
la giurisprudenza, nella propria attivita' di  interpretazione  delle
disposizioni legislative  in  materia  processuale,  si'  da  evitare
letture il  cui  effetto  sia  unicamente  quello  di  rallentare  la
definizione dei procedimenti, senza alcuna apprezzabile  utilita'  in
termini di tutela effettiva  degli  interessi  delle  parti  o  della
collettivita'. 
    Tuttavia, questa Corte ha anche osservato  come  «la  nozione  di
"ragionevole" durata del processo (in particolare penale) sia  sempre
il  frutto  di  un  bilanciamento  particolarmente  delicato  tra   i
molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici  e  privati
coinvolti dal  processo  medesimo»:  cio'  che  «impone  una  cautela
speciale nell'esercizio del controllo, in base all'art. 111,  secondo
comma,  Cost.,  della  legittimita'   costituzionale   delle   scelte
processuali compiute dal legislatore, al quale compete individuare le
soluzioni piu' idonee a coniugare l'obiettivo di un processo in grado
di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento  del  fatto  e
dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilita',  nel  pieno
rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza  pur  essenziale
di raggiungere tale obiettivo in un lasso  di  tempo  non  eccessivo.
Sicche' una violazione del principio  della  ragionevole  durata  del
processo di cui all'art. 111,  secondo  comma,  Cost.  potra'  essere
ravvisata soltanto  allorche'  l'effetto  di  dilatazione  dei  tempi
processuali determinato da una specifica disciplina non sia  sorretto
da alcuna logica esigenza, e si  riveli  invece  privo  di  qualsiasi
legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 12 del 2016,
n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009)» (sentenza n. 260 del  2020,
punto 10.2. del Considerato in diritto). 
    Ancora  piu'  di  recente  questa  Corte  ha  precisato  che   la
ragionevole durata e' declinata dalla Costituzione e dalla CEDU «come
canone oggettivo di efficienza dell'amministrazione della giustizia e
come diritto delle parti, comunque correlati ad un  processo  che  si
svolge in contraddittorio davanti ad un giudice imparziale» (sentenza
n. 111 del 2022, punto 7.1. del Considerato in diritto). 
    6.2.- E' dunque alla luce di  questi  principi  -  enunciati  con
riferimento all'art. 111,  secondo  comma,  Cost.,  ma  evidentemente
applicabili anche laddove si lamenti, al  metro  dell'art.  3  Cost.,
l'irragionevolezza di una disciplina  proprio  in  relazione  al  suo
effetto di dilatazione dei tempi di definizione del  processo  -  che
deve essere vagliato il diritto vivente  oggetto  delle  censure  del
rimettente. Diritto  vivente  del  quale  -  e'  appena  il  caso  di
precisarlo - questa Corte non puo' che  prendere  atto,  non  potendo
sostituirsi alla giurisprudenza di legittimita'  nell'interpretazione
delle disposizioni  legislative,  ed  essendo  piuttosto  il  proprio
compito  confinato  alla   verifica   se   il   risultato   di   tale
interpretazione  sia  compatibile  con  i  parametri   costituzionali
evocati dal giudice a quo. 
    6.2.1.- Perno dell'argomentazione del  rimettente  e'  l'asserita
inutilita' della  restituzione  degli  atti  al  pubblico  ministero,
allorche' la possibile archiviazione  per  particolare  tenuita'  del
fatto sia stata prospettata alle parti all'udienza  di  cui  all'art.
409, comma 2, cod. proc. pen., e la persona sottoposta alle  indagini
non si sia opposta a tale esito. Nella prospettiva del giudice a quo,
la complessiva disciplina disegnata dal legislatore del d.lgs. n.  28
del 2015 esige, in ogni fase  e  grado  del  processo,  che  tutti  i
soggetti processuali abbiano la possibilita' di interloquire rispetto
all'eventuale proscioglimento per particolare tenuita' del fatto,  ma
non attribuisce  ad  alcuno  un  potere  di  "veto"  rispetto  a  una
valutazione che resta di esclusiva competenza del giudice. Una  volta
assicurato  il  pieno  contraddittorio  tra  le  parti,  tramite   la
fissazione dell'udienza e l'invito a discutere in quella sede di tale
possibile esito, risulterebbe irragionevole, in quanto foriera di  un
rallentamento non funzionale  ad  alcun  apprezzabile  interesse  dei
diversi  soggetti  processuali,  la  regola  -  cristallizzata  dalla
giurisprudenza della Corte di cassazione di cui si e'  poc'anzi  dato
conto (supra, punto 5.3.) - che vieta al GIP, sotto pena di nullita',
di disporre direttamente con ordinanza,  all'esito  dell'udienza,  il
proscioglimento per particolare tenuita' del fatto. 
    6.2.2.-  Questa  Corte  non  e',  tuttavia,  persuasa   da   tale
argomento. 
    Nelle pronunce riferite, la Corte di cassazione  sottolinea  come
il legislatore del 2015 abbia disegnato, all'art. 411,  comma  1-bis,
cod.  proc.  pen.,  uno  specifico  meccanismo  procedurale  per   il
proscioglimento  per  particolare  tenuita'  del  fatto  in  sede  di
indagini  preliminari.  Tale  meccanismo   prevede,   da   un   lato,
l'iniziativa  del  pubblico  ministero,  al  quale  spetta  la  prima
valutazione dei presupposti della causa di  non  punibilita'  di  cui
all'art. 131-bis cod. pen.; e, dall'altro, la notifica preventiva  di
un avviso scritto  alla  persona  sottoposta  alle  indagini  e  alla
persona offesa, mediante il quale esse sono invitate a manifestare la
propria eventuale opposizione nei successivi dieci giorni.  L'effetto
potenzialmente pregiudizievole per gli interessi di  entrambi  questi
soggetti di un'archiviazione per particolare tenuita'  del  fatto  ha
dunque indotto il legislatore ad assicurare un pieno  contraddittorio
su questo possibile esito, che deve essere preannunciato  in  termini
espliciti dallo stesso pubblico ministero. Per  l'esercizio  di  tale
contraddittorio  e',  inoltre,  espressamente  previsto  uno  spatium
deliberandi  di  almeno  dieci  giorni,  onde  consentire  a  ciascun
soggetto processuale di compiere le proprie  valutazioni  in  merito,
anche consultandosi con il proprio difensore. 
    Questo schema legislativo,  funzionale  al  pieno  esercizio  del
diritto di difesa  di  entrambi  i  soggetti  processuali  coinvolti,
verrebbe sensibilmente alterato ove si consentisse al GIP di disporre
direttamente l'archiviazione per particolare tenuita' del  fatto,  in
difformita' dalla richiesta del  pubblico  ministero  e  in  esito  a
un'udienza fissata ai sensi dell'art. 409, comma 2, cod. proc.  pen.,
senza che sia stata previamente notificata alle parti la possibilita'
di una formula di archiviazione diversa  da  quella  prospettata  dal
pubblico ministero, e  sulla  base  soltanto  di  un  contraddittorio
sollecitato per la prima volta durante l'udienza. 
    Inoltre, se e' vero che dopo l'esercizio  dell'azione  penale  il
pubblico ministero  non  e'  piu'  dominus  del  proscioglimento  per
particolare tenuita' del fatto, non disponendo  di  alcun  potere  di
veto rispetto al riconoscimento dell'esimente da parte  del  giudice,
e' anche vero che una pronuncia di non punibilita'  ex  art.  131-bis
cod.  pen.,  in  qualunque  fase  procedimentale  o  processuale  sia
collocata,  presuppone  logicamente  la  valutazione  che  un  reato,
completo di tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi,  sia  stato
commesso  dalla  persona  sottoposta  a  indagini  o   dall'imputato.
L'intero sistema processuale vigente non consente,  pero',  che  tale
valutazione sia compiuta ex  officio  dal  giudice:  e',  invece,  al
pubblico ministero, e a lui soltanto, che spetta apprezzare in  prima
battuta se un  reato  sia  stato  commesso,  e  in  caso  affermativo
esercitare l'azione penale, di cui egli ha  il  monopolio,  sia  pure
sotto il controllo  del  giudice.  Tant'e'  vero  che,  nello  stesso
contesto configurato dall'art. 409 cod. proc. pen., il GIP puo' -  al
piu' - ordinare al pubblico ministero di formulare l'imputazione,  ma
non puo' formularla direttamente, esercitando cosi'  l'azione  penale
in sua vece. 
    In effetti, la dichiarazione di non punibilita'  per  particolare
tenuita'  del  fatto  presuppone  normalmente  il  previo   esercizio
dell'azione penale da parte  del  pubblico  ministero;  e  la  stessa
richiesta di proscioglimento per particolare tenuita'  del  fatto  di
cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., come si  e'  rilevato
in dottrina, rappresenta qualcosa di assai prossimo al vero e proprio
esercizio dell'azione penale, tale richiesta mirando a una  pronuncia
soltanto parzialmente liberatoria, con la quale  si  da'  pur  sempre
atto dell'avvenuta commissione di un fatto  di  reato,  ancorche'  in
concreto non punibile per la particolare esiguita' del  danno  o  del
pericolo cagionato. 
    Di talche', laddove il pubblico ministero abbia invece  richiesto
l'archiviazione ai sensi dell'art. 408  cod.  proc.  pen.,  ritenendo
insussistente o comunque non sufficientemente  provato  il  fatto  di
reato, e' del tutto coerente con il sistema disegnato dal legislatore
la soluzione interpretativa, cui e' pervenuta la Corte di cassazione,
di non consentire al GIP di surrogarsi al  pubblico  ministero  e  di
apprezzare direttamente l'avvenuta commissione  del  fatto  medesimo,
anche soltanto al fine di dichiararlo non punibile ai sensi dell'art.
131-bis cod. pen. 
    Il sistema del codice di procedura penale, cosi' come  tutt'altro
che   irragionevolmente   ricostruito   dalla    giurisprudenza    di
legittimita', esige insomma che in caso di  dissenso  del  GIP  sulla
richiesta del pubblico ministero la parola torni a  quest'ultimo  per
le determinazioni di sua competenza; e impone che  tutti  i  soggetti
processuali  siano  posti  in  condizioni  di  interloquire  su  tali
eventuali  determinazioni,   contando   sullo   spatium   deliberandi
specificamente previsto dal legislatore all'art.  411,  comma  1-bis,
cod. proc. pen. L'effetto di allungamento dei tempi  processuali  che
ne deriva non puo', allora,  ritenersi  sfornito  di  ogni  legittima
ratio giustificativa; e per tale ragione non entra in collisione  ne'
con il generale principio di ragionevolezza,  ne'  con  quello  della
ragionevole durata del processo. 
    7.- Un secondo gruppo di  censure  investe  il  medesimo  diritto
vivente sotto  i  distinti  profili,  tutti  parimenti  riconducibili
all'art. 3 Cost., dell'irragionevole  disparita'  di  trattamento  di
situazioni analoghe e di irragionevole equiparazione  di  trattamento
di situazioni diverse (punto 1.2.3. del Ritenuto in fatto). 
    Neppure queste censure sono fondate. 
    7.1.- Ad avviso del rimettente, la censurata giurisprudenza della
Corte  di  cassazione   produrrebbe   anzitutto   una   irragionevole
disparita'  di   trattamento   rispetto   all'ipotesi   in   cui   il
riconoscimento della non punibilita'  per  particolare  tenuita'  del
fatto puo'  avvenire  previa  audizione  delle  parti  in  camera  di
consiglio (in sede predibattimentale, ai sensi dell'art.  469,  comma
1-bis, cod. proc. pen.) e  addirittura  d'ufficio  (nel  giudizio  di
cassazione, come riconosciuto dalla  giurisprudenza  di  legittimita'
citata dal rimettente). 
    I tertia comparationis evocati non sono  tuttavia  omogenei,  dal
momento che il pubblico ministero ha, in tutti quei casi,  esercitato
l'azione penale, avendo ritenuto  sussistente  il  reato:  cio'  che,
invece, non accade nell'ipotesi ora all'esame, in cui  il  rimettente
vorrebbe che il  GIP  si  sostituisse  al  pubblico  ministero  nella
sostanziale contestazione di un fatto di reato, sia pure al solo fine
di dichiararlo non punibile ai  sensi  dell'art.  131-bis  cod.  pen.
(supra, punto 6.2.2.). 
    7.2.- Il giudice a quo ritiene poi che il diritto vivente da  lui
censurato determini una  indebita  omologazione  nel  trattamento  di
ipotesi differenti, costringendo il GIP a  disporre  la  celebrazione
del processo sia per fatti connotati da disvalore significativo,  sia
per fatti di particolare tenuita'. 
    Al riguardo, e' pero' agevole replicare che  -  come  prefigurato
anche dalla giurisprudenza di legittimita' sopra ricordata - il  GIP,
il quale non condivida la richiesta  di  archiviazione  del  pubblico
ministero per infondatezza della notizia di  reato,  non  e'  affatto
tenuto a disporre la celebrazione del processo a carico della persona
sottoposta alle indagini  (o  meglio,  a  disporre  che  il  pubblico
ministero formuli l'imputazione), ma ben  puo'  restituire  gli  atti
invitando  il  pubblico  ministero  a   considerare,   altresi',   la
possibilita'  di  richiederne  il  proscioglimento  per   particolare
tenuita' del fatto, con le forme indicate nell'art. 411, comma 1-bis,
cod. proc. pen.; consentendo cosi' a tutti i soggetti processuali  di
dispiegare ritualmente il contraddittorio su questa  diversa  formula
di archiviazione. 
    7.3.- In terzo luogo, il rimettente  denuncia  una  irragionevole
disparita' di trattamento per  fatti  di  particolare  tenuita',  tra
l'ipotesi in cui il pubblico ministero abbia proceduto nelle forme di
cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. e quella in cui  abbia
richiesto l'archiviazione ai sensi dell'art. 408 cod. proc. pen. 
    Anche in questo  caso  occorre  pero'  sottolineare  l'essenziale
differenza che intercorre tra le due ipotesi, la  prima  delle  quali
caratterizzata da una richiesta del pubblico ministero che muove  dal
presupposto dell'apprezzamento, da  parte  di  questi,  dell'avvenuta
commissione di un fatto di reato; richiesta che, sola,  legittima  il
GIP a una pronuncia che, parimenti, presuppone l'avvenuta commissione
di tale reato. 
    8.- Il giudice a quo ritiene,  infine,  che  il  diritto  vivente
censurato violi gli artt.  3  e  27,  primo  e  terzo  comma,  Cost.,
costringendo  il   GIP   a   «imbastire   un   processo   finalizzato
all'applicazione di  una  pena  virtualmente  sproporzionata  nell'an
ancor prima che nel quantum, poiche' da applicare ad un fatto che, in
base ai criteri generali fissati dal medesimo legislatore, non ne  e'
invece "bisognoso"», in violazione dei  principi  di  ragionevolezza,
proporzione, personalita' della responsabilita'  penale  e  finalita'
rieducativa della pena (punto 1.2.1. del Ritenuto in fatto). 
    Nemmeno  queste  ultime  censure  sono,  tuttavia,  fondate,  dal
momento che - come appena rilevato (supra, punto 7.2.) - nulla impone
al GIP di disporre  che  sia  formulata  un'imputazione,  e  che  sia
conseguentemente celebrato un processo, nel  caso  in  cui  il  reato
ascritto  alla  persona  sottoposta  alle  indagini  gli  appaia   di
particolare tenuita'. 
    D'altra parte, anche nell'ipotesi in cui  il  pubblico  ministero
richiedesse il rinvio a giudizio o, a seconda dei casi, disponesse la
citazione diretta  della  persona  sottoposta  alle  indagini,  nulla
vieterebbe poi al giudice di assolvere l'imputato  proprio  ai  sensi
dell'art. 131-bis cod. pen., evitando cosi'  di  applicare  una  pena
sproporzionata rispetto alla gravita' del reato commesso. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, del  codice  di  procedura
penale, in combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e  1-bis,  cod.
proc. pen., sollevate, in riferimento  agli  artt.  13,  25,  secondo
comma, 76 e 101, secondo comma, della Costituzione, dal  Giudice  per
le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di   Nola   con
l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 409, commi  4  e  5,  cod.  proc.  pen.,  in
combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc.  pen.,
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, primo e terzo comma, 111,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo,  all'art.
47  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  e
all'art. 14, terzo comma, lettera c), del  Patto  internazionale  sui
diritti civili e politici, dal GIP del Tribunale  ordinario  di  Nola
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2023. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
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