LE PROBLEMATICHE DEL GREEN.
Sergio Benedetto Sabetta
Si parla molto in questi tempi dei problemi climatici, dimenticando molte volte la perdita della biodiversità che nei tempi recenti si è trasformata in una vera e propria estinzione di massa, come rilevato anche dal recente rapporto congiunto di IPCC e IPBE (Climate and biodiversità are inextricably connected with each other and with human futures).
L’alterazione di interi ecosistemi e delle relative ecologie tra le specie vengono a favorire il diffondersi di nuove patologie, a modificare geneticamente le specie, oltre che accelerare le modifiche climatiche. Infatti il carbonio è immagazzinato nelle torbiere, pari al 42% di quello contenuto nel suolo, le praterie di Posidonia stoccano oltre l’11% dell’interera CO2 prodotta nel Mediterraneo a partire dalla Rivoluzione Industriale, mentre le foreste trattengono 289 miliardi di tonnellate di carbonio (Report Nature 4 Climate del WWF).
Emerge chiaramente da questi pochi dati la necessità di un cambiamento non solo nel modo di produzione, ma anche nel modo di pensare lo sviluppo economico finora concentrato solo sull’aspetto quantitativo, sia nel continuo aumento del numero matematico di beni che nell’abbattimento dei costi. La mancanza del prevalere della qualità fa sì che vi sia un aumento dello scarto, di cui è solo un mito la possibilità del completo riciclo, come si vuole far credere. Se non si cambia il modo di pensare lo sviluppo il differenziare gli scarti si riduce solo nell’allungare i tempi per i livelli di inquinamento, questo è comunque inesorabilmente legato all’insostenibilità di una crescita esponenziale della popolazione su una superficie predefinita quale è il pianeta, due termini in contrasto per una crescita prevalentemente quantitativa.
E’ stato osservato che la globalizzazione nel rendere la libertà di circolazione dei capitali e delle merci, eliminando i dazi tra Stati ed aree economiche, ha favorito non solo la crescita di determinate aree del pianeta, in particolare la Cina, ma ha anche ridotto la qualità di molti settori produttivi, aumentando parallelamente lo sfruttamento della manodopera in molte aree, mettendo in difficoltà e impoverendo la classe media.
Vi è stato un accrescere del distacco tra le elité globale, per le quali la facilità di comunicazione e trasferimento di merci e capitali, si è risolta nella possibilità di spostarsi velocemente dove vi sono più vantaggi, e il restante della popolazione. Lo stesso sviluppo informatico ha manifestato le due facce di molto agire umano, facilitando al contempo la mobilità sia fisica, delle persone e delle merci, che culturale e finanziaria, ma anche un accrescersi dell’inquinamento e un impoverimento culturale nella massificazione.
Si è passati dalla struttura gerarchizzata ad un sistema a sciame, dagli ordini espliciti al convincimento della massa necessaria, attraverso persone influenti portati quali esempi, per creare l’effetto valanga. L’influenza avviene su due fronti, attraverso i tecnici per quello che riguarda gli aspetti più complessi e quelli che sono definiti gli “influencer” per il popolo sociale della rete, ridotto culturalmente, in molti casi, a quello che una volta era definito un sottoproletariato.
L’importanza dei tecnici e la loro influenza, in modo da essere cooptati negli appositi comitati e determinare quindi parte dell’agire politico, è determinato dall’essere illuminati nei mass-media, che ne legittimano i pareri, consacrandoli quali nuovi sacerdoti dell’età contemporanea. Quanto finora esposto si inserisce chiaramente nel nuovo business del green, che solo apparentemente è neutrale, nella realtà nasconde una lotta per definire nuove aree di potere, rientrando direttamente nell’attuale conflitto per rideterminare le gerarchie nel nuovo secolo, modificando le aree di influenza.
Come nel 1929 si diede il via agli anni trenta premessa per i nuovi conflitti, così la crisi del 2009 ha favorito le nuove sfide globali di dominio.
Le nuove tecnologie green nascondono dei problemi e non sono così neutrali e di per sé benefiche, le prime problematiche derivano dalle terre rare di cui necessitano. Queste terre, come il litio, non sono così comuni come le energie fossili, carbone e petrolio, proprio come fa presupporre il nome vi è una certa difficoltà nella loro individuazione, così come comportano un notevole inquinamento, scarto e consumo di energia per la loro raffinazione. Il riuscire a posseder queste terre rare determina un notevole vantaggio strategico, essendo solo in alcuni luoghi, per cui vi è una lotta sotterranea per acquisirla, ma anche lo sviluppo e il prevalere della relativa tecnologia su scala mondiale dà luogo ad un futuro potere economico-strategico.
D’altronde non si può nascondere che il repentino sostituire dei motori a combustione interna con quelli elettrici, se fa bene per la relativa industria, comporta delle grosse problematicità di supporto e dispersione nella rete di distribuzione, come nella produzione di energia se non si vuole ricorrere provvisoriamente ad un aumento dell’uso dei vecchi combustibili fossili. Relativamente all’uso del gas, oltre alla minore capacità calorica, crea a sua volta dipendenza dalle fonti e la necessità di acquisirne di nuove e di poterle controllare, problematiche di cui possiamo vederne gli effetti economici negli attuali rincari e nelle minacce di bloccarne le forniture.
Il passaggio dalla vecchia economia alla nuova non può avvenire negli stessi tempi essendovi in atto una lotta globale sulle aree economico-politiche di influenza. In questo alcune economie maggiormente inquinanti, sia per estensione che per densità di popolazione, intendono prima raggiungere gli obiettivi che si sono promessi. L’Europa da sola possiede una incidenza effettiva solo relativa, diminuita dalla crescita esponenziale secondo il vecchio stile delle economie rampanti, non resta che un effetto di pressione morale.
Da quanto finora esposto si possono comprendere le difficoltà, le problematiche e gli inganni che la transizione green, seppure necessaria, comporta. Essa è strettamente legata alla modifica dello stesso concetto di sviluppo economico prevalso alla fine del ‘900 con il neoliberismo e la globalizzazione seguita alla caduta del “muro di Berlino”, rafforzata in questo dalle possibilità del crescente sviluppo tecnologico dell’informatica, non sempre utilizzata correttamente, divenendo strumento di rafforzamento di un consumo mitologico e della creazione di un consumatore solo apparentemente libero.
NOTE
• Bauman Z. , Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi, Laterza 2021;
• Morris W., Lavoro utile fatica inutile. Donzelli editore 2009;
• Hammond P., Media e guerra. Visioni post moderne, Odoya 2007.