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Decisione: Sentenza n. 3099/2016 Cassazione Penale – Sezione III
Il caso.

Il Giudice per le indagini preliminari disponeva il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente sui beni di una società, che era considerata una “società schermo” dell’imputato, accusato dei reati di truffa e riciclaggio.
L’amministratore della società-schermo era la moglie del figlio dell’imputato.
Il Tribunale del riesame rigettava l’appello proposto dalla società, la quale proponeva ricorso in Cassazione, rigettato dalla Corte.
La decisione.

La Corte di legittimità ha affrontato i due motivi di ricorso: la prima doglianza svolta dalla società ricorrente è fondata, ma ciò non rende accoglibile il ricorso, e la terza sezione della Cassazione ne spiega così le ragioni: «Come affermato dalla ricorrente erra il Tribunale di Genova ove nel proprio provvedimento afferma che si sarebbe formato il c.d. “giudicato cautelare” sulla posizione della società ricorrente, quale sequestrata, per effetto della precedente pronuncia, del Tribunale medesimo, in data 21 novembre 2014. In quel primo procedimento incidentale infatti il Tribunale in sede di appello si è limitato a rilevare l’inammissibilità dei nuovi motivi dedotti dalla società che riguardavano, in particolare, la natura di “società schermo” della medesima e correlativamente l’esatta individuazione della persona fisica da ritenersi “possessore mediato” delle somme di denaro in sequesto, nonché la verifica del limite di sequestrabilità/confiscabilità delle somme stesse; pertanto illo tempore il Tribunale non si è pronunciato su tali circostanze, nuovamente devolute ed invece decise con la successiva ordinanza oggetto del ricorso in esame. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte in simile contesto procedimentale non può affermarsi la sussistenza di alcun “giudicato cautelare” (rectius, preclusione endoprocedimentale), dovendo perciò il giudice, anche di appello, investito ex novo delle questioni non decise mentalmente pronunciarsi sulle stesse, ciò che peraltro nell’ordinanza impugnata si è fatto, come verrà rilevato subito in fra (cfr. Cass., sezione sesta, n. 43213 del 27/10/2010; sezione quarta, n. 32929 del 04/06/2009)».
La Suprema Corte passa poi ad esaminare il secondo motivo di ricorso, che ritiene infondato: infatti, la Cassazione ha ritenuto che il Tribunale avesse indicato in modo puntuale le ragioni fondanti del provvedimento: «In particolare ha valorizzato tre puntuali elementi di fatto in virtù dei quali la ricorrente deve considerarsi “società schermo” e perciò destinataria del provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca “per equivalente”, peraltro nel caso di specie obbligatoria ex art. 648 quater cod. pen. ossia in primo luogo l’utilizzazione della medesima per “riciclare” somme rivenienti dai reati contestati agli indagati investite nelle quote di un albergo di Lugano; in secondo luogo l’incarico di amministratrice di MB Service già conferito alla nuora dell’indagato principale, B.G., avendo la medesima ammesso di esserne soltanto una c.d. “testa di legno”; in terzo luogo il fatto che per testamento il B. avesse disposto anche della società ricorrente, avendone comunque già intestato al figlio Alberto il 99% delle quote. Quanto poi alla questione, altresì posta nel ricorso in oggetto, dell’individuazione del “possessore mediato” delle somme in sequestro, risulta chiaro che prima il GIP nel provvedimento che ha disposto la misura cautelare, poi il Tribunale nell’ordinanza impugnata, facendo corretta applicazione delle previsioni di cui agli artt. 648 quater, 240, cod. pen., 321, cod. proc. pen., dopo aver qualificato la ricorrente quale “interposta persona”, hanno attribuito la qualità di detentore effettivo delle somme sequestrate sicuramente a B.G. ovvero comunque alle persone appartenenti al suo nucleo famigliare (la moglie in particolare), in parte co-indagate o comunque a loro volta “interposte”».

 

Osservazioni.

La Cassazione ha ritenuto che il Tribunale del riesame abbia correttamente ritenuto la confisca obbligatoria per il reato di riciclaggio, anche quando riguardi una persona interposta (nel caso di specie la società ricorrente), ai sensi dell’art. 648-quater codice penale.
Disposizioni rilevanti.
Codice Penale
Articolo 648 bis – Riciclaggio
Fuori dei casi di concorso nel reato (110 ss.), chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo (43), ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
Articolo 648 quater – Confisca
Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato.

Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.

In relazione ai reati di cui agli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, il pubblico ministero può compiere, nel termine e ai fini di cui all’articolo 430 del codice di procedura penale, ogni attività di indagine che si renda necessaria circa i beni, il denaro o le altre utilità da sottoporre a confisca a norma dei commi precedenti.

 

DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74
Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto
Art. 4 – Dichiarazione infedele

1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:

a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila;

b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni. (4)

1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).

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