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Mercato interno del riso: approvato dal Consiglio dei Ministri lo schema di decreto legislativo

Dopo l’annuncio da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (“MIPAAF”) della predisposizione del decreto in materia di indicazione dell’origine del riso in etichetta[1], il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 9 giugno 2017, ha approvato in esame preliminare lo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni concernenti il mercato interno del riso, in attuazione dell’articolo 31 della legge 28 luglio 2016, n. 154”, volto ad innovare la normativa nazionale di cui alla Legge 18 marzo 1958, n. 325 (“Legge 325/58”).

Tale provvedimento è stato altresì notificato il 25 maggio 2017 ai sensi della Direttiva UE n. 1535/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, secondo cui gli Stati membri devono informare la Commissione di qualsiasi progetto di regola tecnica (incluso il testo di una “specificazione tecnica”[2]) prima della sua adozione (art. 5). A partire dalla data di notifica, un periodo di status quo di tre mesi – durante il quale lo Stato membro notificante non può adottare la regolamentazione in questione (art. 6) – consente alla Commissione e agli altri Stati membri di esaminare il testo notificato.

Da ultimo, nella seduta del 28 luglio 2017, il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo in esame definitivo.

 

Cenni sulla normativa nazionale attuale

L’art. 1 della Legge 325/58 stabilisce che il nome di riso “è riservato al prodotto ottenuto dalla lavorazione del risone con completa asportazione della lolla e successiva operazione di raffinatura”.

È altresì consentito l’utilizzo del nome riso per il prodotto al quale sia stata comunque asportata la lolla, “purché sia accompagnato dalla indicazione relativa alla diversa lavorazione o al particolare trattamento subito dal risone, quali riso integrale, riso parboiled, riso soffiato”. La violazione delle predette disposizioni è punita con la sanzione amministrativa fino a circa 1.300 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato; nei casi più gravi, ed in quello di recidiva, si applica anche l’interdizione dall’esercizio del commercio e dell’attività industriale da trenta giorni ad un anno (art. 11).

Inoltre, ai sensi dell’art. 2, c. 1, le denominazioni di vendita sono indicate in “comune o originario”, “semifino”, “fino” e “superfino”.

La Legge 325/58 prevede altresì che le diverse varietà di riso greggio coltivato possano essere vendute, una volta effettuata la trasformazione in riso commestibile, secondo la denominazione prevista ogni anno con un apposito decreto del MIPAAF di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico (art. 2, commi 2, 3 e 4)[3].

Ai sensi degli articoli 12, 13 e 14 della Legge 325/58, è punita, inter alia, la messa in vendita di riso “scondizionato o alterato o comunque tale da non essere atto all’alimentazione umana”, nonché l’omessa o non corretta indicazione della dicitura “non atto all’alimentazione umana” sui cartellini e sugli involucri, qualora necessaria.

Si noti che la messa in vendita di riso scondizionato o alterato o comunque tale da non essere atto all’alimentazione umana è punito con una sanzione amministrativa fino a circa euro 2.500 e l’interdizione dall’esercizio del commercio e dell’attività industriale da trenta giorni ad un anno, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

E’ altresì punita (art. 14, c. 1) con una sanzione amministrativa fino a circa euro 500 la omessa indicazione sulle confezioni di riso del gruppo di appartenenza e varietà di cui all’art. 5; questo dispone, tra l’altro, che – qualora il riso sia posto in vendita preconfezionato in imballaggi chiusi all’origine – in aggiunta alle indicazioni previste dalle norme in materia di etichettatura, sulle confezioni deve essere indicata la varietà e può essere indicato il gruppo di appartenenza; le varietà di riso non comprese fra quelle indicate nel decreto previsto dall’art. 2, devono essere poste in vendita come appartenenti al gruppo comune o originario.

 

Sintesi del provvedimento

Il provvedimento – nella versione pubblicata sul sito della Camera dei Deputati[4] – è costituito da 16 articoli e 5 allegati.
L’art. 1 (“Ambito di applicazione”) chiarisce che il provvedimento si applica al prodotto ottenuto dal riso greggio (definito all’art. 2, c. 1, lett. a, come “il seme della pianta di riso (Oryza sativa, L.) ancora rivestito dalle glumelle denominate «lolla»”) destinato al consumatore finale e venduto o posto in vendita o comunque immesso al consumo sul territorio nazionale per l’alimentazione umana. Non si applica invece al prodotto tutelato da un sistema di qualità riconosciuto nell’Unione europea, né al prodotto destinato ad essere commercializzato in altri Paesi.

L’art. 3 (“Classificazione del riso e denominazioni dell’alimento”) disciplina la classificazione del riso (ossia “il prodotto ottenuto dalla lavorazione del riso greggio con completa asportazione della lolla e successiva parziale o completa asportazione del pericarpo e del germe”, secondo quanto previsto dall’art. 2, c. 1, lett. c); anche ai fini della denominazione dell’alimento, esso individua – in linea con quanto previsto dall’Allegato II, Parte I del  Regolamento UE n. 1308/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 (recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli) – i seguenti quattro gruppi:

  1. a) riso a grani tondi ovvero riso tondo ovvero riso Originario;
  2. b) riso a grani medi ovvero riso medio;
  3. c) riso a grani lunghi A ovvero riso lungo A;
  4. d) riso a grani lunghi B ovvero riso lungo B.

La denominazione dell’alimento è costituita dal nome di uno dei suindicati gruppi; può essere accompagnata dal nome di tutte le varietà di riso greggio, elencate e descritte nel registro di cui all’articolo 6, da cui il riso è ottenuto, che non siano le varietà tradizionali di cui all’articolo 5, comma 2.

Ai sensi dell’art. 3, c. 5, “sulla confezione è consentito l’utilizzo di nomi di fantasia ed è consentito indicare che il prodotto possiede particolari caratteristiche, purché tali indicazioni non siano in contrasto con la denominazione dell’alimento e non inducano in errore il consumatore sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione del prodotto, ai sensi degli articoli 7 e 36 del regolamento (UE) 1169/2011 del25 ottobre2011”.

Inoltre, nella denominazione dell’alimento devono figurare l’indicazione “semilavorato” o “integrale” o “semigreggio” (se la lavorazione subita è diversa da quella indicata al suindicato art. 2, c. 1, lettera c) ed il particolare trattamento subito. L’art. 3, c. 4 dispone che “i nomi delle varietà di riso greggio non possono essere utilizzati sulla confezione se non figurano anche nella denominazione dell’alimento”.

L’art. 4 (“Disposizioni a garanzia della qualità del riso posto in vendita o immesso al consumo”) sottolinea che la denominazione “riso” può essere utilizzata solo per il prodotto di cui all’art. 2, c. 1, lett. c, nonché per il riso semigreggio (o integrale), definito all’art. 2, c. 1 lett. c come “il prodotto ottenuto dalla sbramatura del riso greggio con completa asportazione della lolla. Il processo di sbramatura può dare luogo a scalfitture del pericarpo”.

Ai sensi dell’art. 4, c. 2, è vietato vendere, porre in vendita o comunque immettere al consumo, per l’alimentazione umana e con il nome “riso”, un prodotto non rispondente alle caratteristiche qualitative di cui all’Allegato 4.

L’art. 5 (“Varietà tradizionali”) individua tra l’altro, con il richiamo all’Allegato 2, le denominazioni dell’alimento con riferimento alle varietà di riso tipiche italiane; l’art. 6 (“Registro varietale”) istituisce un registro, gestito dall’Ente Nazionale Risi, in cui sono elencate e descritte varietà tradizionali.

Ai sensi dell’art. 7 (“Utilizzo di marchi collettivi”), per il riso che beneficia dell’uso di marchi collettivi è stabilita la possibilità di riportare sulla confezione anche le indicazioni previste nei relativi regolamenti d’uso.

L’art. 9 (“Sanzioni”), facendo salva la possibilità che il fatto sia previsto come reato, prevede sanzioni amministrative pecuniarie per le seguenti violazioni:

  1. a) violazione delle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 4 (fino a 3.500 euro);
  2. b) violazione delle disposizioni di cui all’articolo 4, comma 2 (fino a 5.000 euro);
  3. c) violazione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 2, 3, 4 e 5 (fino a 5.000 euro).

Inoltre, l’utilizzo – nella designazione e presentazione del prodotto – di segni raffiguranti marchi anche collettivi che possono indurre in errore il consumatore circa l’origine e la qualità merceologica del riso è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 8.000 euro.

Secondo l’art. 10 (“Autorità competente”), l’autorità competente all’irrogazione delle predette sanzioni è il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, del MIPAAF.

L’art. 10, c. 2 precisa che, per l’accertamento delle violazioni e l’irrogazione delle suindicate sanzioni, si applicano le disposizioni di cui alla Legge 24 novembre 1981, n. 689 (“L. 689/91”) nonché, ove ne ricorrano i presupposti, le disposizioni dell’art. 1, c. 3 e 4, del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91 (convertito, con modificazioni, dall’art. 1, c. 1, della Legge 11 agosto 2014, n. 116) – “D. L. 91/14”. L’art. 1, c. 3 del D. L. 91/14 prevede che, per le violazioni alle norme in materia agroalimentare per le quali è prevista l’applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, “l’organo di controllo incaricato, nel caso in cui accerta per la prima volta l’esistenza di violazioni sanabili, diffida l’interessato ad adempiere alle prescrizioni violate entro il termine di venti giorni dalla data di ricezione dell’atto di diffida e ad elidere le conseguenze dannose o pericolose dell’illecito amministrativo”. Secondo la lettera della disposizione, per “violazioni sanabili” si intendono “errori e omissioni formali che comportano una mera operazione di regolarizzazione ovvero violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono eliminabili”. In caso di mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute nella predetta diffida entro il termine indicato, l’organo di controllo procede ad effettuare la contestazione, ai sensi dell’articolo 14 della L. 689/91, con esclusione dell’applicazione dell’art. 16 della L. 689/91 (ossia il pagamento in misura ridotta).

Inoltre, ai sensi dell’art. 1, c. 4 del D. L. 91/14, per le violazioni alle norme in materia agroalimentare per le quali è prevista l’applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, se già consentito il pagamento in misura ridotta, la somma – determinata ai sensi dell’art. 16 della L. 689/91 – è ridotta del trenta per cento se il pagamento è effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione.

Secondo l’art. 12 (“Clausola di mutuo riconoscimento”), in particolare, il provvedimento non si applica ai prodotti alimentari legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione europea o in Turchia né ai prodotti legalmente fabbricati in uno Stato dell’EFTA (“European Free Trade Association”), parte contraente dell’accordo sullo Spazio economico europeo (“SEE”).

L’art. 13 (“Disposizioni transitorie”) consente il confezionamento in conformità alle disposizioni della Legge 325/85 nel periodo anteriore alla sua abrogazione; il riso così confezionato può essere venduto fino all’esaurimento delle scorte.

L’art. 14 (“Modifiche degli allegati”) prevede la possibilità di modificare gli allegati tecnici con decreto del MIPAAF, acquisiti i pareri del Ministero dello Sviluppo Economico e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

Infine, l’art. 15 (“Abrogazioni”) dispone l’abrogazione della Legge 325/85 al compimento di un anno dalla data di entrata in vigore del nuovo decreto.

 

 

[1] Si vedano a tal proposito i seguenti siti internet: https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11196; http://www.unionalimentari.com/website/law.aspx?id=3272. Tale annuncio è stato poi seguito, più recentemente, da un nuovo comunicato, secondo cui il 20 luglio 2017 i Ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda hanno firmato due decreti interministeriali per introdurre l’obbligo di indicazione dell’origine del riso e del grano per la pasta in etichetta: https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11502.

[2] L’art. 1, par. 1, lett. c della Direttiva definisce “specificazione tecnica” una “specificazione che figura in un documento che definisce le caratteristiche richieste di un prodotto, quali i livelli di qualità o di proprietà di utilizzazione, la sicurezza, le dimensioni, comprese le prescrizioni applicabili al prodotto per quanto riguarda la denominazione di vendita, la terminologia, i simboli, le prove ed i metodi di prova, l’imballaggio, la marcatura e l’etichettatura, nonché le procedure di valutazione della conformità.

Il termine «specificazione tecnica» comprende anche i metodi e i procedimenti di produzione relativi ai prodotti agricoli ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 1, secondo comma, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), ai prodotti destinati all’alimentazione umana e animale, nonché ai medicinali definiti all’articolo 1 della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, così come i metodi e i procedimenti di produzione relativi agli altri prodotti, quando abbiano un’incidenza sulle caratteristiche di questi ultimi”.

 

[3] All’indirizzo http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario;jsessionid=nnUNOwlH0mhkC2hsIkvLTQ__.ntc-as3-guri2a?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-11-24&atto.codiceRedazionale=16A08223&elenco30giorni=false si può consultare il Decreto 30 settembre 2016 recante “Denominazione delle varietà di risone e delle corrispondenti varietà di riso per l’annata agraria 2016/2017”.

[4] Consultabile all’indirizzo http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/attigoverno/Schedalavori/getTesto.ashx?file=0425.pdf&leg=XVII#pagemode=none.

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