Sulla banca vincolata da un solo contratto di custodia e amministrazione (e non di gestione) non grava un obbligo di informazione generalizzato circa l’andamento dei titoli dopo la negoziazione, ma sorge unicamente da specifiche circostanze.
Decisione: Sentenza n. 3404 /2016 Cassazione Civile – Sez. I
Il caso.
Alcuni investitori avevano investito in titoli emessi dalla Repubblica Argentina, prima del default.
Dopo aver vinto in primo grado, la banca impugnava la sentenza, e la Corte d’Appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta dagli investitori.
Gli investitori hanno proposto ricorso in Cassazione basato su ben 11 motivi, la quale però rigetta il ricorso e conferma la decisione della Corte d’Appello.
La decisione.
La Cassazione anzitutto chiarisce che la Corte d’Appello aveva rigettato la domanda di risarcimento per mancanza della prova del nesso di causalità: «la Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, rigettò la domanda di risarcimento dei danni proposta dai signori L., B. e R.P. nei confronti della Cassa di Risparmio (…), che aveva investito capitali di loro proprietà per C. 66.211,08 in obbligazioni della Repubblica Argentina, poi travolti dal default del dicembre 2001 riconoscendo che la banca non aveva adempiuto i propri obblighi precontrattuali di informazione nei confronti degli investitori, i giudici del merito ritennero che mancasse la prova di un nesso di causalità tra tale inadempimento e il danno lamentato, perché risultava che i fratelli P. avevano reiteratamente investito somme ingenti anche in altri titoli esteri ad alto rischio;»
La Corte d’Appello aveva escluso «che la banca, vincolata solo da un contratto accessorio di custodia e amministrazione dei titoli, fosse tenuta a informare gli investitori dell’andamento dei titoli successivamente alla negoziazione».
Ripercorrendo l’iter delle corti di merito, la Cassazione rileva che «Il tribunale aveva ritenuto che l’operazione fosse inadeguata sia per mancanza di prova di intenti speculativi da parte degli investitori sia per le dimensioni dell’investimento. Ma entrambe queste premesse furono contestate con l’atto d’appello e smentite dalla corte del merito, in ragione del riconoscimento di un consapevole intento appunto speculativo dei fratelli P. e dell’irrisorietà della somma di circa ventimila euro ciascuno investita nelle obbligazioni argentine, a fronte degli ingenti capitali abitualmente investiti dagli attori in analoghe speculazioni finanziarie».
I ricorrenti avevano eccepito la nullità del contratto quadro stipulato con la banca in quanto «non essendo allegato al contratto quadro il prospetto delle spese e commissioni richiamato nella clausola 14, l’entità del corrispettivo gravante sugli investitori non risultava determinabile, in quanto il prospetto non era stato prodotto in giudizio».
Per la Cassazione, tale motivo è infondato perché «L’art. 6 comma l lettera c) della legge n. 1/1991, vigente all’epoca della stipula del contratto quadro tra i fratelli P. e la banca convenuta, prevedeva che tali contratti dovessero indicare le modalità di svolgimento dei servizi finanziari forniti e “l’entità e i criteri di calcolo della loro remunerazione”. Sicché, “una volta assolto l’onere del rispetto della forma per il contratto normativo di servizi, i singoli negozi speculativi di esecuzione del contratto di servizi non debbono necessariamente essere stipulati per iscritto” (Cass., sez. I, 19 maggio 2005, n. 10598, m. 580900). Ne consegue che la remunerazione dovuta dall’investitore va determinata di volta in volta, in relazione alla natura ed entità di ciascuna operazione, sulla base dei criteri indicati nel contratto quadro».
E l’oggetto del contratto per il quale necessita la forma scritta può essere considerato determinabile anche “per relationem”: «Nel caso in esame dunque il riferimento al prospetto delle spese e commissioni era certamente sufficiente a rendere determinabile l’oggetto del contratto, trattandosi appunto di criteri predeterminato, benché estrinseci».
Poi la Suprema Corte affronta alcuni passaggi “procedurali” che hanno influito sull’esito della decisione.
Dapprima precisa che la sola contestazione dei ricorrenti circa la mancata allegazione del prospetto richiamato nel contratto non esclude la comunicazione di tali informazioni mediante l’esposizione al pubblico: «I ricorrenti contestano che il prospetto richiamato fosse effettivamente allegato al contratto. Ma non contestano la deduzione della banca circa l’esposizione al pubblico di tali informazioni. Sicché, non essendo specificamente contestata, l’esistenza del prospetto non richiede specifica prova».
Poi dichiara inammissibili per difetto di specificità il quinto e sesto motivo di ricorso.
I ricorrenti avevano eccepito la nullità dell’operazione di investimento «in quanto eseguita nel vigore del sopravvenuto d.lgs. n. 58/1998 ma sulla base di un contratto quadro stipulato in conformità all’abrogata legge n. 1/1991 e non aggiornato con riferimento alla nuova disciplina, lamentando che i giudici del merito ne abbiano erroneamente escluso la rilevabilità d’ufficio».
Ma la Cassazione liquida così i due motivi: «I ricorrenti non precisano infatti quale sia la disposizione del sopravvenuto d.lgs. n. 58/1998 che risulti violata dal contratto quadro stipulato in conformità all’abrogata legge n. 1/1991. Si limitano i ricorrenti a dedurre che la Consob aveva prescritto l’aggiornamento dei contratti quadro e a indicare le principali differenze tra le due discipline succedutesi, ma senza specificare quale di tali differenze rilevi nel caso in esame e per quale ragione comporti la nullità del contratto controverso».
La Cassazione affronta congiuntamente i successivi quattro motivi di ricorso, in quanto miravano a censurare la decisione in appello sulla domanda di risoluzione dei contratti e del risarcimento dei danni, «per la dedotta violazione da parte della banca del dovere di informare gli investitori circa l’andamento dei titoli argentini negoziati».
La Corte di legittimità ritiene tutti i motivi infondati.
Premette che «nel caso in esame gli attori avevano richiesto la risoluzione del contratto quadro e del contratto di investimento relativo alle obbligazioni argentine, lamentando che, dopo la stipulazione dei contratti, la banca avesse violato gli obblighi di informazione da essi derivanti. E in realtà su tale domanda si sono in definitiva pronunciati i giudici d’appello, rigettandola nel merito».
Poi rileva che «gli attori sostengono in particolare che, benché avessero stipulato un contratto non di gestione ma di mera custodia e amministrazione dei titoli oggetto del contratto di negoziazione, la banca avrebbe dovuto comunque informarli dell’andamento dei titoli argentini e del conseguente rischio di default dello Stato emittente».
A questo punto la Cassazione chiarisce alcuni punti importanti: «non v’è dubbio alcuno che gli obblighi di diligenza e trasparenza, gravanti sull’intermediario a norma degli art. 21, d.lgs. n. 58 del 1998, e 28, coma 2, regolamento Consob n. 11522 del 1988, riguardino «anche il servizio di deposito titoli a custodia e amministrazione accessorio ad un contratto di negoziazione dei medesimi strumenti finanziari, sicché, una volta avvenuta la negoziazione, persiste in capo all’intermediario l’obbligo di «acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che questi siano sempre adeguatamente informati»; ma come ha chiarito la giurisprudenza di questa corte, quest’obbligo di informazione «non concerne genericamente l’andamento dei titoli, come specificamente stabilito dal menzionato art. 28 per i derivati e i “warrant” per il diverso rapporto di gestione titoli, ma dipendono unicamente da specifiche circostanze quali, ad esempio, la conoscenza, da parte della banca di notizie particolari e non riservate, o l’esito di analisi economiche, condotte dalla stessa banca, che l’obbligo di correttezza suggerisca di divulgare tra i clienti» (Cass., sez. I, 27 ottobre 2015, n. 21890, n. 637323)».
Esaminando il caso oggetto di ricorso, la Corte chiarisce che le prestazioni lamentate dai ricorrenti presuppongono un obbligo di consulenza basato su un contratto di gestione, e non un mero obbligo di informazione: «nel caso in esame è evidente che l’informazione di cui gli attori lamentano l’omissione non riguardava di certo notizie particolari, di cui la banca potesse risultare fonte esclusiva benché non riservata, ma riguardavano il notorio andamento sul mercato dei titoli argentini e il conseguente rischio di insolvenza. Sicché i ricorrenti presuppongono l’esistenza di un obbligo di consulenza, non di mera informazione, che avrebbe vincolato la banca solo nel caso in cui fosse stato stipulato un contratto di gestione».
Infine, il Collegio esamina l’ultimo motivo di ricorso che riguardava l’asserita esistenza di in conflitto di interessi della banca perché la negoziazione dei titoli argentini era stata effettuata in contropartita diretta: la Cassazione esclude che il conflitto di interessi possa essere determinato dal solo ricorso alla contropartita diretta, «essendo essa una delle modalità con le quali l’intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente (Cass., sez. I, 22 dicembre 2011, n. 28432, n. 620658)».
Da ultimo, benché il Collegio abbia rigettato il ricorso principale degli investitori, ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale della banca «perché non propone censure avverso la decisione impugnata, ma deduce solo ragioni di inammissibilità del ricorso principale».
Osservazioni.
L’esito della pronuncia della Cassazione risente anche di alcuni aspetti procedurali che hanno influito sull’esito della controversia.
Ciò nonostante il Collegio, richiamando alcune precedenti pronunce, riafferma la distinzione tra gli obblighi di consulenza e gli obblighi informativi, ricordando il perimetro di azione di questi ultimi.
La banca non è tenuta ad un obbligo generalizzato di informazione dopo la negoziazione, ma tale obbligo può sorgere in presenza dei presupposti previsti dalle disposizioni richiamate.
Disposizioni rilevanti.
DECRETO LEGISLATIVO 24 febbraio 1998, n. 58
Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria
Art. 21 – Criteri generali
1. Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati devono:
a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati;
b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;
c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti;
d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività.
1-bis. Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori, le Sim, le imprese di investimento extracomunitarie, le Sgr, le società di gestione armonizzate, gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del testo unico bancario, le banche italiane e quelle extracomunitarie:
a) adottano ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse che potrebbero insorgere con il cliente o fra clienti, e li gestiscono, anche adottando idonee misure organizzative, in modo da evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti;
b) informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse quando le misure adottate ai sensi della lettera a) non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato;
c) svolgono una gestione indipendente, sana e prudente e adottano misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.
2. Nello svolgimento dei servizi le imprese di investimento, le banche e le società di gestione del risparmio possono, previo consenso scritto, agire in nome proprio e per conto del cliente.