– di Carlo Rapicavoli
Sulla vicenda del riordino mancato delle Province si dice di tutto; illustri commentatori si stracciano le vesti, indignati dinnanzi ad una Corte Costituzionale che blocca il progresso del nostro Paese, senza neanche aver atteso di leggere le motivazioni della decisione.
Ma per fortuna, con buona pace di questi, siamo ancora in uno Stato di diritto, fondato su regole e su principi costituzionali, certamente non immodificabili, ma basate su garanzie per tutti i cittadini.
Si fantastica su risparmi enormi di miliardi di euro vanificati dalla sentenza, ma non mi pare di sentire alcun grido di allarme da parte del Ministero dell’Economia per il conseguente buco di bilancio da colmare.
Semplicemente perché non esiste alcun conseguente buco di bilancio, perché mai il governo è riuscito a quantificare i risparmi, perché nel rapporto del Ministro Giarda sulla spending review (di certo non un sostenitore delle Province) si quantificavano risparmi ipotetici pari a 370 milioni, non inseriti né contabilizzati, in quanto incerti, nel bilancio dello Stato.
Ciò che stupisce è che nessun giornalista, nessun politico si soffermi sulle funzioni oggi svolte dalle Province, sviluppi un minimo di ragionamento sulle possibili allocazioni delle stesse in caso di soppressione delle Province, ragioni su un obiettivo preciso da perseguire con tale storica riforma.
“Noi siamo determinatissimi ad andare avanti, ne ho parlato anche con il presidente Letta: la riforma degli enti locali e la cancellazione delle Province si farà comunque. I cittadini devono stare tranquilli”, ha detto Graziano Delrio, ministro degli Affari regionali e le autonomie, commentando in un’intervista al quotidiano la Repubblica, la sentenza della Corte costituzionale.
“I cittadini devono stare tranquilli”, come se la tranquillità dei cittadini dipenda dall’esistenza o meno delle Province e non da interventi veri su lavoro e occupazione, su servizi e sociale!
E il Presidente del Consiglio annuncia un’immediata presentazione di un disegno di legge costituzionale per la soppressione delle Province.
Come se questa sia l’emergenza del Paese, come se le Province non rientrino nell’organizzazione costituzionale della Repubblica, come se sia possibile immaginare di staccare la riforma delle Province dal percorso costituzionale complessivo di riforma.
Ma per il facile consenso si perde di vista perfino il buon senso e la razionalità.
L’apoteosi oggi è stata raggiunta in un editoriale apparso su Repubblica di Francesco Merlo nel quale si definiscono le Province come “l’ente inutile degli stipendi inventati, del nascondimento della disoccupazione e delle clientele, la piccola patria degli uscieri, il centro di spesa del keynesismo straccione”.
Ecco, comunque la si pensi, non è lecito, serio e rispettoso commentare in questi termini.
Mi piacerebbe conoscere su quali basi l’autore fondi tali certezze, tanto da determinare uno sprezzante giudizio morale su migliaia di lavoratori che ogni giorno si impegnano per rendere servizi, dalla viabilità alle scuole, dalla formazione professionale ai centri per l’impiego, alla tutela dell’ambiente, alla difesa del suolo.
Espressioni come “La piccola patria degli uscieri” o “centro di spesa straccione” sono indegne, anche se utilizzate a sostenere un punto di vista, condivisibile o meno che sia.
E l’autore aggiunge: “la Provincia è il peggiore simbolo, non solo sul piano istituzionale, dell’arretratezza italiana”.
Come si possono tollerare tali affermazioni?
Non è con il livore che si fa progredire il nostro Paese, né un processo di riforma può basarsi sulle opinioni di quanti si sono arrogati il ruolo di giudici e censori, senza però il minimo approfondimento.
L’Italia ha bisogno di riforme, di modernizzare l’organizzazione repubblicana; ma tutto deve avvenire in un processo organico, non spinto da demagogia, di facile consenso, ma disinformata.
Resterà nella memoria la conferenza stampa nel corso della quale l’allora Ministro Patroni Griffi mostrava con orgoglio la mappa delle nuove Province, probabilmente rimaneggiata pochi istanti prima, che cancellava alcuni confini provinciali con l’ausilio della scolorina o di bianchetto, a testimoniare quanta riflessione e quanto approfondimento vi siano a supporto di una riforma che avrebbe dovuto modificare l’assetto territoriale, secoli di storia e l’ordinamento costituzionale. Come se giocasse a risiko.
L’esperienza dovrebbe indurre ad evitare il ripetersi di tali modalità, bocciate dalla Corte Costituzionale.
E’ auspicabile che il Governo faccia tesoro delle indicazioni che emergeranno nel testo della sentenza, eviti di inseguire il facile consenso ed operi con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali un vero percorso di riforma costituzionale.