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COMPLESSITÀ, CAOTICITÀ E SENSO NAZIONALE

Quello che ci dice la pandemia

Sergio Benedetto Sabetta

Tra la rigidità e la caoticità, come più volte ribadito, vi è la complessità, sempre più riferimento per l’attuale evoluzione sociale. In questo la presenza degli attrattori caotici dovrebbero essere in grado di ridurre la crescente complessità, in modo da stabilizzare il sistema senza doverlo irrigidire in uno cristallizzato, dove modernamente il controllo potrebbe avvenire surrettiziamente con la sua accettazione per il bene della comunità, in una apparente libertà.

La società da liquida scivola verso una caoticità melmosa, piena di accuse reciproche, sospetti e indecisioni, con livelli istituzionali privi di un vero, chiaro e leale coordinamento, in cui vi è una semplice contrapposizione di interessi privi di un dialogo costruttivo. Si è così costruita una società del sospetto e della sfiducia sulle istituzioni politiche, sentite come puramente autoreferenti, mentre la parte amministrativa è stata vista insufficiente e chiusa su se stessa e i propri interessi.

Sono venuti meno gli antichi miti di efficienza coltivati da alcuni settori, come la correttezza nei comportamenti civici, travolti da atteggiamenti opportunistici che si sono scoperti diffusi su tutto il territorio nazionale indistintamente. Tutti i vari primati vantati sono stati azzerati.

Si è manifestata una totale assenza di patriottismo se non di facciata, conseguenza di una mancata pedagogia nazionale, che si è riflessa nell’assenza sul piano internazionale quando, approfittando anche degli sconvolgimenti pandemici, si sono palesate manovre espansionistiche di carattere imperiale in ambito economico e geo-strategico, considerando anche le tante questioni ancora aperte sugli spazi marittimi centro – mediterranei.

La mancanza di chiari attrattori caotici ha comportato un proliferare contraddittorio di provvedimenti, sottolineando la discontinuità istituzionale e la mancanza di un senso nazionale unico, tanto da indurre studiosi quale Sabino Cassese a ravvedersi sul suo sostegno al presidenzialismo locale nel vuoto di una guida centrale. (Intervista a Sabino Cassese, Il Messaggero, 3/4/2020).

Ecco la discussione sulla necessità di una clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale, o di supremazia.

Nella ricerca di un equilibrio tra opposti interessi, spinte che potrebbero portare a disarticolare il sistema si pongono quindi due livelli di armonizzazione, l’uno politico e l’altro giudiziario, entrambi comunque sottoposti alla spinta culturale prevalente del momento.

Tipico è l’esempio degli USA dove il conflitto politico deve comunque risolversi nel riconoscimento dell’avversario e nell’accettazione temporanea, fino alla prossima rivincita già scadenzata, del risultato elettorale oltre che nella ricerca di accordi tra le parti contrapposte nel Congresso.

In ambito giudiziario un principio quale “la libertà di credere”, sebbene assoluto, ha comunque dei limiti nella pratica, questo già a partire dalla fine del XIX secolo, quello che viene a mutare nel tempo sono i contenuti.

Il limite varia a seconda se si tratta di religione, dove vige la massima libertà, o di altri ideologismi, ma quello che deve essere ben chiaro è la loro non attuale pericolosità sociale, di cui si dovrà definire di volta in volta in contenuti.

Tuttavia nel corso della metà del XX secolo interviene una correzione del principio “clear and present danger to society” integrandolo con il criterio del “bilanciamento”, in funzione dell’interesse più essenziale o più importante.

Il cambiamento è rilevante in quanto ad un criterio stretto quale è il “pericolo” si sostituisce un più semplice “interesse” della società civile, aumentando di fatto la discrezionalità valutativa delle Corti ma anche la possibilità di recepire nuove istanze.

Se all’inizio negli anni ’60 – ’70 la casistica giurisprudenziale è stabile a fronte di una cultura sociale ancora sufficientemente omogenea con scarsi interventi della Suprema Corte, è negli anni ’80 che questa deve pesantemente intervenire per fornire criteri univoci sul principio del “bilanciamento”.

Come riflesso del frantumarsi della compattezza del sentimento sociale e della sua visione, la Suprema Corte entra talvolta in conflitto con se stessa, contrapponendo diritto speciale a diritto speciale come nel caso in cui il privilegio negativo dell’ “establishement clause”, o imparzialità, viene a contrapporsi al privilegio positivo del “free exercise clause”.

Nel caso esemplificativo del diritto costituzionale della libertà di religione, la Suprema Corte nel tentativo di superare un tale conflitto elabora nei casi Walz v. Tax Commission of the City of New Yotk e Lemon v. Kurtzman un terzo criterio, detto “excessive entanglement”, secondo cui anche in presenza di una regolarità rispetto ai due noti criteri dello “scopo secolare” e del “non impedire né favorire la religione” la legge può risultare incostituzionale per un eccessivo coinvolgimento dello Stato con la religione stessa contro il principio di separatezza.

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