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Oneri sociali e costo del lavoro

Di Stefano Nespor. Secondo il Wall Street Journal la riforma del lavoro del Governo Monti è totalmente inadeguata perché non si occupa del principale problema che grava sul lavoro in Italia: il suo costo per le imprese. Oggi, secondo il quotidiano americano, oltre il 47% della retribuzione del lavoratore è versata per contributi e assicurazioni di vario tipo. In effetti, in Italia e in Europa nella busta paga mensile di un dipendente si aggiungono alla retribuzione netta le trattenute fiscali, previdenziali pensionistiche, l’assicurazione sugli infortuni e la quota di trattamento di fine rapporto (dove è previsto). Certamente, sono costi sono molto elevati.

Èd è vero che l’Italia in testa in Europa per la pressione degli oneri sul lavoro: l’ennesima conferma giunge da Eurostat. Nel 2010, in base ai dati resi noti oggi, il peso fiscale e degli oneri sociali sul costo del lavoro è salito dal 42,3 del 2009 al 42,6%. Nei 17 Paesi dell’Eurozona il tasso medio è stato del 34%. Oggi questo peso è ancora più elevato e si avvicina a quello indicato dal WSJ. L’aumento è determinato essenzialmente dall’incremento della pressione fiscale.

Ma questo dato, di per sé solo, seppur suggestivo, rischia di essere fuorviante.

Infatti, nonostante l’elevato peso degli oneri fiscali e sociali, il costo del lavoro in Italia è assai basso.
Se consideriamo quanto costa un’ora di lavoro di un dipendente al datore di lavoro vediamo che l’Italia è al 12 posto in Europa e, soprattutto, che il costo del lavoro (comprensivo di tutti gli oneri sociali e contributi previdenziali e pensionistici) è inferiore a quello della media della zona euro (il dato è tratto da Linkiesta del 22 aprile 2012, consultabile in http://www.linkiesta.it/costo-lavoro-italia-europa).

Come si spiega il fatto che in Italia, pur essendoci elevatissimi oneri che gravano sulla retribuzione, il costo del lavoro sia così basso? Semplice: sono basse le retribuzioni. Quindi, ciò che il datore di lavoro paga come oneri sociali lo risparmia riducendo la retribuzione. E la riduzione è così significativa che, come si vede, il lavoratore italiano costa assai poco, molto meno della maggior parte dei lavoratori europei. In compenso, l’Italia è tra i paesi che ha orari lavorativi più lunghi e la competitività resta tra le più basse.

È poi interessante anche notare che, in linea generale, nei paesi dove il costo del lavoro è più alto, minore è la disoccupazione. L’esempio più significativo è offerto proprio dal paese al primo posto per costo del lavoro, la Norvegia, dove la disoccupazione è praticamente assente (3,3%). Ne segue che è assai dubbio che una riduzione del costo del lavoro incida significativamente sulla disoccupazione (come sembra implicitamente sostenere il WSJ).

Secondo molti economisti ciò che conta è, invece, la produttività, l’investimento nei settori a tecnologia avanzata e il tessuto economico del Paese. Ed è questo il nodo da affrontare per riformare l’assetto del lavoro in Italia.

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