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LE PROBLEMATICHE DEL PROCESSO DECISIONALE PUBBLICO PER UN’EFFICIENZA NELL’USO DELLE RISORSE NATURALI.


Le Norimberga ambientali –
Parte 1°


Sergio Benedetto Sabetta

 

Il processo di Norimberga ha avuto un valore fortemente simbolico, quindi politico, come del resto i processi che si sono susseguiti nel corso del ‘900 relativi ai vari casi di genocidio.

Quello che emerge chiaramente è la necessità del collasso politico-organizzativo della controparte per potere imbastire un tale processo, questione già rilevata.

Nel genocidio il punto principale è la definizione dello stesso come esercizio della volontà di sterminio, ossia di una specifica violenza su popolazioni o gruppi senza che vi sia alcuna reale minaccia.

Non può negarsi che le attuali e future guerre avranno carattere esplicitamente economico con gravi riflessi ambientali, tali da provocare danni alla salute e compromettere la futura esistenza di intere popolazioni.

Si è, quindi, al confine tra il danno causato a singoli o gruppi ben determinati e l’accettazione del rischio se non delle sicure conseguenze che un determinato agire comporta.

Una chiara volontà di sopraffazione a fini di potenza economica con una espropriazione del futuro, tanto economici che di vita, in cui la parola economia ed affari nasconde una distruzione pianificata quale conseguenza ultima dell’accumulo, ma di estensione tale da compromettere stabilmente il sistema ambientale su cui si basa l’esistenza di intere popolazioni.

Il danno nel suo espandersi in cerchi concentrici, a seguito del proseguire delle attività, può condurre a cambiamenti radicali dell’ambiente sempre più estesi fino alla sua insostenibilità e ad innescare probabili conflitti.

Ci sarebbero poi situazioni in cui la soluzione del problema ecologico sarebbe a monte con la sostituzione del materiale usato, ma sia il prevalere di interessi consolidati che la difficoltà di introdurre in linee di produzione già consolidate nuove procedure e nuovi materiali, fanno sì che si cerchi di scaricare a valle il problema sui consumatori, attraverso differenziate, essendo comunque problematiche i valorizzatori termici o la costruzione di linee di separazione a ciclo continuo.

Possiamo pertanto concludere che si stanno preparando nuove “Norimberga ambientali” di cui non si vuole prendere atto, visto gli interessi coinvolti e il potere delle élite che li sostengono, fino ad una serie di inevitabili crisi che potrebbero fare collassare l’attuale sistema.

Le problematiche ambientali evidenziate dalla pandemia pongono l’attenzione sui metodi di scelta nel processo decisionale pubblico nel suo passaggio attraverso il processo politico, il quale viene a coinvolgere vari attori individuabili dagli elettori, agli eletti, dai funzionari pubblici, ai partiti politici e ai gruppi di pressione.

La “Teoria delle scelte collettive” (Public Choice) partendo dal presupposto che l’uomo è un soggetto egoista e razionale, il quale persegue la massimizzazione della propria utilità, considera che ciascuno degli attori sopra indicati ha logiche ed obiettivi propri che vengono ad influire sul comportamento nel processo di scelta collettiva .

Se la regola dell’unanimità risulta essere Pareto-efficiente nell’allocazione delle risorse, essa è tuttavia collegata all’ampiezza e complessità della collettività coinvolta, nonché alla correttezza degli individui nell’indicare le proprie preferenze di spesa, comprese quelle ambientali, evitando l’uso strumentale del veto.

Tuttavia il carattere di bene pubblico, come nell’ipotesi dei beni ambientali, può condurre una minoranza a influenzare una maggioranza amorfa, scarsamente interessata alle problematiche, sebbene questo possa essere in contrasto con la soluzione migliore per la collettività.

In contrasto con il “Primo Teorema Fondamentale del Benessere”, per cui in una economia di mercato perfettamente concorrenziale si raggiunge una allocazione Pareto-efficiente delle risorse grazie ai prezzi, che permettono un passaggio dell’informazione sia relativa al valore attribuito ai singoli beni dai consumatori che sui costi di produzione sostenuti, nel settore pubblico in democrazia vi è la difficoltà di conoscere le preferenze individuali per ciascun specifico bene essendovi la tendenza a comportamenti da free-rider, altro problema è la difficoltà di aggregare le preferenze individuali.

Nell’individuare le possibili migliori regole per una “decisione sociale” Wicksell ha individuato nel principio dell’unanimità abbinato al finanziamento per ciascun bene pubblico mediante una precisa imposta di scopo la condizione fondamentale per l’efficienza (nuovo principio della tassazione).

Nell’impossibilità di una unanimità Lindhal, ipotizzando che ciascun individuo dichiari con esattezza le proprie preferenze, cerca di riprodurre nel sistema decisionale pubblico il funzionamento proprio dei mercati privati, sommando verticalmente le curve di domande individuali fino ad ottenere la curva di domanda aggregata, in funzione della disponibilità di ciascun individuo a pagare per ogni ulteriore unità di bene pubblico prodotto (prezzo-imposta).

In tutte e due le ipotesi i meccanismi soffrono dei comportamenti opportunistici messi in campo dagli individui al fine di esternare sui terzi i costi, o mediante il proprio potere di veto o sottostimando la propria richiesta.

La lunghezza di un processo decisionale all’unanimità, i costi che comporta, nonché i comportamenti opportunistici hanno fatto convergere le preferenze verso decisioni a maggioranza, con un rapporto favorevole tra la maggioranza dei decisori consumatori e i costi decisionali, si pone pertanto il problema della percentuale ottima di voti al fine dell’approvazione della decisione pubblica.

A riguardo Buchanan – Tullock propongono quale maggioranza ottimale quella in cui la somma delle curve dei costi esterni e dei costi di decisione raggiunge il minimo, dove per i costi esterni si intendono le perdite di utilità per voti contrari rispetto all’unanimità richiesta dall’efficienza paretiana, mentre per i costi di decisione il tempo e gli sforzi necessari per avere un consenso, ne consegue l’evidenza che non vi è una sola ottima regola di voto ma questa varia a seconda della natura delle decisioni e delle caratteristiche della collettività in esame.

Una prima distinzione è fra scelte costituzionali e scelte non costituzionali, all’interno di queste ultime tra scelte ordinarie e straordinarie in funzione del rapporto tra valori economici coinvolti e ampiezza della comunità.

La regola del voto a maggioranza mette in evidenza che il suo risultato corrisponde alle preferenze dell’elettore mediano, tuttavia per prevedere una decisione sulla spesa pubblica necessita conoscere su quali fattori si fondano le preferenze per i beni pubblici.

Solitamente si ipotizza esservi una correlazione positiva con il reddito individuale, vi è comunque un ulteriore fattore dato dall’ordine in cui le varie alternative di spesa sono state poste in votazione, la loro modifica causa un andamento ciclico paradossale sull’esito della votazione (paradosso del voto a maggioranza o teorema dell’impossibilità del voto a maggioranza), la perdita di equilibrio è maggiore nel caso di scelta fra più progetti in concorrenza, fino a divenire impossibile quando si affrontano questioni redistributive.

Altro elemento che interviene nelle votazioni è l’intensità delle preferenze che fa sì che gruppi minoritari fortemente interessati possano imporsi su maggioranze poco interessate, vengono meno le condizioni per un ottimo paretiano.

Si è pensato pertanto di risolvere il problema mediante il commercio dei voti (logrolling), per cui vi è uno scambio di voti tra due o più gruppi sui problemi che a ciascun gruppo preme maggiormente, il metodo permette di evidenziare e fare convergere l’attenzione sui reciproci interessi e quindi manifesta l’intensità delle preferenze dei vari gruppi elettorali, tuttavia conduce anche al prevalere di interessi particolari a scapito del benessere della collettività.

Arrow partendo dalle caratteristiche che il processo di aggregazione delle preferenze individuali dovrebbe possedere: principio di Pareto, indipendenza da alternative irrilevanti, dominio non ristretto e non dittatorialità, conclude che non è possibile arrivare ad un metodo di ordinamento delle alternative “completo” e “transitivo” che soddisfi tutte le proprietà sopra indicate, vi è pertanto una impossibilità di trovare un metodo pareto-efficiente nello scegliere sia le politiche pubbliche che all’interno delle stesse una delle varie ipotesi messe in campo.

Da un punto di vista dell’efficienza occorre distinguere tra efficienza statica, dove il fattore tempo non è decisivo, ed efficienza dinamica, in cui ha grande importanza, nel primo caso non si deve solo decidere quale azione intraprendere tra una varietà di azioni ma anche quanto fare , riprendendo il concetto dell’ottimo paretiano per cui i benefici marginali sono massimizzati quando i benefici marginali derivanti da una determinata allocazione di risorse eguaglia i costi marginali.

Nell’efficienza dinamica il valore del beneficio marginale netto deve essere costante nel tempo, ossia uguale per ogni periodo considerato, così che il Valore Attuale Netto (VAN) può essere generalizzato in X/(1+r) elevato alla n, dove n sono il numero degli anni ed r il tasso di interesse o sconto, in altri termini si dovrà avere il massimo possibile valore attuale dei benefici netti che si possano ricavare da tutte le possibili allocazioni delle risorse in esame nell’arco di n periodi.

In presenza di una scarsità intertemporale di risorse vi è un costo di opportunità definito come costo marginale d’uso, questi non è altro che il valore marginale aggiuntivo imposto dalla condizione di scarsità, la quale evidenzia che un uso maggiore nel periodo attuale ne riduce l’utilizzabilità futura, tuttavia nel momento di attribuire un valore all’uso presente e a quello futuro si tende a ridurre il peso delle prospettive future (Hotelling).

In presenza di risorse sostitutive il prezzo della risorsa esauribile (costi di produzione + costo marginale di uso) non può essere superiore al costo marginale della risorsa alternativa che diverrebbe più economica, in questo gioca l’abbattimento dei costi ad opera dell’innovazione tecnologica che senza potere impedirne l’esaurimento ne prolunga comunque l’utilizzo nel tempo migliorando l’efficienza.

In termini ambientali sembrerebbe che i mercati perfettamente concorrenziali agendo egoisticamente siano inefficienti, tuttavia Tietenberg ha dimostrato che diritti di proprietà ben definiti, ossia che possiedano le tre caratteristiche dell’esclusività, della trasferibilità e applicabilità, permettono scelte operative economicamente efficienti.

Negli aspetti ambientali la non ben definita struttura dei diritti di proprietà comporta delle esternalità negative, circostanza che favorisce l’uso eccessivo delle risorse naturali esauribili, non rientrando nei costi di produzione le esternalità negative con conseguenti prezzi eccessivamente bassi, altra cosa è l’uso politico delle risorse naturali da quelle esauribili (petrolio) a quelle rinnovabili (acque dolci).

Il criterio di sostenibilità (Rapporto su Ambiente e Sviluppo dell’ONU , Il futuro di noi tutti, 1987), non è in contrasto con una allocazione efficiente in senso dinamico secondo la “regola di Hartwick”, per cui se il valore del costo d’uso delle risorse non rinnovabili è interamente investito nell’accumulazione di capitale, intendendo per questo la ricerca di nuove tecnologie, conoscenza, ambiente, edifici e macchinari, è possibile mantenere nel tempo costante il livello di benessere in modo che la quantità totale di capitale non decresca nel tempo, senza dovere effettuare ulteriori attività informative e burocratiche.

Tuttavia non vi è sempre la possibilità di una perfetta sostituibilità tra capitale fisico e capitale naturale, pertanto è stata proposta una definizione più rigida del concetto di capitale totale, riferendolo solo al capitale naturale e alla possibile sua conservazione (sostenibilità forte), differenziandolo dal concetto allargato al capitale fisico (sostenibilità debole).

L’impossibilità di definire i diritti di proprietà sulle risorse naturali comporta anche nel caso delle risorse rinnovabili delle esternalità intragenerazionali e intergenerazionali , le quali si risolvono in quella che è stata definita dalla dottrina come “tragedia dei beni a libero accesso” (tragedy of the commons), dove si manifesta la difficoltà di mantenere un equilibrio naturale permettendo il rinnovo delle risorse.

Si è pensato quindi di ricorrere a metodi che aumentino i costi di produzione come le regolamentazioni o più razionalmente trasferiscano risorse diminuendo gli utili come le imposte, mantenendo il livello di benessere collettivo, tuttavia il sistema delle imposte, come quello della regolamentazione, ha delle controindicazioni nel dovere creare un ulteriore sistema burocratico e nel determinare la nascita di resistenze e reazioni negative.

Si è quindi proposto l’utilizzo delle Quote Individuali Trasferibili (QIT) che una volta assegnate permettono la creazione di un mercato che si autoregoli in termini di efficienza, questo non toglie le difficoltà nell’assegnare inizialmente le quote sia per l’ ammontare chi nel decidere che ne ha diritto o le può acquistare, come anche i problemi che ne possono nascere di implementazione.

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