di Carlo Rapicavoli – “Le Province: istruzioni per l’uso” è il titolo “originalissimo” di un documento reso pubblico dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione per illustrare i contenuti della riforma delle Province.

Scrive il Ministro Patroni Griffi: “…perché le popolazioni sul territorio sono più avanti di noi tutti e i territori sapranno cogliere la sfida per ammodernare il sistema di governo”.

Bellissima dichiarazione ad effetto, che sembra proclamare al meglio i principi di autonomia sanciti dall’art. 5 della Costituzione.

Peccato che la riforma, così enfaticamente annunciata, poco corrisponda a tale dichiarazione.

Già alcuni passaggi dell’introduzione tradiscono chiaramente i veri obiettivi della “grande riforma”:

“La crisi internazionale che coinvolge anche il nostro Paese e l’esigenza di farvi fronte hanno indubbiamente ispirato il riordino delle province, non a caso collocato appunto, nel decreto cosiddetto “Spending Review”. In particolare, l’esigenza di intervenire con misure incisive e definitive, è stata condivisa anche dalle autorità europee che hanno ritenuto necessaria un’azione pressante da parte delle autorità italiane, incoraggiando il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa. Sul punto, di particolare rilevanza, l’esplicita richiesta europea di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi, come le province.

Finalmente, la Provincia costituirà l’ente intermedio di “area vasta” che lo connota rispetto agli altri livelli di governo.

Il Governo ha quindi iniziato coraggiosamente questo percorso di riforma ed ora la parola ai territori!”

Non servono molti commenti a dimostrare l’incongruenza di quanto dichiarato enfaticamente dal Ministro e gli obiettivi veri della riforma disvelati nell’introduzione.

“Ora la parola ai territori!” si annuncia solennemente.

La parola su cosa?

Le città metropolitane sono state già individuate e delimitate; i “territori” possono decidere solo sulla base di criteri di popolazione e di superficie predeterminati dal Governo, con propria delibera, del tutto avulsa da ogni considerazione effettiva sulle realtà territoriali (dati geografici, economici, storici, sociali…); i Comuni destinati a far parte della Città metropolitana devono decidere in un mese ciò che non è stato fatto in 22 anni prima di conoscere: i contenuti dello statuto della Città Metropolitana, gli esiti del riordino delle Province e le competenze delle Province e quelle della Città metropolitana.

Avere affidato ai CAL (organismi composti da alcuni rappresentanti degli Enti territoriali) la facoltà di formulare una “ipotesi di riordino” vincolata dai criteri del Governo e alle Regioni la facoltà di formulare una “proposta di riordino”, altrettanto vincolata, significa dare la “parola ai territori”?

E l’art. 133 della Costituzione?

Si dice: “Finalmente, la Provincia costituirà l’ente intermedio di “area vasta” che lo connota rispetto agli altri livelli di governo”.

Finalmente?

Le Province, da oltre 150 anni, rappresentano l’articolazione amministrativa di “area vasta” che da sempre ha caratterizzato l’organizzazione dello Stato e di tutte le articolazioni delle categorie economiche, sociali, sindacali del nostro Paese.

Malgrado il livello di governo provinciale risulti connaturato con l’identità socio culturale, con la storia stessa dell’Italia e soprattutto l’unico in grado di assicurare ai Comuni, anche quelli più piccoli, di svolgere la loro attività ed erogare i servizi nel modo migliore, nel dibattito e nell’adozione delle norme sul riordino delle Province, rimane a tutt’oggi del tutto assente ogni analisi sulle funzioni e sui servizi, sulle risorse ad essi destinati.

Nessuna considerazione infatti sulle funzioni: eppure il riordino doveva partire proprio da queste.

Così si parla tanto del riordino delle Province come rimedio a molti mali del nostro Paese ma nulla si dice su quella pletora di enti intermedi, e poltrone intermedie, di cui nessuno parla, che sarebbe stato molto più semplice e rapido ed economico sopprimere, concentrandone le funzioni sulle Province.

Silenzio tombale anche su un altro aspetto non proprio secondario: ma prima di trasferire da una parte o dall’altra le attuali funzioni, qualcuno si è chiesto quali sono essenziali, quale sia la dimensione ottimale per il loro esercizio e quali non abbiano più senso?

Ognuna ha un costo per l’amministrazione e per i cittadini e fa perdere tempo.

Semplificare è doveroso, se serve davvero che rimanga un controllo pubblico, e se i benefici giustificano i costi.

Ma la vera semplificazione sta nel ridurre i procedimenti burocratici ormai insensati, che paghiamo due volte, come utenti e come contribuenti.

Andrebbero eliminate tutte le duplicazioni, individuato un unico Ente competente per materia senza che per avviare un’opera o effettuare un intervento siano necessari decine di pareri con una polverizzazioni di funzioni e competenza che si traducono spesso in una polverizzazione delle responsabilità.

Ma di tutto questo nulla.

Un’innovazione è stata però introdotta: per la prima volta, una riforma del nostro ordinamento costituzionale – peraltro surrettiziamente introdotta addirittura con decretazione d’urgenza – diventa un quiz, con domande e risposte.

Ben 48 domande cui il Governo si è premurato di rispondere!

Se questa non è una “grande riforma”…!

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