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Le proposte di riforme istituzionali nel documento congiunto di Confindustria e Sindacati

di Carlo Rapicavoli –

Confindustria e Sindacati hanno sottoscritto il 2 settembre a Genova un documento comune di proposta al Governo, articolato su tre punti fondamentali:

a) Politiche fiscali
b) Politiche industriali
c) Revisione degli assetti istituzionali ed efficienza della spesa pubblica.

Iniziativa molto interessante, forse inedita, che funge da stimolo al Governo in prossimità della presentazione al Parlamento della legge di stabilità 2014.

Una breve riflessione va posta sulle proposte relative alle riforme istituzionali.

Viene chiesta la revisione del Titolo V della Costituzione, per riportare alla competenza dello Stato materie come la semplificazione, le infrastrutture, l’energia, le comunicazioni e il commercio estero, oggi attribuite alla legislazione concorrente con le Regioni.

Quindi si chiede la revisione dei livelli istituzionali, creando enti dimensionati ai nuovi compiti e in grado di gestire con efficienza le funzioni attribuite.

Proposta ragionevole e condivisibile, che coincide con quanti chiedono da tempo che si parta dalle funzioni e dalle competenze e non dalla soppressione di livelli di governo.

Eppure Confindustria e Sindacati si allineano alla tesi più diffusa, senza approfondimento alcuno.

“Questo significa – affermano – abolire le Province, aumentare la soglia dimensionale dei piccoli Comuni, istituire le Città metropolitane e, coerentemente, ridurre drasticamente il numero dei componenti degli Organi elettivi a tutti i livelli di Governo”.

Non si comprende come si possa da un lato affermare l’esigenza corretta di individuare ambiti territoriali adeguati per le funzioni, ad esempio di area vasta, e dall’altro sostenere che questo passi attraverso l’abolizione delle Province e l’istituzione delle Città metropolitane.

Anche in questo caso non ci si pone il problema del rapporto tra le Città metropolitane, quali enti di area vasta, come definite dal disegno di legge approvato dal Governo il 26 luglio scorso, e la restante parte del territorio non interessata a seguito dalla proposta abolizione delle Province.

E’ chiaro che la Città metropolitana ha senso soltanto se gestisce un territorio omogeneo, con problematiche comuni, non semplicemente per successione universale alla corrispondente soppressa Provincia.

Se la proposta di Confindustria e Sindacati va intesa in linea con la proposta del Governo, cioè di istituire le Città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, il cui territorio coincide con quello delle rispettive Province, il risultato finale non può che essere una diversa organizzazione ed assetto di competenze nel territorio nazionale, con ulteriore confusione anziché semplificazione.

Nelle aree territoriali non comprese nelle Città metropolitane chi svolgerebbe le funzioni di area vasta?

Al contrario, per una riforma organica, si dovrebbe procedere, come da più parti sottolineato, ad un organico processo attuativo della riforma del Titolo V della Costituzione, incentrato su tre assi principali:

1. Valorizzazione dell’autonomia come responsabilità. Comuni e Province devono essere considerati come enti di governo delle rispettive comunità, titolari di una sfera di autonomia che non è loro concessa, ma che si configura quale elemento significativo di una condizione istituzionale che la Carta riconosce perché intrinseca alla loro ragione d’essere, ferma restando ovviamente l’unità e l’indivisibilità del sistema.

2. Riconoscimento di centralità e pari dignità dei soggetti costitutivi della Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost. senza alcuna gerarchia, ma semmai qualificando i ruoli istituzionali dei diversi soggetti del sistema. Da qui, allora, la necessità che il ruolo delle Regione si limiti al carattere legislativo e programmatorio, mentre l’amministrazione e la gestione dei servizi pubblici deve essere incentrata sulle amministrazioni comunali e provinciali.

3. Chiarificazione delle funzioni dei diversi soggetti del sistema, che sono poi l’aspetto che comporta la maggiore spesa ed i maggiori costi, evitando sovrapposizione di interventi sulla medesima materia. La nuova Carta delle Autonomie, il cui esame si è bloccato nel corso della passata legislatura, dovrebbe essere la base fondamentale di una vera riforma, fuori dagli slogan e dalle proposte demagogiche.

Giustamente nel documento viene chiesta una seria politica di revisione della spesa pubblica per garantire servizi di qualità a cittadini e imprese.

Una spending review diversa rispetto a quella finora attuata, non più basata su una logica di tagli lineari, che hanno colpito indistintamente tutti gli enti, quelli virtuosi e quelli inefficienti, rischiando cosi’ non solo di non eliminare le inefficienze, ma di ridurre l’efficienza di quelle parti della PA virtuosa, e scaricando i tagli su aumenti di tariffe e imposte locali.

“Occorre – si legge nel documento – ora svolgere un’analisi selettiva della spesa pubblica a tutti i livelli di governo, coinvolgendo la revisione delle funzioni svolte dalle amministrazioni centrali e da quelle decentrate, riducendo i costi impropri della politica e definendo i “costi standard”, che vanno attuati rapidamente come metodo di finanziamento delle amministrazioni pubbliche. Tutto ciò va realizzato in un quadro di riforma della PA e dell’erogazione dei servizi pubblici”.

Ma proprio perché è necessario un disegno organico occorrerebbe dunque che sulla riforma delle Province e dell’intero assetto delle istituzioni locali si apra un confronto serio, che parta dalla Costituzione, e che affronti fuori dagli slogan e con i conti in mano una questione tanto importante per il Paese.

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