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P.A.: Inconferibilità e incompatibilità di incarichi Enti Pubblici. – QUOTIDIANO LEGALE
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P.A.: Inconferibilità e incompatibilità di incarichi Enti Pubblici.

L’Autorità  Nazionale Anticorruzione, (ANAC) propone ulteriori modifiche “urgenti” al d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39  «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi  presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo  pubblico, a norma dell’art. 1 commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n.  190», testo attualmente vigente.

Nelle considerazione dell’ANAC si rappresenta che: la nozione di  amministratore di ente pubblico e di ente di diritto privato in controllo  pubblico, carica a cui la legge estende la disciplina delle inconferibilità e  incompatibilità degli incarichi amministrativi, è prevista dall’art. 1, comma 2,  lett. l), del d.lgs. 39/2013 ed include solo “gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette,  amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle  attività dell’ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di  diritto privato in controllo pubblico”. Pertanto, con l’atto  di  segnalazione n. 4 del 10 giugno 2015 recante «Proposte di modifica, correzione  e integrazione della normativa vigente in materia di inconferibilità  e  incompatibilità degli incarichi amministrativi», l’ANAC ha già chiesto, tra  l’altro, di “eliminare, per la figura del  Presidente, il riferimento alle deleghe gestionali dirette, fonte fin qui di  equivoci e di interpretazioni contrastanti”.

L’urgenza della  modifica normativa proposta è confermata da un’indagine condotta da questa  Autorità di recente sull’esito dei procedimenti di vigilanza svolti dai  competenti Uffici nella materia delle  inconferibilità e incompatibilità degli incarichi. Infatti, è emerso che oltre il 38,5% dei casi  relativi al periodo 1° gennaio 2015-30 novembre 2016 hanno riguardato proprio la  verifica della sussistenza di deleghe gestionali dirette in capo al presidente  del consiglio di amministrazione. Si tratta,  peraltro, di un dato in aumento in quanto nel 2015 i casi concernenti la  verifica in capo al presidente di ente in controllo pubblico di deleghe  gestionali dirette sono stati il 26,8% di tutti quelli esaminati dall’Autorità  e riguardanti l’applicazione del d.lgs. 39/2013.

Sul totale dei casi  relativi alla verifica delle deleghe gestionali, sempre nel periodo da gennaio  2015 a novembre 2016, ben il 77% dei procedimenti di vigilanza avviati dall’ANAC nel settore in esame è stato archiviato per assenza di deleghe  gestionali dirette. I dati appena riferiti sembrano dimostrare l’inefficacia  dell’attuale formulazione normativa, stante la diffusa pratica di modificare  gli statuti degli enti al fine di espungere il conferimento di deleghe  gestionali al presidente. Tale prassi elusiva vanifica la vigilanza  dell’Autorità, imponendo agli uffici un’attività di accertamento che si rivela  inutile.

Al  riguardo, si evidenzia che diverse questioni interpretative ed applicative sono dovute alla presenza in altre parti del d.lgs. 39/2013 di un più generico  riferimento alla carica di presidente, senza la specificazione relativa alle  deleghe gestionali.
In  particolare, il descritto disallineamento testuale si ritrova all’art. 12, in  base al quale incarichi dirigenziali sono incompatibili con l’assunzione o il  mantenimento delle cariche di amministratore delegato e di presidente (senza  l’ulteriore specificazione per quest’ultima carica delle deleghe gestionali  dirette). Nella delibera n. 47 del 27 giugno 2013, questa Autorità nel  tentativo di assicurare una lettura organica dei richiamati articoli, alla luce  dell’identica ratio sottostante ha  rilevato che «…..per quanto riguarda  il comma 1 del detto articolo (art. 12), l’incompatibilità è limitata alle  cariche di presidente e amministratore delegato; ed è da ritenere che il  generico riferimento a “presidente” debba essere integrato con la previsione  della titolarità di “deleghe gestionali dirette” (ai sensi della lettera e)  dell’art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 39/2013), come si può desumere, del resto,  dall’abbinamento della carica di presidente con quella di amministratore  delegato. In questo quadro, residua il problema dell’interpretazione  della lettera c) del comma 4 dell’art. 12 del d. lgs. n. 39/2013». Pertanto, nella deliberazione richiamata si conclude che «…….la carica di “componente di organi di  indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico” ivi prevista  coincide con la carica di presidente con delega e di amministratore delegato.»
Ugualmente,  l’art. 7 ai fini dell’inconferibilità indica tra le cariche di provenienza  anche quelle di “presidente o  amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico”.  Tuttavia, per questa disposizione, l’ANAC ha chiarito che “L’esistenza di  deleghe gestionali dirette rileva, però, solo allorché si debba applicare la  disciplina vigente alla posizione di “amministratore di ente pubblico o di enti  di diritto privato in controllo pubblico”, come definita dall’art. 1, comma 2,  lettera l), del d.lgs. n. 39/2013, che – come noto – include solo “gli incarichi di Presidente con deleghe  gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di  indirizzo delle attività dell’ente, comunque denominato, negli enti pubblici e  negli enti di diritto privato in controllo pubblico”. Orbene, sul punto,  il tenore letterale dell’art. 7 del d.lgs. n. 39/13 sembra chiaro nel  considerare, ai fini dell’inconferibilità degli incarichi di amministratore di  ente di diritto privato in controllo pubblico, al pari della provenienza da  cariche politiche, anche quella da cariche in enti di diritto privato in  controllo pubblico; tra le cariche menzionate, però, vi sono espressamente le  posizioni di “Presidente o  amministratore delegato” e non viene usata – come per gli incarichi da  conferire (lett. d) – la locuzione amministratore di ente di diritto privato in  controllo pubblico, da intendere secondo la definizione dell’art. 1 comma 2  lett. l) del d.lgs. n. 39/13, già richiamato. Si ritiene, pertanto, che per la  sussistenza di una situazione di inconferibilità ai sensi dell’art. 7 (commi 1  e 2) non sia  necessaria una indagine sulla attribuzione di poteri gestionali, quando  l’incarico rivestito in precedenza dall’interessato è quello di Presidente del  consiglio di amministrazione” (Delibera n. 834 del 3 agosto 2016).

Peraltro, si osserva che per escludere definitivamente  un’eventuale violazione della disciplina delle inconferibilità/incompatibilità,  occorrerebbe, comunque, che gli enti soggetti a controllo pubblico assicurino –  attraverso una chiara disposizione statutaria opponibile a terzi – che in  seguito alla nomina non possano essere esercitati da parte del presidente  poteri gestori; in caso contrario, anche l’attività di vigilanza che questa  Autorità è chiamata a svolgere dall’art. 16 del d.lgs. 39/2013 per la verifica  dell’effettiva insussistenza di tali poteri risulta di fatto vanificata,  dovendo includere anche l’accertamento (impossibile) che tali poteri siano  eventualmente esercitati anche in assenza di delega o in base ad una delega non  formalizzata in un atto pubblicato sul registro delle imprese.
Oltre a determinare le già descritte difficoltà interpretative, deve anche rilevarsi che la definizione di cui all’articolo 1, comma 2, lett. l), non è conforme alla legge  delega, tenuto conto che tra i criteri direttivi previsti dalla l. 190/2012, vi  è quello di ricondurre nell’ambito di applicazione della disciplina gli incarichi di «amministratore di enti  pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» senza  ulteriori specificazioni; nelle premesse dello  stesso d.lgs. 39/2013, tra questi incarichi si includono in generale quelli che  «comportano funzioni di amministrazione e gestione». Al riguardo, infatti, non  può escludersi che anche gli altri membri dell’organo  preposto all’amministrazione dell’ente – ossia il presidente e i consiglieri di amministrazione senza deleghe  gestionali – siano, comunque, in una posizione che consente loro di ingerirsi  nella gestione e che, pertanto, può dare luogo alle situazioni di potenziale  conflitto di interesse che la normativa in commento intende scongiurare.
A tale conclusione può giungersi anche solo alla  luce di quanto previsto dall’art. 2381 c.c.; in base  all’articolo appena richiamato, infatti, ove non espressamente escluso dallo  statuto, il presidente – senza deleghe gestionali – ha comunque il compito di  convocare il consiglio di amministrazione e quello evidentemente rilevante di  predisporre l’ordine del giorno.
Quanto al consiglio di amministrazione, quest’ultimo può  delegare le proprie attribuzioni determinando il contenuto, i limiti e le  eventuali modalità di esercizio della delega; resta fermo, però, che il  consiglio – e conseguentemente i suoi membri sprovvisti di deleghe gestionali –  «….può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé  operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute  valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile  della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e  finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi  delegati, il generale andamento della gestione».
Inoltre, si rileva come da un lato alcune funzioni molto  rilevanti, quali la redazione del bilancio, del progetto di fusione e del  progetto di scissione, non possono comunque essere delegate, dall’altro, che  ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano  fornite informazioni relative alla gestione della società.
Per quanto qui d’interesse, appare, altresì, rilevante quanto  previsto dall’art. 2388 cod. civ., in base al quale tutti gli amministratori –  dunque a prescindere dal conferimento deleghe gestionali – che siano assenti o  dissenzienti possono impugnare tutte le delibere del consiglio di  amministrazione ritenute illegittime o non conformi allo statuto, mentre la  stessa rilevante prerogativa non è riconosciuta ad esempio al socio, al quale è  consentito impugnare le delibere solo se lesive dei suoi diritti (comma 4).
Da ultimo, merita rammentare quanto disposto dall’art. 2384 c.c.,  secondo cui il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo  statuto o dalla deliberazione di nomina è generale e le limitazioni ai poteri  degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli  organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che  si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.
In ragione delle norme in materia societaria brevemente  richiamate, si può ritenere che l’impostazione accolta dal legislatore delegato  secondo la quale la nozione di “amministratore” debba essere ristretta al solo  presidente con deleghe gestionali e all’amministratore delegato non sia condivisibile.  Infatti, in base a quanto appena rilevato, pur non avendo pieni poteri, anche il  presidente e gli amministratori senza deleghe possono, di fatto, ingerirsi  nella gestione dovendo di conseguenza essere inclusi nella più ampia  definizione di amministratore prevista dalla legge delega, al fine di centrare  pienamente l’obiettivo che il legislatore ha indicato, ossia quello di  prevenire situazioni di potenziale conflitto di interesse. Al riguardo, già  nella precedente segnalazione n. 4 del 10 giugno 2015, era stata anche  evidenziata l’urgenza di interrompere la prassi del conferimento di incarichi  negli organi collegiali, soprattutto per la provenienza da cariche pubbliche.
Sulla base delle stesse considerazioni, si ritiene che  l’attuale definizione di cui all’art. 1, comma 2, lett. l), non sia conforme ai  criteri direttivi contenuti nella legge delega, anche in ragione della mancata  inclusione dell’incarico di direttore generale, in quanto si tratta della  figura alla quale tutti gli statuti societari attribuiscono funzioni di  amministrazione e gestione molto significative. Anche questa questione era  stata prospettata nel già citato atto di segnalazione n. 4/2015, nel quale si  suggeriva di “considerare attentamente la  figura del Direttore generale (o equivalente), cui possono essere affidati, in  molti enti (vedi il caso della RAI), funzioni di amministrazione e gestione  molto significative”.

Infine, deve in questa sede richiamarsi quanto già rilevato  nel medesimo atto di segnalazione n. 4/2015 riguardo alle opportunità di  graduare i periodi di inconferibilità in rapporto al ruolo svolto dagli  amministratori nell’ente: più lunghi per le cariche di maggior rilievo (presidente;  amministratore delegato; direttore generale, nei casi in cui intorno a questa  figura si concentrino forti poteri, di indirizzo e gestionali; consigliere con  deleghe gestionali); più brevi per la semplice partecipazione al consiglio di  amministrazione).

 

Conclusioni

Alla luce  delle considerazioni svolte, l’ANAC ritiene urgente un intervento correttivo da  parte del legislatore volto ad adeguare la definizione di amministrazione di  ente di diritto privato in controllo pubblico, di cui all’art. 1, comma 2,  lett. e), del d.lgs. 39/2013, al fine di:

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