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LE CONSEGUENZE DELLA LESIONE DI DIRITTI FRA INDENNIZZO E RISARCIMENTO NELLO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ INQUINANTI.

Nota a Cass., sez. III, 2 luglio 2021, n. 18810

Gisella Ferrara

Con questa decisione, i giudici della Suprema Corte hanno valutato corretta l’interpretazione effettuata dai giudici di primo e secondo grado. Infatti, con detta pronuncia si è inteso rigettare integralmente il ricorso di Ilva S.p.a. in amministrazione straordinaria avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, n. 45/2018. Quest’ultima, aveva a sua volta confermato la decisione di primo grado che aveva condannato l’Ilva S.p.a. al risarcimento dei danni causati dalla “compressione del diritto di proprietà [inteso come] diritto a godere in modo pieno ed esclusivo di un bene” 1. Così decidendo, venne liquidato un danno in via equitativa nella misura del 20% del valore dei beni all’atto dell’esperimento dell’azione processuale.

La ricorrente lamentava (col terzo motivo di ricorso) la violazione dell’art. 2043 c.c. in relazione al riconoscimento del danno alla proprietà2 in quanto ritenuto risarcibile autonomamente a prescindere dalla sussistenza di un danno patrimoniale o non patrimoniale.

La ricorrente Ilva S.p.a. in amministrazione straordinaria in particolare si doleva perché i giudici di merito avevano “riconosciuto la risarcibilità tout court, ex art. 2043 c.c., di una asserita compromissione del diritto dominicale degli attori a prescindere dalla sussistenza (la quale è stata, anzi, esclusa) sia di danni materiali agli edifici, sia di danni da deprezzamento commerciale, sia di danni alla salute o morali e esistenziali, così finendo, in buona sostanza, per riconoscere la risarcibilità di meri fastidi o disagi non degni di assurgere ad un vero danno patrimoniale o non patrimoniale”3. Pertanto secondo la società Ilva S.p.a. in amministrazione straordinaria la Corte d’Appello avrebbe commesso “una grave violazione dei principi in materia di responsabilità extracontrattuale, in quanto, come costantemente sostenuto dalla giurisprudenza anche di legittimità, ai fini del risarcimento del danno da immissioni intollerabili è necessaria la prova della sussistenza di un effettivo danno alla salute (o quantomeno, di un effettivo danno morale o esistenziale, che deve essere ovviamente specificamente allegato e provato), di un danno materiale o da deprezzamento commerciale”4.

Ma per rafforzare il proprio ragionamento, la società ricorrente sottolineava come di “compressione” o “limitazione” del diritto di proprietà si potesse discorrere solo nel caso di mero indennizzo e non già quando si avanzino pretese risarcitorie.

Secondo la ricorrente, pertanto, i giudici di merito avrebbero potuto valutare la mera compressione o limitazione del diritto di proprietà, esclusivamente nel caso di controversia avente ad oggetto una pretesa indennitaria (e non già risarcitoria). Non troppo velatamente, dunque, Ilva S.p.a. ha tentato, anche in sede di legittimità, di presentare la sua attività come lecita.

Questa deduzione è tuttavia fondata sulla distinzione concettuale fra risarcimento ed indennizzo. Secondo tale concezione, infatti, l’azione risarcitoria è lo strumento primario e pacificamente esperibile in sede di giudizio qualora le immissioni inquinanti siano considerate illecite. Ciò comporta che nel medesimo giudizio sia definita la tipologia di danno extracontrattuale per il quale si chiede risarcimento. Qualora, invero, le immissioni inquinanti per le quali si procede, siano comunque dannose ma pur sempre lecite, coloro i quali vengano raggiunti dalle stesse nel proprio domicilio, potranno ricorrere non già per ottenere il risarcimento pieno ma solo per il c.d. indennizzo. Fuori d’ossimoro, le immissioni dannose ma lecite sono quella figura di immissioni che vengono riconosciute come dannose poiché superanti la soglia della normale tollerabilità benché si tratti di attività autorizzata dall’ordinamento (e quindi resa lecita). La causa giustificatrice di detta categoria di immissioni è dunque l’esercizio di un’attività produttiva autorizzata dall’ordinamento.

Dunque, la ragione del rilievo è che attribuire un “risarcimento” avrebbe invece assunto il significato di riconoscere l’esistenza di un danno ingiusto e dunque altresì riconoscere che esso può determinarsi anche quale conseguenza di un’attività considerata lecita.

La tesi è criticabile.

Che da un danno “ingiusto” (e pertanto risarcibile ex art. 2043 c.c.) possa essere cagionato anche da un’attività lecita e che dunque sia insostenibile la contrapposizione fra indennizzo (conseguente ad attività lecita) e risarcimento (nel presupposto dell’illecito) è peraltro un dato acquisito nella dottrina civilistica5.

Per tanto, alla luce di queste osservazioni della dottrina, non è rilevante che si tratti di attività lecite o illecite ma di attività dannose, cioè di attività che, più specificamente, provocano danni “ingiusti” (in quanto lesivi di interessi giuridicamente tutelati), e tale elemento abilita i destinatari delle immissioni inquinanti alla pretesa risarcitoria.

Si è anche ritenuto che, nell’ambito della “soluzione indennitaria, la legittimazione attiva spetta a tutti i titolari di diritti reali di godimento sul fondo che subisce le immissioni; qualora su di uno stesso fondo coesistono più diritti reali, la legittimazione attiva spetta anche a coloro che sono titolari di una situazione soggettiva di godimento ancorché di natura non proprietaria o reale. Riguardo alla legittimazione passiva, essa è posta in capo all’autore delle immissioni, il quale, dopo essere stato chiamato in giudizio, potrà eccepire il proprio diritto a compiere le immissioni sulla base dei criteri previsti dall’art. 844 c.c.”6.

Invece, secondo la tesi che contrappone indennizzo a risarcimento, il primo avrebbe la finalità di riparare un danno giusto e dunque sensibilmente differirebbe dalla soluzione risarcitoria che invece si riferisce a un danno ingiusto.

Il riferimento all’annosa contrapposizione fra risarcimento ed indennizzo offre lo spunto per fornire piena adesione all’opinione che sostiene che anche qualora si fosse in presenza di un atto lecito, quest’ultimo sia ben in grado di provocare un danno ingiusto ed in quanto tale passibile di essere risarcito. Si può quindi aderire alla più attenta dottrina civilistica che ormai configura una responsabilità da atto lecito e dunque, esprime consenso alla soluzione dei supremi giudici in considerazione della contrapposizione logica (prima ancora che giuridica) con quanto la ricorrente ha voluto prospettare (seppur velatamente) mediante il riferimento al mezzo indennitario (e dunque, sottolineando lo svolgimento di un’attività originaria di per sé astrattamente lecita).

E ciò è sostenibile nonostante le residue resistenze rappresentate dalla tendenza a collegare la “responsabilità risarcitoria al comportamento riprovevole di colui che ha causato il danno.

È di tutta evidenza invece come si possa aderire all’opinione che afferma che proprio sulla base del più recente orientamento in materia di responsabilità civile, si possa affermare “che, in realtà, gli atti leciti dannosi, di cui si discute, costituiscono una categoria generale, suscettibile di interpretazione analogica e la cui disciplina è, pertanto, applicabile alle fattispecie simili, nelle quali, cioè, ad un comportamento autorizzato dalla legge, quest’ultima ricollega conseguenze di natura risarcitoria. Invero, si è detto che spesso la responsabilità sorge indipendentemente dalla colpa del soggetto, per il solo fatto che un evento sia ad esso materialmente imputabile. La legge prevede, altresì, determinati criteri di collegamento che prescindono dalla derivazione materiale dell’evento stesso da colui che è obbligato a corrispondere il risarcimento. In questi casi, cioè, manca una condotta soggettivamente, o anche oggettivamente, imputabile e, tuttavia, è espressamente prevista un’obbligazione risarcitoria. Ciò che rileva, quindi, è la verificazione materiale del danno e del conseguente pregiudizio che viene arrecato”7.

Pertanto, pur nella consapevolezza della tradizionale distinzione fra risarcimento ed indennizzo, con riferimento alla specifica questione giuridica affrontata nella sentenza in commento, è possibile aderire in maniera ancora più convinta, alla posizione dottrinale che ritiene che anche un atto lecito possa causare un danno ingiusto.

In altri termini è proprio riflettendo sulla responsabilità oggettiva, sulla responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa e sulla responsabilità da atti leciti dannosi, che occorre ricercare, in relazione alle singole fattispecie, risposte alla diffusa esigenza di soluzioni adeguate nella gestione di quelle complesse situazioni coinvolgenti diritti anche inviolabili.

In conclusione, riguardo alle doglianze espresse nel terzo motivo, la Cassazione ha schiettamente eliminato ogni dubbio in seno al riconoscimento del danno alla proprietà risarcibile autonomamente, sostenendo che <<l’accertata limitazione delle facoltà di godimento è, infatti, indubitamente esso stesso un danno conseguenza, comportando una grave compromissione dei poteri (e correlativamente delle situazioni di vantaggio) che concretano il contenuto del diritto di proprietà>> e che <<si tratta poi, indubbiamente, di un pregiudizio di natura patrimoniale, in quanto suscettibile di valutazione economica. […] Nella specie [viene in rilievo] proprio la perdita delle oggettive potenzialità di godimento che, in mancanza delle immissioni illecite, gli immobili stessi per loro stessa destinazione sarebbero in grado di offrire>>8.

Note

1 Sent. n. 45 del 2018 Corte d’Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto

2 “Compressione del diritto di proprietà come diritto a godere in modo pieno ed esclusivo di un bene”, cit., Sent. n. 45 del 2018 Corte d’Appello di Lecce

3 Ricorso di Ilva S.p.a. in a.s. così citato dalla Sent. della Cass. 18810/2021, p. 19

4 Ricorso di Ilva S.p.a. in a.s. così citato dalla Sent. della Cass. 18810/2021, p. 19

5 P. Perlingieri, La responsabilità civile tra indennizzo e risarcimento, in Rass. dir. civ., 2004, p. 1065 segg.

6 PICARO R., Il divieto di immissioni tra relazioni economiche e bisogni esistenziali, Napoli, Novene, 2000, p. 359

7 G. GIACOBBE, Gli atti leciti dannosi nella teoria della Responsabilità Civile, in C. Scognamiglio, A. Figone, C. Cossu ,G. Giacobbe, P.G. Monateri, Illecito e Responsabilità Civile, G. Giappichelli Editore, cit. p. 100

8 Sent. della Cass. 18810/2021, p. 22/23.