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Legge di stabilità: gli effetti per le Province

di Carlo Rapicavoli – E’ stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la Legge 24 dicembre 2012 n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013).

Esaminiamo gli effetti per le amministrazioni provinciali.

TAGLI (ART. 1 – COMMA 121)

Si opera la ridefinizione dei tagli già operati dal D. L. 95/2012, spending review: per il 2013 e 2014 la riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio per le Province passa da 1.000 milioni a 1.200 milioni, dall’anno 2015 passa a 1.250 milioni.

PATTO DI STABILITÀ (ART. 1 – COMMI 122-126; 428-439)

Viene previsto per l’anno 2013 il patto verticale incentivato, aperto anche alle Province, per una quota di 200 milioni assegnata alle Regioni, per consentire l’ampliamento degli spazi finanziari degli enti locali.

Detto importo è pari all’83,33% degli spazi finanziari, validi ai fini del patto di stabilità interno, ceduti da ciascuna Regione e attribuiti alle province ricadenti nel proprio territorio.

Gli importi assegnati alle singole Regioni potranno essere modificati, a invarianza di contributo complessivo di 200 milioni, mediante accordo da sancire, entro il 30 aprile 2013, in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni.

Gli spazi finanziari ceduti dalla Regione sono ripartiti tra le province al fine di favorire i pagamenti dei residui passivi in conto capitale in favore dei creditori.

Al fine di distribuire il concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica tra gli enti del singolo livello di governo, le province ed i comuni, con decreto del Ministro dell’Interno sono ripartiti in due classi, sulla base della valutazione ponderata dei seguenti parametri di virtuosità:

a) a decorrere dall’anno 2014, prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard;

b) rispetto del patto di stabilità interno;

c) a decorrere dall’anno 2014, incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell’ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni nonché all’ampiezza del territorio; la valutazione del predetto parametro tiene conto del suo valore all’inizio della legislatura o consiliatura e delle sue variazioni nel corso delle stesse;

d) autonomia finanziaria;

e) equilibrio di parte corrente;
f) a decorrere dall’anno 2014, tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali;

g) a decorrere dall’anno 2014, effettiva partecipazione degli enti locali all’azione di contrasto all’evasione fiscale;

h) rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate;

i) a decorrere dall’anno 2014, operazione di dismissione di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente.

Al fine di tener conto della realtà socioeconomica, i parametri di virtuosità sono corretti con i seguenti due indicatori: il valore delle rendite catastali e il numero di occupati.

Gli enti locali che risultano collocati nella classe virtuosa, fermo restando l’obiettivo del comparto, conseguono un saldo obiettivo pari a zero.

Vengono quindi aggiornate le basi di calcolo per l’individuazione del saldo obiettivo per tutte le province diverse dalle virtuose: il triennio di riferimento diventa il 2007-2009, la percentuale massima applicabile è il 19,8% dal 2013; il coefficiente “standard” da utilizzare passa dal 19,7% al 18,8%.

Gli obiettivi del patto di stabilità interno del 2013 degli enti che partecipano alla sperimentazione della nuova contabilità sono migliorati di 20 milioni di euro, sulla base di specifico decreto del Ministro dell’Economia.

Nell’anno 2013 le Regioni possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a peggiorare il loro saldo programmatico attraverso un aumento dei pagamenti in conto capitale e, contestualmente, procedono a rideterminare i propri obiettivi programmatici in termini di competenza eurocompatibile e di competenza finanziaria, riducendoli dello stesso importo.

In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno, l’ente locale inadempiente, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza:

a) è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l’obiettivo programmatico predeterminato. In caso di incapienza dei predetti fondi gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue. La sanzione non si applica nel caso in cui il superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno sia determinato dalla maggiore spesa per interventi realizzati con la quota di finanziamento nazionale e correlati ai finanziamenti dell’Unione Europea rispetto alla media della corrispondente spesa del triennio precedente;

b) non può impegnare spese correnti in misura superiore all’importo annuale medio dei corrispondenti impegni effettuati nell’ultimo triennio;

c) non può ricorrere all’indebitamento per gli investimenti; i mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti, devono essere corredati da apposita attestazione da cui risulti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per l’anno precedente. L’istituto finanziatore o l’intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in assenza della predetta attestazione;

d) non può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E’ fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione;

e) è tenuto a rideterminare le indennità di funzione ed i gettoni di presenza indicati nell’articolo 82 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, e successive modificazioni, con una riduzione del 30 per cento rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 giugno 2010.

PROVENTI DA ALIENAZIONI

I proventi da alienazioni di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito.

RIDUZIONI DI SPESA

1) Per l’anno 2013 non è possibile acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti;

2) Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014 non è possibile effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l’acquisto di mobili e arredi, salvo che l’acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili. La violazione della presente disposizione è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti.

3) Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle disposizioni vigenti, fino al 31 dicembre 2014, non è possibile acquistare autovetture né stipulare contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto autovetture. Le relative procedure di acquisto iniziate a decorrere dal 9 ottobre 2012 sono revocate. Sono esclusi dal divieto gli acquisti effettuati per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

4) Si possono conferire incarichi di consulenza in materia informatica solo in casi eccezionali, adeguatamente motivati, in cui occorra provvedere alla soluzione di problemi specifici connessi al funzionamento dei sistemi informatici. La violazione della disposizione è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti.

CONTRATTI DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA (ART. 1 – COMMI 147-148)

Non è ammesso il rinnovo degli contratti; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico.

Le disposizioni sugli affidamenti degli incarichi di collaborazione si applicano anche alle società controllate.

TERMINE PER APPROVAZIONE BILANCIO (ART. 1 – COMMA 381)

Per l’anno 2013 è differito al 30 giugno 2013 il termine per la deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali.

CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO (ART. 1 – COMMI 400-401)

Fermi restando i vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente, è possibile prorogare i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in essere al 30 novembre 2012, che superano il limite dei trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, previo accordo decentrato con le organizzazioni sindacali.

Nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno, nonché del limite massimo complessivo del 50 per cento delle risorse finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in materia di assunzioni ovvero di contenimento della spesa di personale, è possibile avviare procedure di reclutamento mediante concorso pubblico:

a) con riserva dei posti, nel limite massimo del 40 per cento di quelli banditi, a favore dei titolari di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato che, alla data di pubblicazione dei bandi, hanno maturato almeno tre anni di servizio alle dipendenze dell’amministrazione che emana il bando;

b) per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare, con apposito punteggio, l’esperienza professionale maturata dal personale di cui alla lettera a) e di coloro che, alla data di emanazione del bando, hanno maturato almeno tre anni di contratto di collaborazione coordinata e continuativa nell’amministrazione che emana il bando.

Tali disposizioni normative costituiscono principi generali a cui devono conformarsi tutte le amministrazioni pubbliche.

Resta il dubbio sull’applicabilità di tali disposizioni alle Province in quanto ad oggi è ancora vigente l’art. 16, comma 9, del D. L. 95/2012, convertito in Legge 135/2012 che prevede: “Nelle more dell’attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle Province è fatto comunque divieto alle stesse di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato”.

OBBLIGHI DI PUBBLICAZIONE

Entro il 31 marzo 2013 vanno pubblicate, in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici, i dati relativi agli affidamenti di lavori o servizi effettuati nell’anno 2012 contenenti i seguenti dati: la struttura proponente; l’oggetto del bando; l’elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l’aggiudicatario; l’importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura; l’importo delle somme liquidate.

Tali informazioni vanno trasmesse all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione, secondo modalità che saranno individuate con delibera della stessa Autorità individua.

Entro il 30 giugno, l’Autorità trasmette alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni.

TRIBUTO PROVINCIALE PER L’ESERCIZIO DELLE FUNZIONI DI TUTELA, PROTEZIONE ED IGIENE DELL’AMBIENTE

L’art. 1, comma 387, modifica la disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi che sostituisce la TARSU e la TIA.

È fatta salva l’applicazione del tributo provinciale per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente già prevista dall’art. 19 del D. Lgs. 504/1992.

RIORDINO DELLE PROVINCE (ART. 1 – COMMA 115)

L’art. 1, comma 115, interviene sul riordino delle Province, dopo la mancata conversione in legge del D. L. 188/2012.

Esaminiamo gli effetti della norma, nei singoli punti.

“fino al 31 dicembre 2013 è sospesa l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 18 e 19 dell’articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214”.

I commi 18 e 19 di cui si sospende l’applicazione così prevedono:

“18. Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003 n. 131, con legge dello Stato.

19. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operatività degli organi della provincia”.

La Legge di stabilità non posticipa il termine già fissato – “entro il 31 dicembre 2012” – ma “sospende l’applicazione”.

Tralasciando ogni commento sulla singolare tecnica legislativa, per cui viene sospesa fino al 31 dicembre 2013 l’applicazione di una norma che imponeva un adempimento entro il 31 dicembre 2012, l’unica interpretazione possibile è quella di ritenere che fino al 31 dicembre 2013 restano in capo alle Province tutte le funzioni oggi svolte dalle stesse, senza che possa esserne disposto il trasferimento ai Comuni o alle Regioni.

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“All’articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, al comma 16, sostituire le parole: “31 dicembre 2012” con le seguenti: “31 dicembre 2013”.

Il testo emendato dell’art. 23, comma 16, diventa: “Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2013 (anziché 31 dicembre 2012)”.

Viene dunque mantenuta la previsione legislativa secondo cui le Province diventerebbero enti elettivi di secondo grado nonché la previsione, per tutte le Province, senza distinzione in fasce di popolazione, di un Consiglio Provinciale composto soltanto da dieci componenti.

E’ confermato il rinvio ad una legge dello Stato per fissare le modalità di elezione di secondo grado, da emanare entro il 31 dicembre 2013.

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“Nei casi in cui in una data compresa tra il 5 novembre 2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino la scadenza naturale del mandato degli organi delle province, oppure la scadenza dell’incarico di Commissario straordinario delle province nominato ai sensi delle vigenti disposizioni di cui al testo unico della legge sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o in altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali ai sensi della legislazione vigente, è nominato un commissario straordinario, ai sensi dell’articolo 141 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 per la provvisoria gestione dell’ente fino al 31 dicembre 2013”.

La Legge di stabilità interviene su quanto già previsto dall’art. 23, comma 20, del D. L. 201/2011: “Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l’articolo 141 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, prorogando il termine dei commissariamenti al 31 dicembre 2013.

Viene altresì previsto il commissariamento per tutti i casi di scadenza degli organi o comunque di cessazione anticipata nel corso del 2013.

Si prolunga così una gestione commissariale priva di ogni supporto normativo.

L’art. 141, richiamato dalla norma, individua esclusivamente le ipotesi tassative di scioglimento anticipato dei consigli provinciali e comunali; non dispone alcunché in tema di sospensione del rinnovo elettorale; al contrario al comma 4 precisa che “Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge”.

Si può davvero considerare compatibile con il nostro ordinamento giuridico che da tali disposizioni, derivino come effetti che:

1) Si possano sospendere le elezioni amministrative per il rinnovo di numerosi consigli provinciali pur in assenza di una nuova disciplina elettorale?

2) Si possa estendere l’applicazione della normativa straordinaria sullo scioglimento anticipato di organi democraticamente eletti e sul commissariamento di Enti costitutivi della Repubblica ad una fattispecie nuova, diversa, non patologica, introdotta con decreto legge e riferita alla scadenza naturale degli organi stessi?

Ci sono Province – come quella di Belluno – già commissariate dal 2011 che resteranno prive di organi ancora per un altro anno con il risultato di una palese disparità nella rappresentanza di alcuni territori.

I cittadini di alcune Province – a differenza delle altre – non avranno più una rappresentanza politica portatrice dei loro interessi in tutte le sedi istituzionali, ma saranno rappresentanti da un Commissario – non eletto ma nominato – che non risponde delle proprie scelte agli elettori ma al Ministro dell’Interno che l’ha nominato.

Con quale mandato un commissario potrà decidere se approvare un no ad esempio un piano urbanistico comunale?

Sulla base di quale autorità rappresentativa potrà stabilire le priorità negli investimenti ad esempio su scuole o su viabilità?

Sulle priorità nella destinazione delle risorse? Sulle scelte in merito al futuro assetto istituzionale nei tavoli di coordinamento?

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“All’articolo 17, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, le parole “Entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” sono sostituite dalle seguenti: “Entro il 31 dicembre 2013”.

Il comma 4 dell’art. 17 risulta quindi così riformulato: “Entro il 31 dicembre 2013, con atto legislativo di iniziativa governativa le province sono riordinate sulla base delle proposte regionali di cui al comma 3, con contestuale ridefinizione dell’ambito delle città metropolitane di cui all’articolo 18, conseguente alle eventuali iniziative dei comuni ai sensi dell’articolo 133, primo comma, della Costituzione nonché del comma 2 del medesimo articolo 18”.

Vengono mantenuti e riproposti i presupposti che avevano portato all’emanazione del decreto legge 188/2012, che ha disposto gli accorpamenti delle Province, non convertito in legge.

Si rimanda ancora una volta ad un “atto legislativo di iniziativa governativa”, che certamente non potrà essere un decreto legge – come invece avvenuto con il D. L. 188/2012 – per la palese mancanza dei requisiti di straordinarietà ed urgenza posto che trattasi di un provvedimento le cui emanazione è già prevista e programmata più di un anno prima.

Le parole del Presidente emerito della Corte Costituzionale, prof. Valerio Onida, già espresse con riferimento alla formulazione originaria dell’art. 17, comma 4, e ancor più valide oggi con la previsione di un anno di tempo, anziché sessanta giorni, sono inconfutabili: “Quanto alla natura dell’atto legislativo che conclude il processo di riordino, ai sensi dell’art. 17, comma 4, il riferimento ad un “atto legislativo di iniziativa governativa” fa pensare ad un disegno di legge presentato dal Governo alle Camere. Non pare invece a chi scrive che possa trattarsi di un decreto legge (che peraltro non sarebbe un atto “di iniziativa governativa”, ma un atto legislativo del Governo). E ciò sia per ragioni di coerenza sistematica, poiché le variazioni alle circoscrizioni provinciali sono disposte con “leggi della Repubblica” ai sensi dell’art. 133, primo comma della Costituzione – riserva che pare debba intendersi come riserva di legge formale – , sia perché le ragioni straordinarie di urgenza che hanno giustificato l’avvio con decreto legge del processo di riordino sarebbero assai più difficilmente invocabili per concludere il medesimo una volta che si sia giunti alla formulazione delle proposte”.

Con la proroga del termine di cui al comma 4, vengono di fatto “congelate” le ipotesi di riordino formulate dai CAL e le proposte di riordino delle Province nonché i requisiti fissati dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 (350.000 abitanti e 2.500 km²) sui quali dovrebbe ancora basarsi la proposta di riordino del futuro governo, con tutte le criticità emerse dopo l’emanazione del D. L. 188/2012 ed evidentemente irrisolte.

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“All’articolo 17, comma 10, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 le parole: “all’esito della procedura di riordino” sono sostituite dalle seguenti: “in attesa del riordino, in via transitoria”.

Il comma 10 dell’art. 17, come riformulato dalla Legge di stabilità, prevede: “In attesa del riordino, in via transitoria, sono funzioni delle province quali enti con funzioni di area vasta, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione:

a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;
b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale nonché costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;
c) programmazione provinciale della rete scolastica e gestione dell’edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie di secondo grado”.

Dalla sospensione dei termini dell’art. 23 del decreto salva Italia e dalla nuova formulazione dell’art. 17, comma 10, si conferma che le Province continuano a svolgere, per tutto il 2013, le attuali funzioni, e ciò consente la continuità dell’attività amministrative nel 2013 anche se la gran parte delle Province si troveranno in difficoltà strutturale, a seguito dei pesanti tagli operati dal Governo sui bilanci 2012 e 2013.

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“Il Presidente, la Giunta e il Consiglio della Provincia restano in carica fino alla naturale scadenza dei mandati”.

Questa norma conferma quanto già previsto dall’art. 23, comma 20, del D. L. 201/2011 “Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale”.

Il legislatore, ribadendo questo principio, mira a neutralizzare gli effetti dell’art. 7, comma 1, del D. L. 188/2012 “il mandato degli organi di governo delle Province nelle regioni a statuto ordinario cessa il 31 dicembre 2013. Nelle medesime Province a decorrere dal 1° gennaio 2013 la giunta è soppressa e le relative competenze sono svolte dal Presidente della Provincia, il quale può delegarle ad un numero di consiglieri provinciali non superiore a tre”.

Il decreto legge, seppure non convertito, produce effetti fino al 5 gennaio 2013 e pertanto avrebbe determinato la decadenza delle Giunte a decorrere dal 1° gennaio 2013.

Per effetto della previsione dell’art. 23, comma 15, del D. L. 201/2011 “Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia”, il 6 gennaio 2013 non si sarebbero potute ricostituire le Giunte in quanto non più previste come organi delle Province.

L’espressa previsione secondo cui “Il Presidente, la Giunta e il Consiglio della Provincia restano in carica fino alla naturale scadenza dei mandati” fa sì che le Giunte in carica alla data di entrata in vigore della legge di stabilità – si presume prima del 31 dicembre 2012 – restano tali fino alla naturale scadenza del mandato, facendo venir meno l’efficacia, seppure limitata a cinque giorni, dell’art. 7 del D. L. 188/2012 in forza del principio ”lex posterior derogat priori”.

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“Fino al 31 dicembre 2013 è sospesa l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135” nonché di quelle di cui all’articolo 2, comma 2, secondo e terzo periodo, del medesimo decreto legge…”.

Si tratta della previsione meno comprensibile.

La norma sospende fino al 31 dicembre 2013 l’applicazione delle disposizioni dell’art. 18 del D. L. 95/2012 “Istituzione delle Città metropolitane e soppressione delle province del relativo territorio”

L’art. 18 prevede una serie di scadenze temporali, nel corso del 2013, in particolare per deliberare lo statuto della città metropolitana (31 ottobre 2013) da parte dell’apposita conferenza metropolitana istituita dal 15 agosto 2012.

La conferenza cessa di esistere alla data di approvazione dello statuto della città metropolitana o comunque il 1° novembre 2013 (art. 18 comma 3-quater).

Tali disposizioni non risulterebbero applicabili fino al 31 dicembre 2013.

Ci si chiede cosa accade dal 1° gennaio 2014 quando l’art. 18 diventa nuovamente applicabile.

Il comma 1 prevede infatti che “le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono soppresse, con contestuale istituzione delle relative Città metropolitane, dal 1° gennaio 2014”.

Se dal 1° gennaio 2014 le disposizioni dell’art. 18 sono nuovamente applicabili, si avrebbe come effetto l’immediata soppressione delle Province e l’istituzione delle città metropolitane, in assenza di statuto e quindi di organizzazione.

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“…nonché di quelle di cui all’articolo 2, comma 2, secondo e terzo periodo, del medesimo decreto legge”.

Viene infine sospesa fino al 31 dicembre l’applicazione delle disposizioni sulla riduzione del personale dell’amministrazione civile dell’interno (delle Prefetture) che così viene ancora formalmente collegata al riordino delle Province.

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“Al fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale ed al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95”.

Un’ultima considerazione sulla singolare premessa al comma 115.

La sospensione dei termini è giustificata per consentire la “riforma organica della rappresentanza locale”.

Motivazione misteriosa; forse una dichiarazione – finalmente – di buone intenzioni da tramandare al prossimo Parlamento che dovrebbe occuparsi di una “riforma organica”.

In più la sospensione si giustifica “al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti” dalla spending review.

Per garantire i risparmi bisogna bloccare o posticipare i termini?

Ma senza indugiare oltre sulle parole e sulle intenzioni del legislatore, è opportuno però – in merito ai tanto declamati ipotetici risparmi di questa riforma – riportare quanto affermato dal Ragioniere Generale dello stato nella relazione tecnica all’emendamento (nota prot. n.109266 del 17 dicembre 2012): “Con riferimento all’emendamento indicato in oggetto, pervenuto allo scrivente per le vie brevi, si rinvia a valutazioni politiche l’ulteriore corso della proposta di proroga degli interventi previsti dalla norma, tenuto conto che gli effetti sui saldi derivanti dalle disposizioni originarie non sono stati quantificati in quanto gli stessi potranno essere registrati solo a consuntivo”.

Non serve aggiungere altro sui commenti di illustri opinionisti che da tempo indugiano sui mirabolanti risparmi vanificati dalla mancata conversione del D. L. 188/2012.

Sgombrato il campo dagli interventi demagogici e mal congegnati, sarà necessario, oltre che auspicabile, ripartire dalle funzioni per giungere ad una vera riforma organica della Pubblica Amministrazione.

Da tempo, da più parti, si chiede fortemente di avviare una riforma organica complessiva della Pubblica Amministrazione partendo proprio dalle funzioni.

Bisogna innanzitutto delimitare gli spazi d’azione della Pubblica Amministrazione, semplificare e disboscare tutti quegli ambiti di intervento nei quali non ha senso né utilità l’intervento pubblico come oggi esistente, che può rappresentare soltanto un appesantimento di procedure e costi senza benefici.

Quindi va individuato l’ambito territoriale ottimale e il livello di governo migliore per l’esercizio delle funzioni, individuando con chiarezza ed univocità chi fa cosa, per chiarezza, semplificazione ed individuazione certa delle responsabilità.

Un adeguato ed efficace sistema di controlli dovrà quindi garantire la correttezza della gestione.

Intanto, prima di procedere nel solco tracciato dalla successione di decreti legge, bisognerà finalmente attendere l’esito dei numerosi ricorsi presentati dalle Regioni alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 23 del decreto “salva Italia” e degli art. 17 e 18 del decreto “spending review”, nonché dei ricorsi presentati da varie Province al TAR del Lazio per l’annullamento della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 e la collegata questione di legittimità costituzionale, con richiesta di rimessione degli atti alla Consulta, e dei ricorsi contro la mancata convocazione dei comizi elettorali nella primavera 2012, presentati dalle Province di Ancona, La Spezia, Vicenza e Como e da un gruppo di cittadini organizzato della provincia di Belluno.

Forse la negativa esperienza di questa pseudo riforma costituirà un monito per i successivi necessari interventi del legislatore.

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