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MEMORIE SULLA CORTE DEI CONTI REGIONALE.

( 1986-2012)

Sergio Benedetto Sabetta

La recente pandemia non ha che evidenziato, accelerandole, le dinamiche già in atto, mostrando una ulteriore confusione istituzionale e le debolezze del sistema Italia, come del resto ha scoperto forza e debolezza degli altri Stati.

Uno scollamento interno all’Italia tra area padana ed il resto della penisola, in cui il Nord viene sempre più a ricollegarsi all’area carolingia franco-tedesca, divenendone il suo Sud con un progressivo inserimento nella sua filiera produttiva, perdendo il vantato primato morale.

La chiusura totale dell’Italia, non per aree geografiche differenziate secondo i focolai manifestatisi e senza controllo parlamentare, ha provocato in tre mesi un indebolimento economico pari ad una sconfitta e la difficoltà della ripresa, coperto il tutto da annunci.

Sono così emerse le solite difficoltà del sistema Italia, con debolezze e virtù, situazioni che vengono da lontano e in cui si rispecchia il percorso sotto descritto.

Nel dicembre del 1986 entrai a seguito di concorso, quale vice direttore di revisione, nella Delegazione di Genova della Corte dei conti, l’attività era impostata sul controllo di legittimità e vi era in atto un momento di passaggio dalla vecchia carriera gerarchica, impostata sulla rigida divisione tra carriere ausiliaria, esecutiva, di concetto e direttiva, alle qualifiche funzionali della legge 11/7/1980, n. 312.

La carriera direttiva, una volta compatta sul modello della gerarchia militare, tanto da essere comparata a quella degli ufficiali, in cui l’accesso avveniva prevalentemente per concorso conseguita la laurea, tranne alcune quote riservate con anzianità alla sottostante carriera di concetto per diplomati, venne indebolita dall’istituzione della dirigenza negli anni settanta che ne staccò i vertici, permettendo una maggiore influenza politica attraverso gli incarichi e le nomine.

Era già fallita l’istituzione della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione quale unica fonte di reclutamento e formazione per un corpo unico di funzionari direttivi dello Stato, sul modello dell’ENA proprio dello Stato francese, a cui lo Stato italiano tendeva quale modello organizzativo con le Prefetture, le Intendenze, il Consiglio di Stato e la stessa Corte dei conti.

Cause del fallimento erano state da una parte le gelosie delle Amministrazioni che non intendevano cedere il controllo sul reclutamento, dall’altra il venire meno della possibilità per i politici di lottizzare o influenzare le nomine, circostanze che influirono anche in parte nei concorsi della Corte.

La Delegazione era incentrata sul controllo di legittimità, più confacente alla preparazione giuridica dei magistrati e del personale amministrativo, i settori più curati erano le Opere Pubbliche dove vi erano gli appalti, l’Università e le Prefetture per il prestigio, mentre del tutto secondari le rendicontazioni e le altre Amministrazioni utili per la statistica.

L’Università costituiva un laboratorio per l’applicazione delle nuove forme organizzative, in particolare il modello a qualifica funzionale, apparvero immediatamente le possibili distorsioni che l’inquadramento per mansioni, previsto dall’art. 85, L. 312/80, poteva condurre.

Tutte le delibere della Sezione Controllo Stato di rigetto relativi agli inquadramenti per illegittimità furono sanate da un successivo intervento normativo del Parlamento, portando ad uno svuotamento morale della Corte a favore di una maggiore aderenza al potere politico-amministrativo, d’altronde vi era il pericolo per gli incarichi.

Si giunse all’inquadramento nel 1989, ai sensi dell’art. 4, 8°comma L. n.312/80, per qualifiche funzionali con lo slittamento generalizzato di una posizione. Si mantenne tuttavia ancora per tutti gli anni ’90, nonostante i ricorsi al TAR, la distinzione tra carriere, anche quale memoria storica e resistenza posta dal sindacato dei Dirigenti e Direttivi dello Stato (DIRSTAT) al sovrapporsi delle carriere, particolarmente rilevante per la gestione degli uffici e l’accesso ai concorsi di magistratura amministrativa.

Negli anni ’90 il crescente debito pubblico, con il venire meno della copertura politica internazionale al seguito del crollo della cortina di ferro per la dissoluzione del blocco orientale e con l’esplodere di tangentopoli, condusse ad una crisi finanziaria che nel delegittimare la classe politica fece emergere nuove formazioni politiche e diede via a profonde riforme organizzative.

La Corte fu investita dalle leggi n. 19/94 e n.20/94 che soppressero il controllo di legittimità a favore del controllo di gestione e decentrarono le Procure e le Sezioni Giurisdizionali verso cui vi fu una migrazione dei magistrati essendo diventate il fulcro della Corte in periferia e non essendo chiaro che cosa dovesse essere il controllo.

La Delegazione fu paralizzata per un quinquennio, svuotata di magistrati e personale, quelli che restarono non avevano idea delle modalità del controllo di gestione e discettavano su un possibile controllo di secondo grado “sulla gestione”, con tentativi più o meno riusciti!

Furono organizzati corsi e riunioni, sia presso la sede centrale a Roma che presso la SSPA e il Formez, in questo blocco a Genova si organizzarono volontariamente forme di accertamento diretto presso le Amministrazioni. Chiesi ed ottenni, essendo già applicato al controllo sull’Università, un mandato per il controllo diretto sugli esercizi finanziari e contabili nonché sulla gestione dell’Università degli Studi di Genova.

Questo mi permise di verificare di persona una lenta attività sia del Rettorato che dei Dipartimenti, con un accesso quotidiano e la stesura di verbali di verifica e contraddittorio, da dove emergevano dagli aspetti puramente amministrativi e contabili anche le tensioni, conflitti interni e mancanze gestionali.

Questa tipologia di attività comportava una preparazione costante e un continuo rapportarsi, lontano dagli uffici e dagli accadimenti interni, con il rischio di perdere l’aggancio alle cordate giuste.

Per uscire dal blocco, determinato anche dal conflitto tra magistrati, Roma organizzò un blitz e nell’estate del 1999 diede vita ai Collegi regionali, smembrando ulteriormente le Delegazioni, e nominando dei nuovi Presidenti con competenze sulle Regioni sottratte alle già scarse competenze delle Delegazioni, che in un paio di anni andarono ad esaurirsi.

Dalle macerie delle stesse, sciolti i Collegi regionali, nacquero nel 2001 le Sezioni regionali del controllo che raccolsero le competenze dei due uffici e a cui fu assegnata la vigilanza sul “Patto di stabilità”, nato a seguito dell’introduzione della nuova moneta dell’Euro.

La Corte tuttavia mancava in periferia delle competenze necessarie e quindi si pensò di ricorrere alla mobilità pescando sia presso ex aziende pubbliche che presso gli enti comunali e le regioni, ossia su quegli stessi enti che si sarebbero dovuti controllare, nella speranza di un passaggio di competenze, vi fu di fatto un cortocircuito, mancando tra l’altro l’apporto della Ragioneria Generale dello Stato che avrebbe potuto fungere da filtro.

In questi frangenti vi fu, al volgere del secolo, la privatizzazione dei rapporti pubblici di lavoro ad opera delle riforme Bassanini, con l’introduzione dei Contratti Nazionali del Lavoro i quali crearono le aree A, B e C, rifacendosi in parte ai vecchi schemi delle carriere, con all’interno le posizioni economiche e i passaggi tra una posizione e l’altra per concorso interno (CCNL 16/2/1999 e CCNL 21/2/2001).

Nella ricerca di una flessibilità nell’organizzazione pubblica si venne a contrattualizzare, non solo l’aspetto economico ma anche organizzativo, coinvolgendo direttamente le Organizzazioni Sindacali, con conseguenze non sempre limpide.

A questo si deve aggiungere una continua influenza politica sul controllo, favorita sia dall’eccessiva vicinanza con il potere politico a livello locale che dalla qualità magistratuale, basti pensare alle carriere accelerate con il dimezzamento dei tempi del “2 + 2” già avvenute alla fine degli anni ’80 a seguito di leggi concordate con l’allora classe politica.

Mancò, quindi, quel salto di qualità che permettesse al Controllo di trasformarsi da una impronta puramente giuridica e ragionieristica in un elemento di studio e indirizzo gestionale venne pertanto a perdersi la capacità d’innovazione e di contraddittorio, con una prevalente funzione di denuncia alla Procura.

Il passaggio delle funzioni organizzative sul personale dai magistrati direttori ai dirigenti e ai preposti, funzionari addetti, in mancanza di una chiara scala gerarchica, ma solo per presunte non chiare capacità creò ulteriori tensioni, aggravate da una continua riorganizzazione facilitata dai persistenti interventi governativi.

Vi fu un tentativo, con il D. Lgs.vo 165/2001 e la L. n. 145/2002, presentato da una parte politica e sindacale come clientelare, di creare una vice-dirigenza assimilabile nel privato ai quadri, come serbatoio e scuola di formazione da cui trarre la futura dirigenza statale, progetto che le resistenze sindacali di alcune sigle non riuscì a causa della mancata emanazione delle direttive necessarie da parte della Funzione Pubblica, essendo venuti meno gli accordi preliminari.

Un ulteriore passaggio avvenne con il CCNL 14/9/2007 che introdusse le fasce per aree, vennero definitivamente a perdersi i riferimenti alle precedenti strutture gerarchiche, si creò una organizzazione per obiettivi, in cui gli obiettivi venivano in molti casi individuati non per necessità reali per mera utilità personale.

Continuò il travaso di personale dagli enti locali, comuni, regioni e dalle disciolte province, personale assunto in eccedenza e trasferito per mobilità, senza una chiara pianificazione ma per interventi del tutto personali, che portandosi dietro qualifiche e anzianità diverse crearono ulteriori occasioni di confusione e scontro.

In questo caos organizzativo a livello di personale amministrativo si introdusse nel 2011 un ulteriore riforma che fu il SAUR (Servizio Amministrativo Unico Regionale), il quale doveva riunire le funzioni amministrative disperse fra i tre uffici, coordinare i preposti, evitando le lotte che si erano manifestate, occasione per esaurire una vecchia graduatoria dirigenziale del 2006, accontentando così tutti gli interessati.

Permaneva tuttavia la mancanza di una vera formazione del controllo che lo facesse evolvere verso una capacità di analisi economico-gestionale, questo anche per le resistenze opposte dalla magistratura contabile che, di formazione giuridica, temeva di perdere la presa sul controllo introducendo massicciamente nuove figure di preparazione economicistica.

Anche relativamente all’insieme del personale e alla mobilità che si era creata, si era rimasti sensibili alle varie possibili pressioni, e agli eventuali benefici, piuttosto che ad una adeguata formazione.

Si sostiene che questi comportamenti siano piuttosto comuni sotto le varie latitudini, ma la selezione del personale è uno degli aspetti più rilevanti se si vogliono ottenere strutture organizzative che, uscendo dalla visione familistica e clientelare, possa acquisire la necessaria efficienza tanto decantata nell’attuale competizione economica-internazionale, in cui uno dei pilastri è dato dall’efficienza delle strutture pubbliche.

Dobbiamo ricordare che l’élite autoritaria cinese nel 2019 preparava nelle maggiori università americane oltre 360.000 studenti, questo in un clima di una nuova incipiente guerra fredda.

Purtroppo noi scontiamo ancora il lungo periodo di decadenza degli ultimi decenni del novecento, quando molte riforme pur necessarie furono utilizzate per soli fini di carriera, in una perdita del senso pubblico, uno scadimento che seguiva la decadenza della stessa classe politica impegnata nel solo quotidiano replicare di se stessa, espressione di una mancanza civica diffusa, problematiche che si sono manifestate anche nella recente pandemia.

NOTE

Guido Crainz, Storia della Repubblica, Donzelli Ed. 2016, pag. 351:

Una disgregazione che si è intrecciata a quella dei partiti tradizionali e ha aperto la strada a un nuovo ceto sociale, sempre più attivo nel campo stesso della politica: “privo assolutamente di cultura e di valori, ignaro di progetto”, famelico nel cercare visibilità e influenza. (A. Asor Rosa, La scomparsa del popolo, in “La repubblica”, 2 ottobre 2012). Ha aperto la strada, anche, al moltiplicarsi di sovrapposizioni e conflitti : “sembra che tutti abbiano deciso di mettersi a giocare con le istituzioni, chi facendo appello al popolo, chi debordando dal suo compito, chi dimenticando le regole, chi cercando delle corti di giustizia quel che solo il Parlamento può dare, chi dando voce agli interessi più disparati a danno dell’equilibrio di bilancio. E’ una specie di “rompete le righe”[…] che richiede una riflessione sullo stato delle nostre istituzioni” e fa rimpiangere le nostre regole perdute (Sabino Cassese, Corriere della Sera, 30 ottobre 2015).”

Bibliografia

  • Massimo L. Salvadori, Storia d’Italia e crisi di regime, Il Mulino 1994;

  • A. Schiavone, Italiani senza Italia. Storia e identità, Einaudi 1998;

  • A. Rizzo, L’Italia in Europa tra Maastricht e l’Africa, Laterza 1996;

  • B. Dante, In un diverso Stato, Il Mulino 1995;

  • S. Cassese, C. Franchini, I garanti delle regole, Il Mulino 1996.

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