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Legge delega, questione di fiducia e l’equilibrio dei poteri nel nostro sistema costituzionale

di Carlo Rapicavoli –

L’8 ottobre 2014, il Governo ha posto la questione di fiducia sull’approvazione dell’emendamento, interamente sostitutivo del disegno di legge delega di riforma del lavoro.

Senza entrare nel merito dei contenuti della delega – che affronteremo successivamente – preme porre l’attenzione sulle modalità con le quali si è giunti all’approvazione al Senato del disegno di legge delega, attraverso il ricorso alla questione di fiducia.

Analoga modalità è stata già preannunciata alla Camera dei Deputati.

E’ evidente che questa procedura rappresenta un vulnus per la divisione tra i poteri dello Stato così come definiti dalla nostra Costituzione.

Il disegno costituzionale appare delineato con grande chiarezza ed evidenza:

1) La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 Cost.);

2) L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti (art. 76 Cost.);

3) Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. (art. 77 Cost.).

La formulazione in negativo degli art. 76 e 77 testimonia l’eccezionalità della delegazione al Governo e dell’esercizio in tale forma del potere legislativo.

La Corte Costituzionale (sentenza n. 171/2007) ha sottolineato più volte come “l’assetto delle fonti normative sia uno dei principali elementi che caratterizzano la forma di governo nel sistema costituzionale. Esso è correlato alla tutela dei valori e diritti fondamentali. Negli Stati che s’ispirano al principio della separazione dei poteri e della soggezione della giurisdizione e dell’amministrazione alla legge, l’adozione delle norme primarie spetta agli organi o all’organo il cui potere deriva direttamente dal popolo. A questi principi si conforma la nostra Costituzione laddove stabilisce che «la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere» (art. 70).

In determinate situazioni o per particolari materie, attesi i tempi tecnici che il normale svolgimento della funzione legislativa comporta, o in considerazione della complessità della disciplina di alcuni settori, l’intervento del legislatore può essere, rispettivamente, posticipato oppure attuato attraverso l’istituto della delega al Governo, caratterizzata da limiti oggettivi e temporali e dalla prescrizione di conformità a principi e criteri direttivi indicati nella legge di delegazione.

E’ significativo che l’art. 77 Cost., al primo comma, stabilisca che «il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria»”.

Tenuto conto del tenore dell’art. 70 Cost., la norma suddetta potrebbe apparire superflua se non le si attribuisse il fine di sottolineare che le disposizioni che attribuiscono al Governo poteri legislativi hanno carattere derogatorio rispetto all’essenziale attribuzione al Parlamento della funzione di porre le norme primarie nell’ambito delle competenze dello Stato centrale.

Non è certamente inedito, nella recente storia parlamentare, il ricorso alla questione di fiducia su disegni di legge delega.

Si possono ricordare tra i vari casi:

1) La questione di fiducia posta dal Governo Monti sul d.d.l. C. 5291, “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”;

2) Le questione di fiducia poste dal Governo Berlusconi nel 2005 dul d.d.l. S. n. 3497, “Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari” (Legge Gelmini) e nel 2001 sul ddl S. 374 “Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti industriali strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive” (Legge obiettivo);

3) La questione di fiducia posta dal Governo Prodi nel 1998 sul ddl S. 3288, “Delega al Governo per il riordino della disciplina relativa alla riscossione“

L’anomalia è comunque evidente:

1) Il Governo predispone e approva il disegno di legge delega;
2) Attende l’avvio della discussione nelle commissioni parlamentari;
3) A discrezione decide quando è il momento di chiudere il dibattito;
4) Presenta un maxi emendamento interamente sostitutivo che modifica anche qunato approvato dalla Commissione;
5) Pone la questione di fiducia
6) Evita la discussione su qualsivoglia emendamento;
7) Esercita la delega su principi e contenuti sui quali il parlamento non ha avuto alcun ruolo sostanziale.
8) Gli schemi dei decreti legislativi vanno trasmessi dal Governo alle Commissioni parlamentari che possono esprimere un parere entro trenta giorni; decorso il termine, anche senza il parere o in difformità allo stesso, i decreti possono essere emanati definitivamente e diventare legge dello Stato;
9) Nei dodici mesi successivi, senza chiedere nuova delega, il Governo può emanare ulteriori decreti legislativi, correttivi e/o integrativi, sulla medesima materia.

Il governo in sintesi chiede al Parlamento una delega a legiferare, ma nel contempo impedisce al Parlamento di precisarne i contenuti, con una sostanziale espropriazione da parte del potere esecutivo del potere legislativo, senza alcun contrappeso istituzionale, senza consentire alcun ruolo alle minoranze e alle voci dissenzienti.

Manca ogni partecipazione dell’opinione pubblica, del tutto disinformata, avendo concentrato tutta l’attenzione dei mezzi di comunicazione sull’art. 18, della cui modifica non vi è traccia nella delega votata dal Senato.

Questo stravolgimento dei principi costituzionali è solo un’anticipazione del nuovo assetto ed esercizio dei poteri che deriverà dall’eventuale approvazione, senza modifiche, della riforma costituzionale, già votata in prima lettura dal Senato e della riforma elettorale già votata dalla Camera.

Il principio di rappresentanza democratica è sempre meno centrale nel nostro ordinamento e ciò avviene proprio mentre viviamo forse la più grave frattura tra società e istituzioni della storia italiana.

I cittadini continueranno a non scegliere i deputati, ma voteranno per una lista di candidati scelta dai segretari di partito; non eleggeranno più i senatori; già è legge dello Stato – e gli effetti si stanno già producendo – l’abolizione dell’elezione diretta del Presidente della Provincia e dei consiglieri Provinciali; i cittadini non eleggeranno neanche il sindaco metropolitano né il consiglio della città metropolitana.

Efficientismo e decisionismo, spacciati come panacea, vengono contrapposti alle regole democratiche.

Si spara su tutto il sistema per raggiungere un obiettivo indefinito.

Si disegna così un nuovo modello costituzionale, privo di coerenza interna di sistema, disequilibrato nell’assetto dei poteri, pericolosamente modellato sul contingente – fatto soltanto dalle persone che oggi governano e sulle loro ambizioni – anziché sulle necessarie garanzie di tenuta del sistema oltre le persone e il contingente ma pronto a resistere alle sfide che una moderna democrazia deve affrontare.

Così la necessaria riforma del nostro ordinamento costituzionale diventa una banale prova di forza fra gli attuali attori della politica, preoccupati di apparire, più che di essere, riformatori e uomini di Stato.

Una profonda riflessione su quanto sta accadendo dovrebbe coinvolgere forze politiche e sociali, mezzi di comunicazione, opinione pubblica. Ma le “armi di distrazione di massa” appaiono potentissime nel concentrare l’attenzione, lo scontro (futile e improduttivo), i titoli dei giornali, su questioni puntuali e specifiche più che su temi di ordine generale.

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