di Fulvio Conti Guglia. Può configurarsi nella mancata esecuzione dell’ordine di demolizione il reato di abuso di ufficio, ex art. 323 c.p., a carico del Dirigente dell’ufficio preposto al Servizio Controllo del Territorio, del responsabile del procedimento, dei firmatari in genere dell’ordinanza, ingegneri e altri eventuali che per legge sono tenuti ad attivare le procedure per la demolizione del manufatto abusivo, (per es. Sindaco, Ass. all’Urbanistica in qualità di controllori e garanti del buon andamento della Pubblica Amministrazione).
Così, nel corso del tempo, la configurazione normativa dell’interesse tutelato dalla disciplina urbanistica è venuta a mutare: dall’entrata in vigore della legge 6.8.1967, n. 765, introduttiva tra l’altro degli standards urbanistici e della salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio, all’art. 80 del D.P.R. n. 616/1977 ed alla successiva normativa (tra cui la legge 8.8.1985, n. 431), secondo la quale l’urbanistica non può farsi solo consistere nella disciplina dell’attività edilizia, dovendosi la relativa nozione estendere alla disciplina degli usi del territorio in senso sociale, economico e culturale, ivi compresa la valorizzazione delle risorse ambientali, nonché alle relazioni che devono instaurarsi tra gli elementi del territorio e non soltanto dell’abitato.
Tra l’altro questa stessa concezione dei beni giuridici tutelati dalle incriminazioni degli illeciti urbanistici ha condotto le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione ad affermare che “la sanzione della demolizione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e, quindi, si riconnette all’interesse sotteso all’esercizio stesso dell’azione penale: che pertanto il giudice penale non ha al riguardo un potere residuale di supplenza, ma di tutela specifica dell’interesse offeso, correlato al preminente interesse di giustizia (Cass., Sez. Unite, 3.2.1997, n. 714, ric. Luongo)”.
Alla luce dei nuovi dati giuridici emersi di recente, cessa di fatto quell’orientamento giurisprudenziale riduttivo che, negando la funzione d’ordine pubblico della normativa penale edilizia, affermava che “l’ordine di sospensione dei lavori edili, tranne il caso in cui venga emanato a cagione di crolli o di pericolo per la pubblica incolumità, viene emesso dal sindaco per ragioni di autotutela conseguenti all’esecutività di un atto amministrativo in tema di urbanistica o di difesa dell’ambiente, e cioè per ragioni che non sono né di giustizia né di ordine pubblico né di sicurezza pubblica né di igiene e quindi per motivi che non consentono la sussumibilità delle relative previsioni sotto il disposto di cui all’art. 650 c.p. (si trattava di fattispecie in tema di prosecuzione dei lavori in spregio ad un ordine di sospensione). O ancora: “l’inosservanza dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo non integra gli estremi del reato di cui all’art. 650 cod. pen., non essendo tale provvedimento amministrativo diretto a conseguire finalità di giustizia o di ordine pubblico, ma di semplice riassetto urbanistico”.
Oggi, la Cassazione mostrando una ben mutata sensibilità sul tema dell’abusivismo edilizio, non esita a ravvisare il reato abuso d’ufficio, ex art. 323 c.p., nella condotta del sindaco e dei funzionari comunali che deliberatamente omettano di dare esecuzione all’ordinanza di demolizione di un immobile al fine di procurare un indebito vantaggio ai proprietari. Così, “…integra il delitto di abuso d’ufficio la condotta del sindaco che ometta intenzionalmente di attivare le specifiche procedure di garanzia atte a porre rimedio alla mancata esecuzione dolosa da parte dei funzionari comunali, competenti per legge in materia di violazioni edilizie, di un’ordinanza di demolizione di un immobile” (Cass. VI 22.1.2010).
Sicché, nel caso in specie, è emersa la necessità di valutare le ragioni dell’inottemperanza degli indagati e le ragioni per le quali gli uffici competenti della pubblica amministrazione abbiano omesso di dar seguito all’ordine di demolizione, e infine, se nell’inerzia non sia nel caso concreto ravvisabili profili di perseguibilità ai sensi della legge penale.
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