PENSIERO UNICO NEL PLURALISMO DI UNA EUROPA UNIFICATA
Sergio Benedetto Sabetta
Vi è attualmente una notevole difficoltà nel pensare il concetto di Europa nei termini socio-politici di U.E., che cosa è l’Europa? Cosa dovrebbe essere? Vi sono una pluralità di visioni, ognuna frutto di interessi, storie e culture differenti ma strettamente intrecciate tra loro, in cui secondo il punto di vista si possono sottolineare le differenze o le similitudini, una parentela tendenzialmente litigiosa ma obbligata a convivere per storia e ristrettezza dei luoghi, avvolta in un continuo scambio culturale.
La centralità della Germania sia in termini geo-strategici che economici, il suo peso nei confronti dei vicini ma anche la sua storia recente del Novecento, crea aspettative, inquietudini e dubbi, da una parte si vorrebbe che prendesse delle posizioni più decise, chiare e mettesse la sua forza economica a disposizione dell’Unione, dall’altra vi è un timore che debordi schiacciando gli alleati, creando malessere, nella difficoltà di riportare la sua concezione austera e comunitaria dell’economia con quella mediterranea del disavanzo collettivo a beneficio dell’individualismo familiare.
Gli Stati Uniti a loro volta, da protettori di una U.E. utile agli scambi economici e quale bastione contro il blocco orientale guidato dall’U.R.S.S., hanno acquisito una certa indifferenza strategica mista a diffidenza per il forte surplus commerciale della Germania.
Anche il rapporto con la Russia e la Cina da parte dell’U.E. sono oggetto di attenzione e incomprensione, alcuni problemi finanziari e di destabilizzazione dell’area del Mediterraneo, con i loro strascichi immigratori, non appaiono essere estranei quali risultati di manovre oltreoceano, l’Italia come pedina nei rapporti tra l’area germanica e gli U.S.A.
La Banca centrale europea (BCE), quale clone della Bundesbank, ne ha ereditato la cultura della stabilità fondata sulla bassa inflazione e la stabilità del cambio, elementi inseriti in statuto, l’austerità contabile che ne è conseguita alla crisi del 2008 tende a scaricare sugli Stati Uniti l’onere della ripresa, con profonde problematiche per le aree periferiche, le cui difficoltà aumentano il potere del centro moderando ulteriormente l’inflazione e la diffidenza sia degli U.S.A. che di altre aree dell’U. E.
Solo la Francia forte del suo peso strategico resiste ad una accentuata austerità, ondeggiando nel suo rapporto con Berlino per la quale l’asse Parigi – Berlino è fondamentale per la stabilizzazione dell’U.E.
La Francia da parte sua ha teso a compensare il dinamismo economico tedesco con la potenza militare e l’attività diplomatica, ma le crisi che si sono succedute dai primi anni Duemila con il rigetto da parte francese nel 2005 della costituzione europea, l’eccesso di tecnocrazia imposto all’U.E. con il Trattato di Lisbona del 2006, la crisi finanziaria del 2008, la non brillante gestione della primavera araba nel 2011, con la successiva collegata crisi migratoria, e le recenti crisi della pandemia e della guerra in Ucraina hanno reso evidenti oltre ai limiti francesi anche quelli dell’Unione, obbligando Berlino e Parigi a riconsiderare i loro rapporti, ancor più nel momento in cui la crisi europea si era già manifestata con la Brexit della Gran Bretagna.
L’uscita dell’Inghilterra dall’U.E. e le difficoltà francesi nel gestire militarmente e diplomaticamente le crisi e i conflitti alla periferia dell’Unione, per non parlare della guerra all’Est, hanno dato nuova valenza al progetto “Ankerarmee” elaborato a Berlino e proposto alla conferenza della Sicurezza di Monaco del 31/1/2014.
Vi è la necessità ed opportunità di un maggiore impegno nella difesa comune, considerato il peso economico e geopolitico, ma vi è anche il rischio di creare tensioni vista la memoria storica, nasce pertanto la necessità di appoggiarsi sulla Francia per stemperare i timori ed evitare futuri conflitti, ma anche di mantenere una fedeltà alla Nato e cercare di continuare a coinvolgere la Gran Bretagna.
L’impegno militare non può che accrescersi gradualmente evitando pericolosi eccessi, che destabilizzano tanto gli equilibri con gli altri partner dell’Unione che all’interno della stessa Repubblica Federale, dove è cresciuta una cultura che delega la difesa all’esterno con i relativi costi, concentrandosi solo sugli aspetti economici della produzione ed export.
Una cultura che con il tempo da punitiva e contenitiva si è rivelata conveniente alla nuova economia globale, eliminando parte delle spese militari improduttive e concentrando ricerca e sviluppo sull’export, fino ad esplodere con la fine della Guerra fredda.
Nonostante la diffidenza l’offerta di Berlino di diventare “Ankerarmee” (esercito àncora), in modo da ottenere delle forze armate continentali specializzate per settori e con un potenziale industriale – militare autonomo, è stato già accolto da alcuni Stati dell’area germanica quali i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca.
Ancora più interessante è l’istituzione dall’aprile del 2017 del Kommando Cyber und Informationsraum (Comando cibernetico e dello spazio informativo), con base a Bonn, con il compito di ciberdifesa ed in futuro di sviluppare una potenzialità offensiva quale alternativa al potenziale nucleare.
In questi scenari il “gruppo di Visagrad”, nel raccogliere quattro paesi dell’ex patto di Varsavia, si pone quale gruppo di pressione all’interno dell’Unione tra l’area occidentale e quella russa, depositari di una propria storia drammatica del Novecento e di una cultura condivisa sui valori e sui diritti forgiata dai drammi del secolo di ferro, d’altronde l’U.E. ha due linee di frattura: una ad Oriente con il mondo Russo e l’altra a Sud nel Mediterraneo, linee che si saldano nel Medio Oriente, di cui il mondo balcanico nella sua frammentazione ne è una rappresentazione.
Il Mediterraneo considerato da sempre elemento di instabilità per il confluire e il raffrontarsi di culture diverse, interessi confliggenti e incrociarsi di vie di comunicazione, è per l’Europa una soglia estremamente delicata, i cui paesi europei che su di esso si affacciano possiedono una fragilità strutturale ed una cultura alternativa a quella del Nord.
La Spagna è stata vista dalla Germania, per un certo lasso di tempo, quale possibile alternativa all’Italia nel bacino del Mediterraneo, al fine di una eventuale stabilizzazione e integrazione dell’area, ma la speranza è andata a spegnersi a causa delle tensioni interne e delle crisi economiche, mentre la Grecia è finita commissariata.
Resta l’Italia con la sua storia particolare quale unico paese immerso nel Mediterraneo, vi è tuttavia una fragilità strutturale dello stesso dato dalle divisioni interne dovute anche dalle sue differenze storico – culturali, ulteriormente accentuatesi in questo momento di crisi.
Già Luttwak prevedeva negli anni Novanta del secolo scorso il sovrapporsi del conflitto geo-economico al classico conflitto militare, un conflitto che si apriva anche tra gli ex alleati del fronte occidentale così da superare “la visione serafica dell’Europa di Maastricht propagandata dal massimalismo europeista” (87, L. Incisa di Camerana, La vittoria dell’Italia nella terza guerra mondiale, Laterza, 1996).
L’Italia in questi nuovi scenari assumeva una visione universalistica tra una agenzia dell’ONU e la C.R.I. (1), senza una politica estera ben definita, seguendo la politica già perseguita durante la guerra fredda di un basso profilo militare, adeguandosi al clima politico e sociale esistente prevalentemente pacifista e ripiegato sulle dinamiche interne, tale da trasformare l’Italia in un possibile campo di battaglia socio-economico per Stati e potentati esteri, come nel XVI secolo in cui ad una ricchezza culturale ed economica corrispondeva una debolezza politico-amministrativa (2).
L’Italia risulta quindi essere stretta tra Germania e Stati Uniti, sottoposta a facili pressioni internazionali sia dirette che indirette, basti pensare alle ripetute crisi finanziarie del debito pubblico, alle pressioni migratorie e alle infiltrazioni cinese e russe, con una politica estera indecisa, in affanno nella difesa del proprio capitale industriale, percorsa da fremiti pacifisti, terzomondisti e idealisti nel pubblico ma fortemente individualista nel privato, sostanzialmente delocalizzata nel proprio intimo e quindi nell’impossibilità di inserirsi, se non occasionalmente, sia nel triangolo Parigi-Londra-Berlino che nel duopolio Parigi-Berlino, non in grado di assumere una politica europea coerente ed erede di una cultura in cui la “commendatio” è parte del proprio essere.
Le tensioni e i conflitti finora descritti, sia interni tra visioni politiche differenti, che esterne, secondo un arco di crisi che va dal Baltico al Mediterraneo per estendersi all’Atlantico, hanno fatto sì che in mancanza di una forte legittimazione politica derivante dal voto delle popolazioni europee, prevalessero le tecnostrutture di Bruxelles e della BCE, espressione delle maggiori forze nazionali europee, creando dei poli naturali obbligati, ma mettendo a rischio nel tempo la tenuta della stessa U.E., non resta che rifarsi alla storia dell’Europa.
Togliendo la struttura variabile propria della costruzione politica dell’Impero romano, già il cristianesimo ha originariamente manifestato una marcata autonomia culturale tra le diverse comunità, una fluidità istituzionale con centri direttivi paritari, dove esistevano “le Chiese” e non “la Chiesa”, solo lentamente si formò una struttura istituzionale più accentrata, ma comunque mai come quella che emerse dal Concilio tridentino nel XVI secolo.
Ne sono testimoni i vari concili ecumenici che si susseguirono nel IV e V secolo, tutti orientati per il prevalere politico della parte orientale dell’Impero, a cui si affiancarono i concili locali provinciali, ma anche alla dissoluzione dell’Impero d’Occidente una costellazione di regni romano-barbarici diedero origine ad una variabile notevole nei rapporti interni tra popolazione ed esterni con l’autorità formale dell’Impero, per non scordare dell’articolazione del Sacro Romano Impero e delle trasformazioni subite nella sua millenaria storia fino allo scioglimento napoleonico, come anche della pluralità dell’Impero asburgico.
Vi è in altre parole nella genetica dell’Europa una varietà di forme e culture che ne determinarono una apparente fragilità ma che costituiscono quell’intreccio che ne rende resistente la matrice alle perdite e alle aggressioni, impedendo la nascita di un pensiero unico ma l’esistenza di una serie di pensieri complementari in osmosi fra essi.
Occorre pertanto evitare che il prevalere di una tecnostruttura autoreferente, non legittimata dalle popolazioni, conduca al dissolvimento dell’Unione per un autoritarismo implicito che tenda ad appiattire le comunità su un’unica visione prevalente, l’amalgama ci sarà ma avverrà spontaneamente e nei modi differenti da luogo a luogo, né devono trarre in inganno i facili entusiasmi dei momenti di crescita in quanto è nelle crisi che si vede la bontà di una costruzione.
BIBLIOGRAFIA
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JEAN C., Geopolitica, Laterza, 1995;
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Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Laterza, 1994; Romano S., Lo scambio ineguale, Laterza, 1995;
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AA.VV., U.S.A. – Germania duello per l’Europa, in Limes, 5/2017.