Di Stefano Nespor. Le leggi per la tutela dell’ambiente, pur piacendo a molti, portano pochi voti a chi le sostiene o le promuove. Ne è prova il fatto che, specie nei periodi di crisi economica, l’ambiente diventa impopolare e scompare dai programmi elettorali. Anzi, in nome dello sviluppo e della ripresa, si tende a disfare quel che di buono si è fatto negli anni precedenti (l’attuale Presidente del Consiglio, parlando del suo programma politico, ha limitato la tutela dell’ambiente alla necessità di un “accento ecologico”).
In effetti, le norme ambientali presuppongono orizzonti di lungo periodo, superiori a quelli che guidano le scelte dei partiti, vincolate al breve periodo – 4 o 5 anni – della tornata elettorale e all’obiettivo della rielezione.
Così, lo spostamento delle norme ambientali al livello sopranazionale o internazionale permette ai partiti al governo di dire ai loro sostenitori che esse, seppur non volute, sono state imposte dall’alto.
È per questo che uno dei grandi saggi del diritto ambientale dell’Unione europea, Ludwig Kramer, era solito dire che solo perché costretti dalle normative comunitarie la maggior parte dei paesi membri si era rassegnata ad introdurre normative di tutela dell’ambiente.
Ed è per questo che le organizzazioni ambientaliste hanno sempre privilegiato il livello internazionale o sopranazionale per l’introduzione di normative ambientali di rilievo globale.
Non c’è solo questo aspetto, naturalmente. L’adozione di regole sovranazionali in materia di ambiente è gradito ai paesi più furbi per un altro motivo. L’obiettivo della normativa sovranazionale in materia ambientale, oltre che quello di tutelare l’ambiente, è infatti anche quello di impedire la ben nota “race to the bottom”, la gara al ribasso consistente nell’offerta di prodotti a prezzi competitivi perché realizzati senza adeguate normative di sicurezza ambientale. Per questo, violando le regole, ritardandone l’applicazione oltre i termini prefissati o applicandole in modo falsato, molti paesi hanno guadagnato competitività (le modalità con le quali il nostro paese ha recepito in modo metodicamente falsato le normative sui rifiuti è ampiamente istruttivo in proposito).
Tuttavia, il dato della supremazia del livello sovranazionale o internazionale in materia di normativa ambientale appare sempre più incerto proprio a causa di una materia per la quale tutto si è puntato su quei livelli: il cambiamento climatico. Poco o nulla si è ottenuto con il succedersi di meeting internazionali alla ricerca di nuove norme che sostituiscano l’infelice Protocollo di Kyoto: vi è, per diversi motivi e nonostante il lento aggravarsi dell’instabilità climatica, un rifiuto generalizzato ad introdurre nuove norme vincolanti in materia.
Nello stesso tempo però sono aumentate le normative nazionali sulla materia: dal 2009 sono state introdotte ogni anno oltre 20 nuove leggi a livello nazionale in materia di controllo delle emissioni (sono state più di 30 nel 2009 e nel 2010).
Così, nel 2012 il Messico ha approvato una normative destinata a fungere da riferimento per tutte le future disposizioni che possono produrre effetti negative sul clima; La Corea del sud ha stabilito di introdurre un meccanismo di scambio delle emissioni simile a quello esistente nell’Unione europea nel 2015. Il Giappone ha adottato una carbon-tax e disposizioni che regolano lo sviluppo urbano in modo da favorire innovazioni di alta efficienza energetica. In Cina una legislazione ambientale onnicomprensiva è allo studio da tempo e dovrebbe entrare in vigore nel 2013.
In definitiva, molti paesi stanno facendo rilevanti progressi nella legislazione ambientale indipendentemente da vincoli sovranazionali, e ciò che appare ancor più significativo è il fatto che nel 2012 sono stati molti di più i paesi emergenti in via di sviluppo ad introdurre nuove norme ambientali che non i paesi ricchi.
Certamente, si può obiettare che molto dipende dal contenuto delle disposizioni che vengono approvate e che poi si tratta di vedere se e come esse vengono applicate. Però quel che rileva è, come si è detto, l’inversione della tendenza che sembrava solidificata nel senso di affidare la normativa ambientale a livelli superiori a quello nazionale. Gli elettori e l’opinione pubblica sembrano sempre più disposta ad accettare favorevolmente che l’ambiente sia oggetto di regolamentazione a livello nazionale, ancorché ciò comporti sacrifici immediati di carattere economico e benefici nel lungo periodo. È una tendenza che impone alle varie organizzazioni ambientaliste di riflettere sull’opportunità di modificare le strategie sinora adottate.