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NOTE MINIME INTORNO ALLA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE. Nota a Ordinanza della Corte di cassazione, sez. III, 6 luglio 2023, n. 19202. – QUOTIDIANO LEGALE
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NOTE MINIME INTORNO ALLA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE. Nota a Ordinanza della Corte di cassazione, sez. III, 6 luglio 2023, n. 19202.

NOTE MINIME INTORNO ALLA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE

Nota a Ordinanza della Corte di cassazione, sez. III, 6 luglio 2023, n. 19202; Pres. Graziosi, Rel. Gianniti

 

Micaela Lopinto 

 

 

Riassunto Con questo scritto si coglie l’occasione per ribadire un principio consolidato in materia di risarcibilità del danno da responsabilità precontrattuale.

Abstract The following paper aims at reaching the goal to underline one of the most important principles of law concerning the article 1337 of the Italian Civil Code.

SOMMARIO:  1. Introduzione; 2. Segue: i principi di diritto espressi dalla pronuncia; 3. Conclusioni. Testo Ordinanza

SUMMARY:  1. Introduction; 2. The principles of law of the Court of Cassation; 3. Conclusion. Full Text

 

  1. Introduzione.

La responsabilità precontrattuale, al di fuori del dibattito inerente alla sua natura giuridica, se autonoma, se contrattuale da contatto sociale o ancora extracontrattuale, mira a ristorare la “futura” parte contrattuale dei danni derivanti dal tempo perso in trattative improduttive ed inutili. Ragion per cui, una volta concluso il contratto, seppur a condizioni tali da rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 1440 cc., si tende a ritenere che questa sia “assorbita” dalla responsabilità contrattuale tout court, senza che, pur in prospettiva di inquadramento della responsabilità precontrattuale come forma di responsabilità contrattuale da contatto sociale, la stessa possa essere ancora considerata invocabile. Resta, dunque, da comprendere quali siano le poste risarcitorie effettivamente chiedibili in giudizio ai sensi dell’art. 1337 cc.

  1. Segue: i principi di diritto espressi dalla pronuncia.

Riprendendo alcuni orientamenti storici (cfr. n. 2973/1993), la Corte di cassazione ha ritenuto di dover ribadire un principio consolidato, che qui si riporta:

  1. Conclusioni.

L’ordinanza qui riportata non si presta a particolari considerazioni critiche, essendosi limitata a ribadire alcuni principi fondamentali che sorreggono il diritto civile dei contratti e delle obbligazioni. Si può pertanto affermare che la responsabilità precontrattuale, al di là di una significativa pronuncia del 2016 che l’aveva imbottigliata nelle maglie della responsabilità contrattuale da contatto sociale, sottraendola all’ambito operativo ed alle regole della responsabilità extracontrattuale, sotto il profilo dei criteri risarcitori applicabili, sembra esser rimasta tuttora invariata.

 

Testo Ordinanza/Full Text

Rilevato che:

1. Con sentenza n. 206 del 2022 la Corte di appello di Perugia, rigettando l’appello principale proposto da A. S., titolare di omonima ditta individuale, e rigettando l’appello incidentale proposto dagli originari convenuti, i coniugi P. B. e M. D., ha confermato la sentenza del giudice di primo grado che, dopo aver dichiarato il S. responsabile delle inadempienze precontrattuali per cui era causa, in accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dai convenuti, lo aveva condannato al risarcimento dei danni da loro subiti, quantificandoli danni in euro 21.000 oltre interessi di legge dal gennaio 2011 al saldo, previa compensazione delle somme reciprocamente dovute alla data del dicembre 2010 nella misura di euro 51.000, il tutto in relazione ad una trattativa per l’acquisto di un terreno edificabile sito in Cortaccione di Spoleto.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il S. Hanno resistito con controricorso i coniugi B. e D. Il ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che:

1. Il ricorso è affidato a quattro motivi.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e comunque per motivazione apparente per non avere la corte territoriale proceduto a verificare se la ricostruzione effettuata dal giudice di primo grado fosse stata conforme o meno alle risultanze processuali, limitandosi invece a richiamare la motivazione del giudice di primo grado senza alcun esame critico in base ai motivi di gravame, così incorrendo in una erronea ricognizione della fattispecie concreta in ragione anche dell’erronea percezione delle risultanze di causa. Si sostiene che la corte territoriale è incorsa nello stesso errore del giudice di primo grado nella parte in cui ha ritenuto come fatto storico che “un preliminare” sarebbe stato inviato dai coniugi con email del 12 ottobre 2010, mentre questa era costituita esclusivamente da un foglio senza alcun allegato, nonché nella parte in cui ha ritenuto che il S., dopo aver ricevuto il suddetto (inesistente) “preliminare”, aveva pagato in data 20 dicembre 2010 l’ultima tranche della somma di euro 51.000, traendo da ciò la presunzione secondo la quale il S. avrebbe con ciò approvato il suddetto inesistente preliminare.

Invece le trattative si erano interrotte sia per la determinazione della somma da pagarsi (euro 51.000 o 55.000) sia per la determinazione di quando stipulare l’atto pubblico di trasferimento (se subito a semplice richiesta, come voleva il S., ovvero a lavori ultimati e collaudo positivo avvenuto, come volevano i coniugi).

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo e controverso nella parte in cui la corte territoriale non avrebbe considerato che:

a) alla email del 12 ottobre 2010 non era allegato alcun preliminare;

b) l’unico preliminare inviato dai coniugi era quello allegato a email del 22 marzo 2012;

c) il momento in cui si sarebbe dovuto stipulare l’atto e la differenza della somma pretesa (e non un mero suo ripensamento) non avevano consentito la conclusione della trattativa;

d) il S. non aveva disconosciuto la dichiarazione sostitutiva di notorietà del 30 gennaio 2012 (peraltro non recante la firma dell’addetto a ricevere la predetta dichiarazione e neppure la firma del dichiarante), ma ciò non significava che ne abbia riconosciuto la data (che era scritta con una diversa grafia e che era posteriore al conferimento dell’incarico da parte dei coniugi D. e B. alla ditta che avrebbe dovuto svolgere i lavori, già a lui affidati in appalto);

e) i coniugi B. e D., nel mentre trattavano con lui e ricevevano da lui la somma di euro 51.000, avevano conferito i lavori in appalto ad altra ditta ed offerto in vendita ad altro soggetto il terreno edificabile.

Si sostiene che detti fatti storici, se debitamente esaminati, avrebbero condotto al rigetto della domanda riconvenzionale proposta dai coniugi e conseguentemente all’accoglimento della domanda di restituzione della somma di euro 51.000, pagata ai suddetti.

1.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e comunque per motivazione apparente nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di elementi, sulla base dei quali si era formato l’affidamento dei coniugi alla conclusione del contratto, ed ha posto a giustificazione del recesso la presunta attribuzione dei lavori a ditta terza in sostituzione della ditta S. prima della interruzione dei lavori.

Si lamenta che la corte territoriale, anziché porsi il problema dell’attendibilità e della credibilità oggettiva e soggettiva dei testi escussi, da considerarsi in uno alla documentazione acquisita, avrebbe omesso di esaminare le censure svolte nell’atto di appello, limitandosi ad un richiamo per relationem alla sentenza di primo grado.

1.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia falsa applicazione degli artt. 1337 e 1223 c.c. nella parte in cui la corte territoriale ha confermato la determinazione del danno da pretesa responsabilità precontrattuale, già effettuata in primo grado in euro 72.000 complessivi.

Si lamenta che entrambi i giudici di merito, pur affermando di liquidare il danno nei limiti del c.d. interesse negativo (spese inutilmente sopportate e perdita di ulteriori occasioni), avrebbero poi proceduto alla sua liquidazione come se lo stesso fosse correlabile all’interesse positivo e, quindi, comprendesse anche il lucro cessante, come accade in caso di inadempimento contrattuale.

2. Nella sentenza impugnata la corte territoriale preliminarmente dà atto che contro la sentenza di primo grado il S. aveva proposto appello, lamentando che:

a) il giudice di primo grado aveva ricostruito i fatti in maniera non conforme ai documenti ed alle prove orali;

b) aveva applicato a suo danno l’art. 1337 c.c.., in difetto dei presupposti;

c) aveva determinato il danno da pretesa responsabilità precontrattuale nella misura di euro 72.000 senza tener conto del reale accadimento dei fatti.

Ciò posto, la corte territoriale, quanto al primo ed al secondo motivo del gravame, ha spiegato le ragioni per le quali le parti, nel corso delle trattative, pur non avendo raggiunto la sottoscrizione di un preliminare, avevano raggiunto un reciproco significativo affidamento per la conclusione dell’accordo, suffragato dalla significativa entità dell’acconto versato (che rappresentava circa un terzo dell’intero importo della compravendita che si voleva realizzare); ha dato atto che era stata prospettata per la prima volta in appello la tesi secondo cui la interruzione delle trattative era stata giustificata da divergenze tra le proposte scambiate ed ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto che la ditta S. aveva ingiustificatamente interrotto le trattative. Quanto poi al terzo motivo d’appello, concernente il quantum debeatur, la corte territoriale ha confermato la quantificazione che dell’interesse negativo era stata riconosciuta dal primo giudice.

3. I primi tre motivi – che in quanto tutti relativi all’an debeatur ed attinenti all’impianto motivazionale della sentenza impugnata – sono qui trattati congiuntamente – sono infondati.

In primo luogo, per il secondo motivo occorre osservare che, in caso di doppia conforme, è preclusa la possibilità di proporre in sede di legittimità la censura di omesso esame di fatti decisivi e controversi (alla quale sono riconducibili le censure in concreto mosse con i motivi in esame), salvo che il ricorrente non indichi le ragioni di fatto poste a base rispettivamente della sentenza di primo e di secondo grado, dimostrando che esse sono tra di loro diverse. Orbene, nel caso di specie, ricorre proprio la violazione dell’art. 348 ter, ult. co. c.p.c., avendo la corte territoriale rigettato il gravame proposto dagli odierni ricorrenti per le stesse ragioni già indicate dal giudice di primo grado.

Riguardo poi all’effettivo contenuto di tutti i tre motivi, a prescindere anche da quel che si è appena evidenziato per il secondo, devesi osservare che la corte territoriale, ad esito della valutazione dell’acquisita documentazione e delle circostanze riferite dai testi escussi, ha ritenuto, con evidente valutazione in fatto, e quindi non sindacabile in questa sede:

da un lato, che “nel corso delle trattative, pur non avendo raggiunto la sottoscrizione di un preliminare, tra le parti si era costituito un significativo affidamento per la conclusione dell’accordo, suffragato dalla significativa entità dell’acconto versato che rappresenta quasi un terzo dell’intero importo complessivo della compravendita che si voleva realizzare”;

e, dall’altro, che non era risultato provato che l’interruzione delle trattative fosse stata giustificata “da divergenza tra le proposte scambiate”.

E’ evidente che il ricorrente inammissibilmente sollecita una nuova valutazione del materiale probatorio, preclusa in questa sede. Né è sostenibile una carenza motivazionale – primo e terzo motivo – giacché il giudice d’appello ha raggiunto con evidenza il minimo costituzionalmente necessario, e quindi non è incorso nella violazione della corrispondente norma codicistica.

3. Non merita accoglimento neppure il quarto motivo. Nella impugnata sentenza, la Corte Territoriale – dopo aver rilevato che dall’espletata attività istruttoria era risultato provato, nel periodo della trattativa (da cui era receduto il S.), i convenuti appellati avevano ricevuto altre offerte per prezzo vicino a quello su cui si articolava la trattativa tra le parti – ha ritenuto: “Nella determinazione dell’interesse negativo da risarcire, che può essere liquidato anche in via equitativa, sono emersi dei criteri obiettivi che consentono di individuare la perdita in rapporto alle concrete occasioni per la stipulazione con altri”.

Tanto affermando, la corte territoriale si è attenuta al principio di diritto ormai da tempo affermato da questa Suprema Corte (cfr. n. 2973/1993), secondo il quale “la responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 cod. civ., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 cod. civ., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse” (sulla stessa linea Cass. 15172/2003 e Cass. 4718/2016); e si è altresì affermato che il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale consiste “nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate … sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte” (così, ex multis, Cass. 19883/2005; cfr. pure la più recente Cass. 24625/2015). La corte territoriale fornisce dunque una impostazione di diritto corretta; la concretizzazione, in termini fattuali, dell’interesse negativo in cui poi si inoltra presenta peraltro anche argomentazioni non agevolmente comprensibili, ma non è stato denunciato il vizio motivazionale, bensì la violazione, assente come si è visto, della impostazione giuridica della identificazione del danno risarcibile, riferendosi ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., a falsa applicazione degli artt. 1337 e 1223 c.c.

4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali liquidate come in dispositivo, compensandole di un quarto per la effettiva criticità (come si è detto, non correttamente denunciata peraltro) della sentenza impugnata in ordine alla determinazione risarcitoria. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

compensa tra le parti nella misura di un quarto le spese processuali e condanna parte ricorrente al pagamento dei residui tre quarti, che liquida in euro 1.650 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 7 giugno 2023

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Bibliografia Essenziale

 

 

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